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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Elia Rossi

Il tramite

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Saggio non è nessuno che non conosca il buio

che –lieve e implacabile- lo separa da tutti.


Hermann Hesse





Si accese una sigaretta, e subito la allontanò dalla bocca tenendola tra le due dita. Gli piaceva osservare il primo filo di fumo che, come un colpo silenzioso di tosse, si leva dalla brace illuminata.

"Che cazzo di freddo..."

Un freddo che si infilava coi suoi rigagnoli dappertutto, come il fumo. Restò per un attimo a immaginare la bava sottile che lasciava la sigaretta e iniziava a spaccare il gelo della stanza, come una manciata di liquido caldo gettata in un secchio ghiacciato.

"Ecco...", disse ad alta voce, portando in avanti la mano con uno scatto: la sigaretta gli si era spenta tra le dita. Controllò che lo fosse del tutto, prima di rimettera nel pacchetto vuoto.

Lo scartocciare metallico, imprevedibile ma costante, di una lamiera calpestata dal vento dava l'impressione che un disordinato esercito di latta si stesse acquattando là fuori.

"Che cazzo di freddo, che cazzo di freddo...", si ripeteva il ragazzo nella stanza, mentre lo sguardo gli si arrampicava a casaccio sulle pareti scalcinate, a cercare la traccia di qualcosa che in quella stanza fosse successo, prima che la casa venisse abbandonata.

Ogni tanto sollevava le ginocchia e pestava, coi piedi negli scarponi, il pavimento già battuto dal gelo e dal tempo.Ritirò il collo nelle spalle, le spalle nella schiena e strinse le ginocchia l'una all'altra, strofinandole come se fossero mani.

La porta, al piano di sotto, lanciò un tonfo secco nella scala.

"Eccoli", pensò, riportando la mano nella tasca, sul pacchetto con la sigaretta americana non fumata.

"Ciao".

Era una ragazza, coi capelli coperti da un cappellaccio di lana grigia.

"O se preferisci buongiorno, non so..."

"Va bene ciao", rispose lui, ed estrasse le mani dalla tasca. Pensava di muovere un passo verso di lei e darle la mano, ma rimase immobile e con le dita controllò l'ultimo bottone della giacca.

"Tanto dovremo arrivare a dircelo, credo."

"No, direi di no", continuò lei senza andargli incontro, già voltandosi verso la scala che curvava al piano terra. "Io ti porto solo al campo, lì conoscerai altre persone".

Mentre l'ascoltava, scendendo le scale alle sue spalle, pensò che non aveva mai visto una ragazza con degli scarponi militari. Aveva visto scarponi militari e aveva visto ragazze, ma mai gli era capitato che le due cose fossero insieme.

"Era tanto che aspettavi?"

Erano fuori dalla casupola. Si sentì impreparato a quella domanda che, nella distanza di quei giorni e nel gelo che inzuppava i loro cappotti, gli parve quasi intima. Accelerò il passo per raggiungerla, guardandole gli scarponi militari che avanzavano più veloci di lui.

"No, da questa mattina. Perché me lo chiedi?"

Lei scartò un ceppo che imbrogliava la strada, poi ricompose l'andatura.

"Così, niente". Il mento di lei scomparì nella giacca, a ripararsi da un soffio di vento più improvviso degli altri. "Non avevo voglia di sentire il rumore della neve calpestata. Non te lo chiedo più, va bene?"

Rallentò il passo rinunciando a starle a fianco, il sentiero che tagliava nel bosco era un graffio nella neve, lo costringeva a non perdere di vista i propri piedi.

"Io non volevo dire questo".

Gli sembrò che le sue parole fossero neve che cadeva su altra neve, il silenzio di lei rimase intonso.

Sorpassando una staccionata (un'asse isolata e inchiodata ad un tronco) estrasse la mano e la passò sul legno bagnato senza rallentare il passo. Si chiese il perché di quel gesto inutile, scrollando il fastidio che gli si insinuava tra le unghie.

"Cosa fai quando sei giù?"

Il ragazzo tolse lo sguardo dai propri scarponi e per un attimo lo fermò su quella nuca coperta dalla cuffia, per immaginare con che espressione gli stesse ponendo quella domanda.

"Voglio dire", continuò lei, "dalla guerra non puoi arrivare, perché non sembri uno che è nascosto da così tanto tempo. Sei uno che lavora coi libri o arrivi dalle fabbriche?"

"Perché?", rispose lui, che vacillava nel sentiero coperto di neve ma ancora non rinunciava ad affondare le mani nelle tasche del cappotto, "fa differenza quando si spara?"

"Cosa c'entra sparare? Perché hai tirato fuori sparare?"

Lui lasciò ancora lo sguardo sui piedi insicuri. Rimase in silenzio, quasi a cercare per davvero la risposta giusta da dare.

"Sei uno che lavora sui libri allora. Sono loro che fanno subito questa domanda".

"Non ce l'ho la fretta di farlo, se è questo che intendi. Anzi, meno lo faccio meglio è".

Con la mano nella tasca destra, palpeggiava il pacchetto di americane ormai sgualcito come carta. Immaginò la faccia di lei, nascosta dall'altra parte delle spalle, nell'espressione severa di chi ha colto l' inadeguatezza alla situazione fra le parole del suo interlocutore.

"Qual è il tuo nome?"

