RECENSIONI
Amnesty International
Invisibili
Edizioni Gruppo Abele, Pag.134 Euro 12,00
Principio della negazione della negazione. Ovvero, se dei cosi stanno capovolti, bisogna capovolgerli per averli diritti.
Perché i diritti, loro, ce li avrebbero - "loro" sono gli immigrati in genere, e in specie i pischèlli con meno di diciotto anni (in viaggio o in fuga). Sono regole stabilite da carte universali, convenzioni internazionali, direttive d'organismi sovranazionali, costituzioni di stati: e leggi, decreti e circolari che le recepiscono nei codici dei paesi firmatari - e se non lo fanno, vi sono organismi appositi che ne contestano la validità (come per la 189/02, detta Bossi-Fini, che ha ricevuto più eccezioni d'incostituzionalità (seicentocinquantasette) d'ogni altro dispositivo repubblicano. (Vedi la p. 33 del volume che qui si presenta)
In esse norme (pp. 60 e segg.) si stabilisce che ogni individuo ha pari dignità, e non può essere trattato altrimenti che rispettandola. Che non può essere rimpatriato ove sussistano guerre, dittature, o qualora egli appartenga a categorie che, nello stato dal quale proviene, sian soggette a genocidio o a discriminazioni. Che ha diritto nei casi previsti all'accesso alla procedura di asilo. Per i ragazzi in special modo, i canoni prescrivono: che bisogna partire dal loro "superiore interesse", e fornire loro assistenza, non detenzione, in particolare dal punto di vista medico e legale. Che, qualora vengano internati in deroga occasionale ai principi stabiliti, non devono condividere spazi e orari con adulti, a meno che non siano famigliari, o che sia consigliabile nell'interesse dei ragazzi medesimi. Che non possono venir isolati, e devono ricevere un'istruzione - anche se privi di permesso di soggiorno. (p. 38) Che i bambini e i giovani senza famiglia non possono venir espulsi, (p. 39) e che dispongono inoltre (p. 81) del diritto a esser ricongiunti ai consanguinei, se ne hanno, o di venir affidati a una famiglia, oppure a un adatto centro di accoglienza. Che quelli di loro che abbiano sofferto abusi di qualsiasi forma, fino all'estrema della tortura, o abbiano partecipato a conflitti armati, ovvero ne abbiano subìto le conseguenze, hanno il diritto a cure e assistenza specialistica.
E - ripeto - ciò è materia di diritto. Non di carità, elemosina, concessione, commozione, tivvù-sciò, amor della Carrà. E' quel che stabilisce la legge, seguendo gli assiòmi che la "civiltà occidentale", di cui si va molto fieri tempo venendo a questa parte, ha elaborato in millenni di conflitti, errori, orrori, sconfitte, lezioni da civiltà diverse, fregnacce, contro le forze che rappresentano la negazione d'ogni Parola della ragione umana e divina. Noi in Atene facciamo così, (Pericle) e lo chiamiamo Diritto.
Invece, "noi in Italia" facciamo lo storto: "le garanzie di protezione previste dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia per chiunque abbia meno di diciotto anni sono ignorate dalle autorità italiane in molte fasi successive all'arrivo dei minori migranti alla frontiera marittima, con particolare riferimento ai trasferimenti forzati e alla detenzione in luoghi diversi, tra cui strutture fisse, campi chiusi e unità mobili. Le inadempienze riguardano anche gli standard internazionali a tutela delle persone detenute, dei richiedenti asilo e dei migranti irregolari. Ciò ha prodotto rischi di violazioni dei diritti umani di centinaia di minori migranti e richiedenti asilo, tra i quali neonati, bambini molto piccoli e minori non accompagnati". (p. 101) Non solo: le autorità italiane hanno anche mancato di strutturare il servizio che, secondo i "principi di Parigi", (pp. 19-21) dovrebbe vigilare in materia. E intralciano le organizzazioni non governative, le cui attività di monitoraggio e verifica, stando ai dettàmi dell'ONU e dell'UE, sono riconosciute e valorizzate, in particolare quando v'è poca trasparenza degli organi preposti, e dunque è possibile il costituirsi d'una mafia istituzionale di abusi e impunità - rigettata peraltro dai più attenti sindacalisti di polizia, i quali rifiutano, con i loro soci meno insensibili, il ruolo di ciechi esecutori. (p. 57)
Tale silenzio ufficiale crea, per la mancanza di risposte (e se vengono, non son chiare) e di statistiche affidabili, (pp. 36-7) l' invisibilità dei ragazzi e dei loro problemi - e il fraintendimento del problema reale dell'immigrazione. E lascia, alla pubblica opinione, non altro modo di vedere se non quello dei dèditi alla mistica dell'emergenza immigrazione, che implica regolamenti d'urgenza, (pp. 62-3) e al chiàgn' e fotti della gazzetterìa che descrive i migranti sempre e solo "come portatori di problemi sociali e di illegalità" (p. 29) - dimenticando che sono quelli che domani ci pagheranno le pensioni, e oggi lavorano nelle nostre fabbriche, accudiscono i nostri malati, badano ai nostri vecchi.
