CINEMA E MUSICA
Alfredo Ronci
Il qualunquismo falsamente intellettuale di Franco Battiato.
A me i versi uno dice che male c'è a organizzare feste private/ con delle belle ragazze/ per allietare primari e servitori dello stato?/ non ci siamo capiti/ e perché mai dovremmo pagare/ anche gli extra a dei rincoglioniti?/ che cosa possono le leggi/ dove regna soltanto il denaro?/ la giustizia non è/ altro che una pubblica merce.../ di cosa vivrebbero/ ciarlatani e truffatori/ se non avessero moneta sonante da gettare come ami fra la gente francamente non mi fanno impazzire. Anzi, se devo essere sincero, nascondono un qualunquismo preoccupante, di chi si ciba di politica con il luogo comune della strada. Non trovo grande differenza tra quelle parole e certe espressioni popolari che nascono dall'ignoranza e dal pressappochismo tipo: so' tutti un magna magna.
Ma Battiato è figo (ma quell'inglese che ricorda il rutelliano Itali is mai cauntri a volte è insopportabile), anzi, un intellettuale ed un'anima squisitamente musicale, quindi si può tranquillamente far passare il suo testo per una genialata. Secondo me non va meglio nemmeno il seguito: passi il refrain Inneres Auge, che da il titolo alla canzone, passi lo specchietto per le allodole dello spiritualismo imbeccante de la linea orizzontale/ ci spinge verso la materia/ quella verticale verso lo spirito (che se contrapponessimo a ciò le ossessioni falliche freudiane ci sarebbe da ridere!), ma non si può davvero sostenere la strofa finale: ma quando ritorno in me/ sulla mia via, a leggere e studiare/ ascoltando i grandi del passato.../ mi basta una sonata di Corelli/ perché mi meravigli del creato!
Non vorrei contraddire il Sommo, ma a me personalmente basterebbe anche una battuta di Bombolo per risollevarmi dal puttanaio insostenibile del politicume nazionale, senza scomodare – ma fa tanto blasé – Arcangelo Corelli violinista del sei/settecento.
E annamo no?
Sul resto del disco ci sarebbe da polemizzare (come se finora avessimo raccontato barzellette!). Per la modica cifra di diciannove euri (ma in alcuni negozi c'è il rischio che paghiate di più) ci si ritrova: dieci canzoni (e dico dieci!) di cui tre inediti (Inneres auge appunto, Inverno, U cuntu in cui compare di nuovo la voce cavernosa di Manlio Sgalambro con citazione dotta finale latina) un inedito su album (Tibet, in cui il vate duetta con Chiara Vergati) che significa che da qualche parte Battiato l'ha già eseguita, e cinque (dico cinque!) 'rimaneggiamenti' di canzoni già presenti in altri album, tra i quali spicca Un'altra vita (Orizzonti perduti, 1983), No time no space (Mondi lontanissimi, 1985), e Haiku (Caffè de la paix, 1993).
Ora, possiamo pure capire l'impellente necessità musicale del nostro – forse un eccesso di ispirazione? - , possiamo pure capire che gli servono soldi per poter produrre il nuovo film che nessun comune mortale vedrà mai, ma l'intera operazione di Inneres auge, compresi gli isterici peana del giornalismo contemporaneo, mi sembra utile quanto può esserlo il tartufo fregnacciaro.
Ma forse, se è vero che Inneres auge vuol dire 'il terzo occhio', Battiato c'ha visto proprio bene e con l'aiuto di uno sguardo in più è andato molto oltre.
Altro che Beati monoculi in terra caecorum.
Franco Battiato
Inneres Auge
Mercury (2009)
Ma Battiato è figo (ma quell'inglese che ricorda il rutelliano Itali is mai cauntri a volte è insopportabile), anzi, un intellettuale ed un'anima squisitamente musicale, quindi si può tranquillamente far passare il suo testo per una genialata. Secondo me non va meglio nemmeno il seguito: passi il refrain Inneres Auge, che da il titolo alla canzone, passi lo specchietto per le allodole dello spiritualismo imbeccante de la linea orizzontale/ ci spinge verso la materia/ quella verticale verso lo spirito (che se contrapponessimo a ciò le ossessioni falliche freudiane ci sarebbe da ridere!), ma non si può davvero sostenere la strofa finale: ma quando ritorno in me/ sulla mia via, a leggere e studiare/ ascoltando i grandi del passato.../ mi basta una sonata di Corelli/ perché mi meravigli del creato!
Non vorrei contraddire il Sommo, ma a me personalmente basterebbe anche una battuta di Bombolo per risollevarmi dal puttanaio insostenibile del politicume nazionale, senza scomodare – ma fa tanto blasé – Arcangelo Corelli violinista del sei/settecento.
E annamo no?
Sul resto del disco ci sarebbe da polemizzare (come se finora avessimo raccontato barzellette!). Per la modica cifra di diciannove euri (ma in alcuni negozi c'è il rischio che paghiate di più) ci si ritrova: dieci canzoni (e dico dieci!) di cui tre inediti (Inneres auge appunto, Inverno, U cuntu in cui compare di nuovo la voce cavernosa di Manlio Sgalambro con citazione dotta finale latina) un inedito su album (Tibet, in cui il vate duetta con Chiara Vergati) che significa che da qualche parte Battiato l'ha già eseguita, e cinque (dico cinque!) 'rimaneggiamenti' di canzoni già presenti in altri album, tra i quali spicca Un'altra vita (Orizzonti perduti, 1983), No time no space (Mondi lontanissimi, 1985), e Haiku (Caffè de la paix, 1993).
Ora, possiamo pure capire l'impellente necessità musicale del nostro – forse un eccesso di ispirazione? - , possiamo pure capire che gli servono soldi per poter produrre il nuovo film che nessun comune mortale vedrà mai, ma l'intera operazione di Inneres auge, compresi gli isterici peana del giornalismo contemporaneo, mi sembra utile quanto può esserlo il tartufo fregnacciaro.
Ma forse, se è vero che Inneres auge vuol dire 'il terzo occhio', Battiato c'ha visto proprio bene e con l'aiuto di uno sguardo in più è andato molto oltre.
Altro che Beati monoculi in terra caecorum.
Franco Battiato
Inneres Auge
Mercury (2009)
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