CINEMA E MUSICA
Alfredo Ronci
Il fascino dell'immediatezza: 'Ukulele songs' di Eddie Vedder.
Che palle il critico. Non gliene va bene mai una. Figuriamoci poi con un disco così poco studiato ed 'incompiuto'. Perché hai voglia a dire, Ukulele songs è un'opera incompiuta, ma non perché non sia finita, ma perché la sua apparente imperfezione nasconde invece l'amore per le cose, e in questo caso, per la musica.
E' un disco settimino no? E su i figliocci prematuri c'è sempre da discutere, nel migliore dei casi, se non addirittura 'tremare' per la possibilità che non riesca a sopravvivere.
Ricordo anni fa – e cominciano ad essere tanti ormai – quando una giovane Rickie Lee Jones se ne uscì con un'operina inusuale, Girl at her volcano: otto brani su un vinile il cui formato era a metà strada tra un 45 giri ed un 33 (lontani da venire i cd); poco più di mezz'ora di musica straordinaria con una versione di 'My funny valentine' che chi ha buone orecchie e buon cuore non può non ritenerla una delle più grandi di tutti i tempi.
Tuttavia era settimino, nella voglia di realizzarsi e nell'immediatezza: e spesso fa storcere la bocca ai puristi. Come Ukulele songs ha fatto storce la bocca a qualche critico noioso.
Ma quanto crediate che Vedder abbia pensato per realizzare una cosa del genere? E diciamocelo, staccarsi dai Pearl Jam gli viene talmente bene e lo mette in salute! (Into the wild in fondo era un'ottima colonna sonora per un film disastroso).
Qui l'artista è leggero e serio nello stesso tempo: leggero perché lo strumento che ha adottato è talmente 'fragile' che da un momento all'altro paventi che possa dissolversi. Serio perché nessuna cosa, in mano a Vedder, può essere improvvisata. Non conchiusa sì, ma non improvvisata.
Si prende sul serio già dall'inizio con una cover del suo gruppo, quella 'Can't keep' che fa capire di che pasta è tutta l'operazione.
I fans dei Pearl Jam devono dimenticare le asperità dei musicisti e delle ugole: Vedder spadroneggia con un finto mielismo che è in realtà sacra rappresentazione del romanticismo e dell'interiorità.
Ma vogliamo parlare della carezzevole seta di 'Longing to belong' o del duetto con Glen Hansard in 'Sleepless nights' o la cover dei Mamas and Papas 'Dream a little dream' o della classica 'Tonight you belong to me'?
Insomma, per un momento lasciamo stare i Pearl Jam. Godetevi un'atmosfera da tramonto da Grand Canyon, o da laguna veneziana o, per chi non può permetterselo, da semplice tramonto sulla spiaggia di Torvajanica, ed una voce, quella di Vedder appunto, per la quale mi sento di rispolverare un vecchio slogan pubblicitario degli anni sessanta: con quella bocca può dire ciò che vuole!
Eddie Vedder
Ukulele songs
Monkeywrench Records - 2011
E' un disco settimino no? E su i figliocci prematuri c'è sempre da discutere, nel migliore dei casi, se non addirittura 'tremare' per la possibilità che non riesca a sopravvivere.
Ricordo anni fa – e cominciano ad essere tanti ormai – quando una giovane Rickie Lee Jones se ne uscì con un'operina inusuale, Girl at her volcano: otto brani su un vinile il cui formato era a metà strada tra un 45 giri ed un 33 (lontani da venire i cd); poco più di mezz'ora di musica straordinaria con una versione di 'My funny valentine' che chi ha buone orecchie e buon cuore non può non ritenerla una delle più grandi di tutti i tempi.
Tuttavia era settimino, nella voglia di realizzarsi e nell'immediatezza: e spesso fa storcere la bocca ai puristi. Come Ukulele songs ha fatto storce la bocca a qualche critico noioso.
Ma quanto crediate che Vedder abbia pensato per realizzare una cosa del genere? E diciamocelo, staccarsi dai Pearl Jam gli viene talmente bene e lo mette in salute! (Into the wild in fondo era un'ottima colonna sonora per un film disastroso).
Qui l'artista è leggero e serio nello stesso tempo: leggero perché lo strumento che ha adottato è talmente 'fragile' che da un momento all'altro paventi che possa dissolversi. Serio perché nessuna cosa, in mano a Vedder, può essere improvvisata. Non conchiusa sì, ma non improvvisata.
Si prende sul serio già dall'inizio con una cover del suo gruppo, quella 'Can't keep' che fa capire di che pasta è tutta l'operazione.
I fans dei Pearl Jam devono dimenticare le asperità dei musicisti e delle ugole: Vedder spadroneggia con un finto mielismo che è in realtà sacra rappresentazione del romanticismo e dell'interiorità.
Ma vogliamo parlare della carezzevole seta di 'Longing to belong' o del duetto con Glen Hansard in 'Sleepless nights' o la cover dei Mamas and Papas 'Dream a little dream' o della classica 'Tonight you belong to me'?
Insomma, per un momento lasciamo stare i Pearl Jam. Godetevi un'atmosfera da tramonto da Grand Canyon, o da laguna veneziana o, per chi non può permetterselo, da semplice tramonto sulla spiaggia di Torvajanica, ed una voce, quella di Vedder appunto, per la quale mi sento di rispolverare un vecchio slogan pubblicitario degli anni sessanta: con quella bocca può dire ciò che vuole!
Eddie Vedder
Ukulele songs
Monkeywrench Records - 2011
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