"Eh, come?"

Sentire che le sue parole continuavano, che questa volta la neve non cadeva su altra neve, gli diede il sollievo di una seconda opportunità. La prima parola gli uscì come il sorriso dopo un pianto.

"Giosuè, Giosuè Scanetti mi chiamo".

"Non voglio sapere come ti chiami da civile, non me lo devi dire. Dicevo il tuo nome in guerra, il tuo nome da civile non l'ho neanche sentito. Non lo deve sentire nessuno".

Il tono disegnò il volto duro di lei, come uno specchio posto alla sua fronte che riflettesse l'immagine anche a lui che la seguiva. Poi si voltò un attimo a guardarlo, e lui si accorse che il suo viso era più giovane di come lo ricordava da quando l'aveva incontrata poco prima.

"Non lo so, non lo so ancora. Non me lo sono dato un nome di guerra".

"Io sono Angelina", tagliò lei, e a lui parve accelerasse il passo.

Si sentì vicino ad inciampare, così rinunciò a tenere le mani nelle tasche. Camminava lasciandole sospese ai lati del corpo, e nel guardarle nude le pensò come due bambini sul tavolo metallico di un ospedale. L'aria gelida gli dava l'impressione che non fossero mani nel vuoto, ma che si accompagnassero seguendo una staccionata di cristallo tagliente. Immaginò la linea insanguinata tracciata sui palmi come un solco preciso e pulito. E si figurò la bava sottile e rossa lasciata alle sue spalle, come un filo in un labirinto.

Il bosco si faceva mano a mano meno fitto, ma il pomeriggio cominciava a dissiparsi. La neve sembrava illuminata dalla luce scura che scendeva, così che il sentiero che la tagliava era visibile come un rigagnolo di acqua bianca che scola verso chissà dove. Lei non parlava, ma continuava a camminare sempre più sicura, forse anche lei immaginando il rigagnolo brillane e bianco.

Camminarono per un'altra mezzora probabilmente, o almeno a lui sembrò così.

Poi sentì che il friggere degli scarponi di lei sulla neve si zittì, lasciando posto al rumore del suo respiro un po' affannato. Sollevò la testa e la vide ferma davanti a sé, voltata questa volta verso di lui, con le spalle al sentiero che proseguiva. Spalancò la bocca, ma lei lo interruppe con un gesto che indicava alle sue spalle.

"Lì dietro c' è il campo. Devi avanzare oltre l'ultima fila di alberi, poi lo vedi di fronte a te".

Non seppe rispondere, per quanto non ci fosse nessuna domanda che richiedeva una risposta. Con la mano reinserita nella tasca stringeva il pacchetto con l'americana spenta.

"Io non ti posso accompagnare, proseguo lungo questo sentiero perché devo arrivare il prima possibile all'altra base".

"Va bene", aggiunse questa volta.

"Ciao avevi detto che va bene", concluse lei riportando il volto verso il sentiero.

"Sì sì, avevo detto che va bene..." Lo ripeté quasi senza capire il senso delle parole che stava pronunciando.

"Ciao".

Lei ripeté la stessa parola e mosse avanti. Poi si voltò.

"Hai una sigaretta?"

Estrasse la mano dalla tasca con l'intento di prenderla, per tenerla sospesa e riportarla subito nello stesso posto ed estrarla questa volta con il pacchetto.

"Sì", disse. Accartocciò il pacchetto vuoto e consegnò a lei l'americana già annerita di brace.

"Grazie", disse infilandola nel cappotto. "Lì non spara nessuno, ma segnalati prima di avanzare troppo".

Mosse le labbra come si solleva una mano e si incamminò.

"Chi sei?", gridò una voce di uomo non appena ebbe superato la fila di alberi

"Sono dei vostri, sono anch'io con voi", rispose alla figura che gli veniva incontro. "Mi ha portato Angela. Devo venire con voi".

L' uomo lo raggiunse. Portò lo sguardo sul sentiero, scrutando alle sue spalle, poi lo rimise sul ragazzo e gli indicò di seguirlo.

"Sono tutti nella baracca in fondo, io sto qui fuori a far la guardia. Dì anche a loro che ti ha portato Primula".

Il ragazzo si voltò a guardarlo.

"Il suo nome da civile non voglio saperlo, se te l'ha detto a te sono fatti suoi. Digli che ti ha portato Primula, poi ti spiegheranno tutto il resto".

Il buio era ormai calato del tutto, lui camminava verso la baracca immaginando che nella distesa di neve non ci fosse nulla. Ascoltò il rumore della neve calpestata e pensò che la distesa scricchiolava come le pareti di una nave in un mare d'acqua. Si sentiva stanco di quel rumore come se la barca fosse naufragata da tempo senza sapere più da che parte fosse il porto.

Aveva già la mano sul portone di legno gelato, ma non riuscì a non voltarsi. Oltre la distesa di neve, nel buio del sentiero, la sua americana luccicava.





Elia Rossi



E' nato a Borgomanero il 3 maggio 1986.

Ha una laurea triennale in Filosofia Teoretica e si sta per laureare (specialistica) in Storia della Filosofia.

Nel 2008 ha ricevuto il premio "Migliori Laureati dell'Università del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro", con una tesi sul tema delle nuove rappresentazioni della morte conseguenti alla massificazione della cultura.







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