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CLASSICI

Alfredo Ronci

Il mistero di un libro essenziale: 'Il segreto' di Anonimo Triestino (Giorgio Voghera)

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Qui si rischia di travisar discorsi e convincere i lettori di cosa non sia: Il segreto dell'Anonimo Triestino ha sempre regalato sorprese, mai disgiunte però da una più che consolidata statura letteraria dell'opera stessa.
Quando il romanzo uscì nel 1961, in prima edizione per Einaudi, ci cascò pure Linuccia Saba, la figlia del poeta, che raccontava di un libro consegnatole per posta, dopo un incontro, da un vecchio amico del padre, personaggio discreto ed integerrimo, che da anni conservava nel cassetto un libro, libro che avrebbe consegnato a persona fidata, e in lettura, solo dopo la sua dipartita. Che avvenne qualche anno dopo quell'incontro e che determinò l'immediato interesse per lo scritto.
La Saba se ne innamorò e lo propose a Einaudi rispettando però l'anonimità, come espressamente richiesto dall'autore. Solo alcuni anni dopo venne svelato il nome di questo: Guido Voghera. Nome fatto dal figlio, Giorgio, rinomato psicanalista, che aggiunse alcuni dettagli, come a dar forza a quella rivelazione: che la storia del protagonista, Mino Zevi, fosse addirittura la storia degli anni di scuola proprii, cioè di Giorgio e non del padre e che quindi il romanzo tutto fosse una sorta di benvoluta sottrazione di materia.
Ma Il segreto era destinato ad altre sorprese (come a dire che il titolo dato ha una doppia valenza: segreto di un amore inconfessato, come in realtà è la sostanza del libro ed il privatissimo nascosto dello stesso, portato avanti per anni, chissà poi perché): quando morì anche Giorgio Voghera, Claudio Magris in un necrologio, ammise senza concessioni allo scoop, che questi era lo scrittore de Il segreto. Dunque non il padre, ma il figlio.
Non crediamo però che questa commediola (ammettiamolo, abbastanza inspiegabile) abbia aggiunto o tolto alcunché all'opera, che si presenta corposa e granitica sin dal primo approccio.
Si può dire romanzo di formazione, ma una formazione inusuale per un ragazzino, perché Mino Zevi, protagonista assoluto in una Trieste appena accennata e riconoscibile per pennellate distratte, è assai diverso dai coetanei e dalle consuetudini.
Esordisce così: Non c'è alcun dubbio: io fui un bambino precoce. Se mi dovessi basare su quel poco che ho letto di psicologia infantile, dovrei concludere che fui proprio un fenomeno.
La complessità del personaggio (i suoi tormenti 'sveviani' non abbiamo dubbi a riportarli all'attività vera del Voghera, che era psicanalista) è tale perché subisce in continuazione strati di percezione. Ed il risultato è innanzi tutto un conflitto perenne con se stesso nella fase adolescenziale (Davo delle testate a tutti, facevo alla boxe, gettavo lontano delle scope recitando versi di Omero nella traduzione del Monti: quello era 'vibrante la lung'ombra dell'asta'. Importunavo tutti, persino la domestica che avevamo allora, che era assai brava e intelligente, ma sempre di cattivo umore) e poi, superata questa, un vero e proprio scontro con l'altro da sé, in questo caso l'altra: Bianca, la ragazza desiderata e mai avuta.
Il 'segreto' del titolo è ora chiaro: l'inconfessabilità di un amore totalizzante e travolgente (mi si permetta di usare aggettivi del genere, perché il lettore, nella considerazione di una storia e quindi di un comportamento del protagonista non perturbante, potrebbe avere dubbi) che lo accompagnerà fin oltre la maturità e pure irrisolto. Testimonianza di ciò il matrimonio di Bianca con un altro uomo e la sua figura: Da quell'immagine, da quel pensiero, nasceva in me un desiderio, tormentoso nella sua vanità, di proteggerla dalla volgarità del mondo, da tutto ciò che poteva offenderla, turbarla o inquietarla; di tenermela vicina, di accarezzarla come una bimba, di circondarla di tanto amore umile e puro, di tanta infinita adorazione.
Ma si è detto che l'infanzia e la giovinezza di Mino passano attraverso tortuosi e insidiosi flussi di coscienza che non limano la sua attitudine all'autostima più esagerata: ammirazione che determina un immediato contraltare, una misoginia smisurata che gli impedisce di rivelarsi poi all'unica persona che lo interessa veramente.
Una storia, se vogliamo, di profonda solitudine, dove l'intelligenza viene quasi incriminata, seppure sopravvalutata, e in una dimensione in cui a questa non vi è alternativa: il resto è dunque rimpianto e qualche sogno mal interpretato (quello finale).
Sapevo di soffrire ogni giorno di più le contrarietà della vita, anche per le meno gravi. Sapevo di essere poco adattabile, melanconico, misantropo.
Il segreto resta un romanzo, concedetemi l'azzardo, di 'sformazione', (ammettiamolo, a volte anche prolisso e noioso) in cui l'individuo ha la certezza di 'crescere' solo nell'assoluta consapevolezza di non poterlo fare.


L'edizione da noi considerata è:

Anonimo Triestino
Il segreto
Einaudi - 1961



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