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Il Paradiso degli Orchi
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CLASSICI

Gianfranco Franchi

Il manichino tragico di Ludwig Achim Von Arnim

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Novelletta fantastica, d'epoca protoromantica, opera dello junker prussiano Karl Joachim ("Achim") Friedrich Ludwig von Arnim, Il manichino tragico è già intriso di quel ritorno al gotico, alla spiritualità e all'irrazionalità che tanto fertile si rivelò nell'Ottocento. È una storia d'amore intervallata da sortilegi e incantesimi: notevole per via d'una nuova incarnazione letteraria del "doppio". In questa circostanza, si tratterà, come vedremo, d'un manichino che assume vita non appena indossa il giustacuore del protagonista.

La moda ha condannato all'oblio questo indumento: varrà forse la pena, allora, aprire una breve parentesi a proposito del significato di questa parola, caduta fatalmente in disuso. Consultiamo il Devoto-Oli.

Giubba maschile, lunga sino al ginocchio e stretta alla vita da una cintura, in uso specialmente nei secoli XVII e XVIII. Dal francese justaucorps, propr. "giusto, cioè aderente, al corpo. Appagata la curiosità dei lettori dandy, torniamo a presentare lo spirito dell'opera: tramite un frammento che riteniamo esplicativo del particolare momento storico.

Il conte era molto scettico in materia di magia, come tutto il suo secolo; rimase quindi piuttosto deluso dalle conclusioni dell'amico e le attribuì ad una certa esaltazione causatagli dai lunghi viaggi in paesi così diversi da nostri. Ma Frenel ritornò sull'argomento con vigore, affermando che la scienza della magia era ancora molto coltivata nei paesi orientali, specie per vendicarsi delle infedeltà d'amore, ma che gli incantesimi di quel genere necessitavano, per riuscire, di un ricordo d'amore lasciato all'amante dalla rivale(pag. 30-31).

Il conte è un raffinato esteta che rifiuta di credere alle stregonerie e all'irrazionalità: ma il suo destino sembra coincidere con quello d'ogni fanatico dello scetticismo che si rispetti (almeno: in letteratura) – sarà vittima d'un incantesimo che lo vincolerà in eterno a una donna. Ma prestiamo attenzione alle parole dell'autore: il conte è molto scettico, come tutto il suo secolo: non è avventato leggere simbolicamente, in questo personaggio, uno Zeitgeist. L'ostinata negazione dell'irrazionalità si rivelerà l'humus del Romanticismo: rimanendo fedeli alla lettera del libro, giureremmo che "l'impossibile" accade a questo personaggio proprio perché tanto intimamente convinto della sua esistenza.

Baghdad è ancora la terra de Le mille e una notte: l'Oriente è selvaggio e sconosciuto, e sorgente di fantasia ed immaginazione sfrenata – è la terra della magia, lo specchio di quel che era stato l'Occidente nel Medioevo.

E non è un caso, allora, se la protagonista del libro, l'incantatrice, sia una giovane di sangue arabo che si trasferisce in Europa: Melück Maria Blainville, questo il suo nuovo nome post-conversione, è convergenza di irrazionalità ed esotismo orientale, coscienza e conoscenza occidentale: ha un grande (diremmo: innato) talento per la recitazione, e conserva qualcosa di selvatico e di fatato nella sua essenza.

Al principio della storia, ci troviamo nel bel mezzo d'un tentativo d'arrembaggio, nei pressi del porto di Tolone: un vascello turco fugge da una galera maltese. Gli equipaggi s'apprestano alla battaglia, quando, con una manovra fortunosa, il vascello turco riesce a trovar riparo nel porto: ai marinai non rimane che insultarsi e promettersele a distanza.

D'un tratto, la ciurma della galera maltese perde il controllo: il cavaliere Saint-Luc s'appresta a ordinare l'aggressione dei nemici, nel più franco disprezzo delle regole del mare. Ed è allora che – così ci piace immaginarlo – la polena del vascello prende vita: una donna, affascinante e piena di grazia, chiede mercé in lingua francese. Saint-Luc, stregato, ordina ai compagni di rinfoderare le spade. È la prima apparizione della donna che avrà tre nomi di battesimo, come s'accennava in precedenza: uno, Melück, a ricordare l'origine mediorientale; l'altro, Maria, a testimoniare la conversione; l'altro, Blainville, in onore al suo primo mentore, un confessore.

