ATTUALITA'
Stefano Torossi
Il paese di Pulcinella
Questo sciocco (e anche brutto) cane di metallo di Jeff Koons è andato all’asta per 55 milioni di dollari, mentre tutti insieme i quadri rubati recentemente a Verona, al Museo di Castelvecchio (Rubens, Tintoretto, Mantegna, Bellini, Pisanello, e altri) non superano i 20 milioni di Euro. Com’è possibile?
In questa notizia ci sono due elementi di stupefacente insensatezza. Il primo è internazionale: i balzi in su e in giù delle quotazioni di artisti contemporanei, per i quali naturalmente non ci sono termini di confronto con pittori di altri periodi, con il mercato serio e soprattutto con la storia; e quindi può succedere di tutto, specialmente grazie ai loro abilissimi mercanti. Per fortuna, spesso, dopo strepitose impennate, capitano sacrosanti tonfi.
Il secondo elemento è squisitamente italiano (si sa, il paese di Pulcinella), e riguarda i modi del furto. Pare che i ladri siano arrivati in quella mezzoretta che i burocrati del museo chiamano “prechiusura”, quando il pubblico se n’è già andato e il personale di giorno si sta mettendo il cappotto per tornare a casa. Ma non ci sono ancora gli uomini della sorveglianza, e l’allarme non è inserito. Insomma un comodo spicchio vuoto in cui chiunque si può intrufolare e fare quello che gli pare. Proprio come è successo.
Particolare ancora più ridicolmente italiano: in quel momento preciso la direttrice del museo si stava sedendo a cena con il sindaco di Verona, Tosi.
Noi non ce ne rendiamo conto, ma siamo così fortunati da vivere in una nazione dove la comica finale non c’è bisogno di inventarsela: va in scena spontaneamente.
Vuoi mettere la differenza con i paesi seri (e noiosi)?
Sant’Apollinare
Un certo Enrico “Renatino” De Pedis, detto “bambolotto” per la gran cura che aveva per capelli e vestiti, inizia negli anni settanta una brillante carriera criminale: scippi, rapine, sequestri col morto e poi, finalmente, omicidi. In collaborazione con altri ceffi dai soprannomi molto pittoreschi: Zanzarone, er Negro, Paperino, tenta di allargare il ventaglio delle sue attività, ma esagera e finisce sparato da un killer, detto “er Cinghiale” dalle parti di Campo de’ Fiori.
E qui entriamo in argomento (delle cose all’italiana, anzi alla romana, anzi alla Santa Romana Chiesa) perché, in aperto spregio delle regole in uso, e comunque del diritto canonico, il nostro viene sepolto nella cripta della basilica di S. Apollinare per suoi presunti meriti di benefattore dei poveri parrocchiani. Lo scandalo, enorme soprattutto per il ripetuto sostegno di monsignori e cardinali, va avanti fino al 2012, quando finalmente i resti del malfattore-benefattore sono cremati e non se ne parla più. Chi muore giace e chi vive si da pace. Veniamo a noi. La chiesa è bellissima. E ancora più suggestiva è apparsa (superati i precedenti giudiziari) la sera di domenica 22 in occasione del concerto dedicato dal Roma Festival Barocco, nel suo ottavo anno, ad Alessandro Scarlatti sull’edizione critica di Luca Dalla Libera, che ha anche presentato e spiegato; meglio ancora, raccontato fatti, storie e atmosfere dell’epoca: fine ‘600, inizio ‘700. Piccolo inserto storico: “Alessandro Scarlatti è un grand’uomo, e per essere così buono, riesce cattivo perché le compositioni sue sono difficilissime, che in teatro non riescono; in primis chi s’intende di contrapunto le stimarà, ma in un’udienza d’un teatro di mille persone, non ve ne sono venti che l’intendono”. Parole del conte Zambeccari, fine musicofilo contemporaneo, che spiegano la progressiva scomparsa dal repertorio di quasi tutte le composizioni di Scarlatti, e il fatto che solo la raccolta dei Concerti Sacri fu pubblicata a stampa, lui vivente. In altri termini, se si vuole il grosso pubblico, bando alle saccenti complicazioni, bisogna usare semplicità e furbizia. Altrimenti rassegnarsi ad aspettare qualche secolo e poi, forse, se c’è qualcuno come Dalla Libera… |
Splendida esecuzione del gruppo Odhecaton, ed eccellente organizzazione (della serata e dell’intero festival che seguirà) di Michele Gasbarro, visto aggirarsi freneticamente per la chiesa con sedie supplementari sottobraccio, e banchi trascinati a integrare i posti a sedere che improvvisamente erano diventati troppo pochi. Evidentemente non ci si aspettava tanta gente. Fa sempre piacere quando, in assenza di prevendita di biglietti, si vive ansiosamente l’attesa dell’ora dello spettacolo, e poi arrivano gli spettatori. Se rimangono in piedi, meglio; l’importante è che siano tanti.
E poi, meno male che la buona musica riesce anche a ripulire un luogo così bello da qualche brutta macchia passata.
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