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Il Paradiso degli Orchi
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CLASSICI

Alfredo Ronci

Il suo biglietto d'addio: 'La luna e i falò' di Cesare Pavese.

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Mai titolo fu stimolo d'interpretazioni così ampie, perché La luna e i falò non è solo un requisito essenziale per capire la sostanza pavesiana e la sua 'contadinità', ma paradossalmente argomento contrario, di metafora in metafora, il senso della vita, della morte e della battaglia politica.

Vediamo meglio: protagonista un emigrante che tornato dall'America ripercorre, insieme al suo amico d'infanzia Nuto, vie e luoghi della sua giovinezza: ricordi dunque che si contrappongono a considerazioni struggenti sull'esistenza e sulle scelte fatte e da fare (Anguilla, così chiamata la voce narrante, 'fuggirà' di nuovo? Resterà dove è nato, si sistemerà, come sembra voglia fare, a Genova?), ma la titolazione incombe non solo come rito propiziatorio, ma anche come segno di morte di violenza: certo i falò accesi, lungo stradine che costeggiano i campi, per scaramanzia e per sperare in raccolti migliori sono segni del tempo e delle consuetudini contadine, ma vi è nella luminescenza dell'atto il desiderio che il fuoco cancelli, memoria e storia: Dispiace pensare a tanti anni vissuti, tante memorie, spariti così in una notte senza lasciare un segno. O no? Magari è meglio così, meglio che tutto se ne vada in un falò d'erba secche e che la gente ricominci.

Il falò è anche la cruda azione che conclude il romanzo: quando il protagonista chiede che fine abbia fatto Santa, la bella ragazza che ambiguamente si era destreggiata, negli ultimi anni di guerra, tra la partigianeria e la delazione, gli viene mestamente risposto: Una donna come lei non si poteva coprirla di terra e lasciarla così. Faceva ancora gola a troppi.

La luna e i falò (non abbiamo di certo dimenticato il primo elemento che anch'esso è bino: da una parte principio sempre propiziatorio per campagne e contadini, dall'altra, la rappresentazione del vuoto di affetti, di una lontananza marcata dalle origini. In America Anguilla dice: "Non c'è niente" gli dissi "è come la luna") è l'impronta del ritorno e della resa dei conti dell'autore col suo passato. I luoghi descritti sono effettivamente quelli di Pavese, così come il personaggio di Nuto è ispirato a Paolo Scaglione, un amico langarolo dello scrittore che faceva il falegname. Ma c'è anche di più: l'identificazione del protagonista e quindi dell'autore, con l'inappartenenza al mondo, prima raccontando di sé stesso bambino, adottato ed accolto in una famiglia che riceveva contributo dal comune di appartenenza, poi con Cinto, ragazzino sciancato, anche lui adottato e vissuto in un contesto non suo, di cui si prende cura successivamente ad un incendio (ancora il fuoco!) che distrugge la casa dove vive e lavora. Due figure dunque legate ai luoghi, ma paradossalmente slegate: Potevo spiegare a qualcuno che quel che cercavo era soltanto di vedere qualcosa che avevo già visto?.

Visto e dunque vissuto e per questo 'pagato'. Pavese, pur rispettando quei luoghi e ad essi collegati i ricordi, non riesce ad amarli fino in fondo. Perché coglie nelle persone gli istinti primordiali (violenze umane su donne, bambini ed animali) ed elementari così da rendere centrale ed essenziale per il romanzo la ferinità come elemento imprescindibile (non è brutale bruciare il corpo di Santina solo perché oltre al corpo non si ritrovi il segno marcante di un tradimento?).

La luna e i falò non poteva non avere memoria storica (lo legga Pansa nella sua ossessiva e parziale ricostruzione dei 'vinti': troverà già tutto. Troverà quello su cui disquisisce inutilmente, perché già di netto conosciuto: Nuto non si era sbagliato. Quei due morti di Gaminella furono un guaio. Cominciarono il dottore, il cassiere, i tre o quattro giovanotti sportivi che pigliavano il vermut al bar, a parlare scandalizzati, a chiedersi quanti poveri italiani che avevano fatto il loro dovere fossero stati assassinati brutalmente dai rossi.)

Con La luna e i falò Pavese torna anche sul luogo di un delitto esistenziale: protagonista dei Mari del sud, poesia inaugurale di Lavorare stanca è un personaggio che torna al paese natio dopo 10 anni trascorsi a vagabondare per il mondo. Alla ricerca forse di radici.

Chissà quante volte ci si è chiesti il motivo principale del suicidio di Pavese: se La luna e i falò, col suo senso straziante, come si diceva prima, di inappartenenza al mondo è stato l'ultimo romanzo scritto vuol dire che lo scrittore aveva anche deciso di firmare il suo totale distacco terreno.

Scrisse nei suoi diari: Libero è soltanto chi si inserisce nella realtà e la trasforma, non chi procede tra le nuvole.

Parlava allora di letteratura. Ma la si può dividere dalla vita?





L'edizione da noi considerata è



Cesare Pavese

La luna e i falò

Oscar Mondadori - 1976







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