La donna fuggirà per evitare le insidie d'una città che l'ha eletta a sua eroina: in una carrozza, rivolta a Marsiglia, per principiare il noviziato in un convento che si rivelerà più breve del previsto: la misteriosa Melück, che continua a raccontare poco o nulla di sé e a nascondere la storia delle sue origini, abbandona il convento per apprendere i primi rudimenti della recitazione.

È un'attrice capace d'eleganza e di distacco: i suoi talenti naturali richiamano l'attenzione della migliore aristocrazia locale, stuzzicata oltretutto dalla sua fama di donna virtuosa, sorda ai corteggiamenti di qualsiasi uomo.

Il cavaliere Saint-Luc la ritroverà proprio a Marsiglia: pur giurando d'averla, fallirà nell'impresa, complice un maldestro tentativo di sequestro. Il cuore di Melück sta per essere conquistato: finalmente entra in scena il Conte Saintrée, amabile e sofisticato esteta dall'anima afflitta. È stato esiliato per via d'un intrigo amoroso, e non si separa mai dal giustacuore su cui pianse l'amata Matilde, al momento dell'addio (pp. 16-17).

È prodigo di consigli disinteressati nei confronti della giovane e bellissima attrice: e un giorno, proprio mentre si sta esibendo per mimare con più efficacia i movimenti delle grandi attrici parigine, si spoglia del giustacuore e lo infila ad un manichino, poggiandovi il suo cappello. E il manichino, al termine della sua rappresentazione, applaude. Melück sembra spaventata a morte: il Conte Saintrée, disorientato e confuso, non riesce a capacitarsi dell'accaduto. Di lì a poco s'accorgerà d'esser come incantato dalla misteriosa araba: e pur rifiutando l'idea di poter tradire Matilde, prende a vivere con l'attrice.

Le appartiene: l'incantesimo sarà indissolubile.

Quando il Re concederà il suo beneplacito per il matrimonio con Matilde, le cose sembreranno sul punto di precipitare: Melück, tormentata dalla consapevolezza di dover dividere il Conte con un'altra donna, esaspererà gli effetti dell'incantesimo fino ad ammalare gravemente il Conte. Servirà saperlo in punto di morte per cambiare idea: e accettare l'offerta di Matilde d'essere parte della "famiglia", come "sorella" del Conte (...altri tempi, altra letteratura).

Tuttavia il nuovo "equilibrio sentimentale" dei tre non è del tutto pacifico: spiega l'incantatrice: (...)ditegli anche che non potrà più riavere il proprio cuore fino a quando io non sarò vicina a lui, perché ormai il suo cuore mi appartiene. Sua moglie potrà rallegrarsi della sua presenza fisica, ma il cuore di lui è in me, e senza di me non può quindi vivere, e vivrà finché anch'io sarò in vita. (Pag. 34)

Il manichino è vivo, nascosto nei solai o nelle soffitte. Il Conte si è sdoppiato: e solo quando vedrà le due donne avvicinarsi al contempo al suo cospetto, sentirà tornare in sé vita e gioia.

L'esito della vicenda non è quello prevedibile: von Arnim si spinge fino al racconto di quel che accadde otto anni dopo l'allegra convivenza dei tre, fino al drammatico epilogo delle loro esistenze nel corso della Rivoluzione, senza dimenticare di raggelare il lettore tramite un'ultima apparizione del manichino del già assassinato Conte.

Concludiamo in breve: Il manichino tragico è una favoletta leziosa e splendidamente artificiosa, tutta letteraria e immune al realismo.

Nonostante lo sgradevole retrogusto aristocratico, può essere interiorizzata e adattata dai letterati contemporanei come sorgente di nuove storie. Ritornare alla fantasia e all'irrazionalità regalerà nuova letteratura e nuovi sogni.



L'edizione da noi considerata è:



Ludwig Achim von Arnim

Il manichino tragico

Editori Riuniti, Roma, 1996.





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