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Il Paradiso degli Orchi
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DE FALSU CREDITU

Earl Y. Warning

Il cinema eastern. Volume secondo: tutto il potere al peplum

Castoroil/cinema-Kinoglazprom Soyuza, Pag. L - 747 Euro 17,00
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Continua, con questa seconda uscita, la benemerita stampa dell'operone simpatico e didattico del saggista statunitense. Nel primo volume s'era certificato quanto e come la cinematografia sovietica di consumo e d'esportazione avesse riciclato e ricicciato il genere western - con risultati, va detto, nemmeno troppo disprezzabili. Qui, invece, lo studioso americano relaziona del confronto tra la comunistica fabbrica dei sogni e l'altro polo dell'immagineria popolare mondiale, quella Cinecittà che viveva, in quegli anni - lo si è detto e ripetuto - i suoi fasti di Holliwood sul Tevere, e che, quantitativamente, era la seconda del mondo.

Bisogna subito dire quanto Warning precisa nella cospicua introduzione: (p. XXXIX-XLI) se il confronto col genere principe della nemica nella guerra fredda rivestiva, per ovvie ragioni, un'importanza ben avvertita da attori, registi e sceneggiatori, ben più rilassato era l'atteggiamento tenuto verso il "sandalone" ("tschaussùr-filma"). Tanto che si intuisce nelle troupes e negli autori una robusta ironia, persino nei pochi esempi di "doppiaggio" di produzioni USA. Ad esempio, nella traduzione di Ben Hur nella cinelingua materialista dialettica - il film-doppione che ne risulta è Gav dov Ygal ("la congiura degli Uguali"), ove naturalmente si tralascia l'aspetto relativo all'ebraismo del protagonista. Ma ognuno ha i suoi spauracchi: Warning ricorda (p. 399) come le scene allusive all'omoerotìa in Spartacus vennero rimosse dalla censura occidentale - sono state infatti reintegrate solo di recente. Ma, nella Russia attuale, la versione espurgata è ancora l'unica che circoli, come circolava nell'URSS brezneviana, dato l'argomento "populista".

Divertiti e tutt'affatto divertenti sono invece i "peplum" propriamente detti - anzi, ridetti - ov'è peraltro un gioco di rimandi e citazioni all'ortodossia marxoleninista che impressiona per come sia corrosivo di quella dommàtica, e per quanto sia sfuggito alla censura - o la censura si faceva pesce in barile? I revisori forse lasciavano correre sapendo che quelle pellicole eran destinate alla periferia dell'impero, al pubblico di grana grossa composto dalle massaie tagike, dagli operai dei Kombinat, dai ragazzetti che speravano di cogliere qualche modesta nudità femminile - simbolo della corruttela occidentale - o addirittura maschile? Coperto dall'anonimato del trasparente pseudonimo "Andrej Koimaskij", uno dei proiezionisti incaricati di far circolare i "pepla" confessa (p. 435) che, allora giovanissimo, invitava qualche suo affine in cabina, per manustuprarsi liberamente alle esibizioni dei Macisti, degli Ercoli, dei Sansoni reinventati nelle loro già in origine improbabili avventure. L'Autore tiene botta, e non perde modo di trovare anche qui un parallelo col suo paese: dichiarano i "Funny gay males" che i film mitologici "erano splendidi pretesti per vedere dei maschioni favolosi che andavano in giro coperti solo dalle pelli degli animali uccisi nelle scene precedenti. Gli esempi migliori di questo genere erano sicuramente i film su Ercole, prodotti in gran numero nell'Italia degli anni cinquanta e sessanta". (*)

Più interessanti per noi, tuttavia, sono le produzioni autoctone ove si dispiegava la vulgata marxista della storia come lotta di classe, ovvero i (peraltro pochi) film in cui si tentava di esser seri, e di recare al popolo un messaggio "rivoluzionario" e "marxistizzato" (cap. LIII) - naturalmente in forma di reliquia del passato, e non come prospettiva futura (e anche in questo, tutto il mondo è paese). Esemplare, in questo senso, è il kolossal Pompeyev, ovviamente ripreso da Braccio di Ferro a Pompei, prodotto nel 1962 dalla "Romamunda" di Titto Culisei. (**) La storia originale si basa, nemmeno a dirlo, sull'esplosione del Vesuvio del 79 dell'era volgare: il regista e ri-sceneggiatore sovietico (il non disprezzabile Vsevolòd Karakulov, autore poi del bel Malcik v djevocka, tratto dal racconto omonimo dello scrittore dissidente Vladimir Broxuria) ne fa una metafora della rivoluzione, che viene a sommergere il corrotto e schiavista sistema politico romano - leggi: statunitense (puntuale, Warning rimarca che quest'identificazione tra Roma e Washington non l'hanno creata i russi, polemicamente, bensì è uno dei leitmotiv della cinematografia "in tunica e calzàri" holliwoodiana - e persino si ritrova nell'architettura pubblica, con i suoi "Capitol" wreniani e le sue "Court of Justice" neoclassiche).(***) Ma, assieme, il film acquista valore di monito antinucleare, laddove il vulcano, esplodendo, seppellisce il vecchio regime, però assieme a quello distrugge tutta la terra. Ed ecco che si ritorna a un argomento caro all'Autore (riassumo dalle pag. 503-517): quei messaggi di "modernità" ("on the road", "make love not war", "doctor Strangelove", etc.) che circolavano sull'epidermide massmediatica occidentale, quindi come espliciti, s'incarnavano in URSS e satelliti nelle immediate profondità dei mezzi di comun(istif)icazione-comu(mistificazione) di massa. Facendo così dell'Unione non un continente "sotto ghiaccio", ma un immenso tam-tam risonante di quel nuovo che - dalla morte per soffocamento delle avanguardie - non riusciva più a inventare.

Per questi risultati d'acume e di conoscenza, non resta a noi recensori che, ancora una volta, raccomandare al Lettore la ponderosa acrobatica-acribiàtica fatica dell'esperto critico statunitense.



******

(*) Jaffe Cohen, Danny McWilliams, Bob Smith, Growing up gay, Hyperion, 1995, p. 102 - trad. it. Piccoli gay crescono, Feltrinelli, Milano 1996, p. 126;

(**) Regia di Azio Fèllo. Con Francis Magallagan, Laio Loi, Cira Ladài, Clara Clari, Edo Stappi, Erik Fust, Nando Busecconi, Priamo Valsecchi Prot e il piccolo Duilio Motàsti. Ne Il Mereghetti 2006, Baldini&Castoldi Dalài, Milano 2005, sub voce;

(***)tant'è che, in un episodio della serie StarTrek, in cui si ipotizzava non fosse mai caduto l'impero romano, alcuni esterni vennero girati in una avenue di Washington, i cui edifici pubblici vennero ripresi così com'erano, e spacciati con credibilità come dell'Urbe.





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