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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Leonardo Paggi

Il «popolo dei morti».

Il Mulino, Pag. 309 Euro 24.00
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Sottotitolo: La repubblica italiana nata dalla guerra (1940-1946). Ma torniamo al titolo: perché mai questo? Che senso ha, si chiede l'autore, continuare a parlare di diritto quando un'intera società collassa? Forse perché nella desolazione noi invochiamo i morti e perché la morte dischiude un ordine superiore di valori, una diversa nozione di legge, che proprio è per la sua irriducibilità ad un ordinamento positivo, consente di riaprire un discorso non solo garantista sui fondamenti del vivere civile.

Dunque attraverso 'l'esempio' di chi abbiamo perso raggiungiamo una migliore sintesi tra diritto e certezza del vivere.

Ma il professor Paggi non si limita a rivendicare il senso, spesso oltraggiato, della memoria, ma rivendica altresì una ri-lettura del passato attraverso considerazioni che per molti anni, decenni ormai, sono state sottaciute soprattutto da una parte politica.

Nelle quattro tesi che l'autore riassume, correlate tra loro, si riscontrano novità e peculiarità: Forse mai prima affrontate per paura di una contro-risposta dei poteri consolidati: se nulla si può obiettare sulla prima, cioè sulla necessità di indicare nella guerra e nel 'popolo dei morti' il vero luogo di origine della nuova democrazia, nata soprattutto anche per la stretta esigenza dei sopravvissuti di pretendere uno sviluppo di politiche di stato sociale e di conseguenza il riconoscimento della funzione e del ruolo del movimento operaio, qualcuno potrebbe arricciare il naso sulle altre tre tesi che Paggi indica come fondamentali per una comprensione definitiva del dopoguerra.

A cominciare dalla distinzione tra antifascismo e post-fascismo dove quest'ultimo appare preminente perché la stragrande maggioranza della popolazione, deprivata di qualsiasi autorità centrale e stretta nella morsa di bisogni primordiali (a causa della guerra incombente) ha prodotto l'insorgenza spontanea di un nuovo rapporto tra cittadino, istruzioni e potere destinato poi, automaticamente, ad influenzare le modalità di un nuovo sviluppo economico.

Questa visione del post-fascismo porta con sé, inevitabilmente, l'assunto che dal momento che tale concetto non è sic et sempliciter identificabile con l'antifascismo, così il fenomeno del movimento partigiano non è solo rivolta dell'azionismo, ma essenzialmente di popolo.

Dice Paggi nella terza tesi: La diffusione della lotta armata contro il nazifascismo – abbiamo sostenuto – è resa possibile dall'esistenza di 'società partigiane', in cui si realizza la piena fusione tra combattenti e popolazione civile. La costruzione politica della figura del partigiano, fortemente incentrata sul movimento militare, implica tuttavia un restringimento dell'ampiezza dei consensi e delle collaborazioni di cui il movimento ha goduto.

Dunque partigiano non più visto con l'aureola del santo o dell'eroe invincibile, ma figura 'catturata' dal volgo, dal popolo costretto da bisogni primordiali a sottrarsi ad un declino inevitabile.

Spinosa la quarta tesi: quella in cui la tradizione antifascista ha sempre assunto i bombardamenti degli alleati sulle città italiane (la prima grande carneficina, circa 80.000 foggiani massacrati dagli aerei americani ed inglesi, avviene solo tre giorni dopo la caduta di Mussolini. Paggi sintetizza così: L'era del post-fascismo si è aperta in questa città non con le votazione del Gran Consiglio, ma con lo sterminio di massa cui è sottoposta la popolazione come inevitabili manifestazioni di una 'guerra giusta'.

Una violenza strategica, nuova, atta alla costituzione di un nuovo potere militare e politico soprattutto in vista di un dopoguerra 'guidato'. Dove Auschwitz rappresenta il passato, o meglio, il punto di arrivo e di sintesi di tutta la violenza che si è lentamente accumulata nella storia europea, Hiroshima è una violenza nuova, che guarda al futuro.

Provate a fare discorsi del genere al nostro premier ossessionato da epifanie (ormai solo quelle!) comuniste e dall'inamovibilità delle sue radici atlantiche. O dai suoi sodali tutti presi a sconfessare il 25 aprile e pure il primo maggio!

Il professor Paggi li ha fatti, coraggiosamente. Gliene siamo grati.



di Alfredo Ronci


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