A proposito di emergenze, mi piace ricordare un'impressione d'Africa (raccolta in un Geo&geo forse del febbraio 2002): c'era una volta (e ancora c'è) il Malawi, retto da un dittatore paternalista che rifiuta la modernità occidentale. Che vuole, per i suoi sudditi, una civiltà agreste, contadina, tradizionale, poveraccia, priva non dico del telefonino, ma del telefono - e di aiuti internazionali. Bene? Male? Chissà. Sta di fatto che, un giorno, alle frontiere di questa nazione si presentano un milione di profughi di guerra. E i malawiti sono nove milioni scarsi - come se sulle coste della Puglia amarrassero cinque milioni di migranti. Caos? Fucilate alle frontiere? Emergenzissima? Macché! Ogni famiglia si becca un malcapitato. E la cosa viene presa senza scosse: se bambina, aiuterà nei mestieri casalinghi. Se maschietto, baderà alle bestie. Se donna, solleverà le femmine di casa da qualche lavoro donnesco. Se uomo - benedetto! - sarà braccia per il campicello, per la rete dei pescatori, per la difesa della famiglia. Tanto simile è la cultura degli uni e degli altri, che l'integrazione è semiautomatica - come una mitraglietta. Pasolini: "non era l'età dell'oro. Ma l'età del pane". Che rendeva gli uomini uguali ma non identici, e ugualmente necessari. Scetàteve uàjun'e malawiti!
A chiudere: ma che càppio c'entra un libro come questo con una rivista (fichissima!) di letteratura? Beh: innanzitutto, si sarà notato che, citazioni a parte, in questo scrittorello si è evitato di usare i termini "minori" o "minorenni". Perché la letteratura, tra le sue funzioni, ha quella di sorvegliare il linguaggio: il proprio, e l'altrui. E chiamare "minori" i bambini, i ragazzini, i giovani, significa comunque assegnar loro la seconda linea rispetto agli adulti. Il che vale a dire che i loro diritti sono concessioni dei maggiorenni e maggiorenti. Ricordava don Milani: chi era il rappresentante dei "carùsi", dei ragazzini sfruttati nelle solfare siciliane? Il marchese padrone delle solfare. E anche questo qualche cosa vorrà dire, no?
Dopodiché, si può fare letteratura per tanti motivi. Perché da autori cuccioli si beccava dieci al tema d'italiano: perché dopo si va a fare la fatìna dei finocchi in tv; perché la moldava (intesa come colf) ti riconosce: "dotàre, lò vìzita ierenòte ne'lo televìzio, che belo in trasmìzio di Amìchi". Ma si può farla pensando che scrivere sia rendere visibile una determinata condizione, farla uscire dall'anonimato, dal preconcetto, dal non-detto, dal mal-detto, dall'indicibile - perché nessuno possa dire "ma io non lo sapevo!", "ma io non c'ero, se c'ero dormivo, se dormivo sognavo di non starci". E' l'opposto del telecontrollo: in questo caso, si rende (più) libero chi non lo è, riportando gli atti relativi alla singola condotta che lo penalizza, e dunque non entrando in questioni che non riguardano altri se non lui; con la videosorveglianza è meno libero chi deve esserlo, registrando ogni suo atto, anche insignificante - e dunque immeritevole di rubrica.
E allora un libro intitolato Invisibili in quest'idea di prassi letteraria come arte della vista, della libertà e della coscienza ci casca a fagiuolo. Malgrado la prefazione di uno Scrittore di Fama. Che - per non farsi mancare niente - mescola culo e quarant'ore, e cita fra i guasti dell'immigrazione il traffico d'organi, (p. 9) cavallo di battaglia dei "coloro i quali" fanno informazione "pàrp, mórto pàrp, pure troppo pàrp". Ad ogni morte di "pulp", quindi.
di Vera Barilla
Perché i diritti, loro, ce li avrebbero - "loro" sono gli immigrati in genere, e in specie i pischèlli con meno di diciotto anni (in viaggio o in fuga). Sono regole stabilite da carte universali, convenzioni internazionali, direttive d'organismi sovranazionali, costituzioni di stati: e leggi, decreti e circolari che le recepiscono nei codici dei paesi firmatari - e se non lo fanno, vi sono organismi appositi che ne contestano la validità (come per la 189/02, detta Bossi-Fini, che ha ricevuto più eccezioni d'incostituzionalità (seicentocinquantasette) d'ogni altro dispositivo repubblicano. (Vedi la p. 33 del volume che qui si presenta)
In esse norme (pp. 60 e segg.) si stabilisce che ogni individuo ha pari dignità, e non può essere trattato altrimenti che rispettandola. Che non può essere rimpatriato ove sussistano guerre, dittature, o qualora egli appartenga a categorie che, nello stato dal quale proviene, sian soggette a genocidio o a discriminazioni. Che ha diritto nei casi previsti all'accesso alla procedura di asilo. Per i ragazzi in special modo, i canoni prescrivono: che bisogna partire dal loro "superiore interesse", e fornire loro assistenza, non detenzione, in particolare dal punto di vista medico e legale. Che, qualora vengano internati in deroga occasionale ai principi stabiliti, non devono condividere spazi e orari con adulti, a meno che non siano famigliari, o che sia consigliabile nell'interesse dei ragazzi medesimi. Che non possono venir isolati, e devono ricevere un'istruzione - anche se privi di permesso di soggiorno. (p. 38) Che i bambini e i giovani senza famiglia non possono venir espulsi, (p. 39) e che dispongono inoltre (p. 81) del diritto a esser ricongiunti ai consanguinei, se ne hanno, o di venir affidati a una famiglia, oppure a un adatto centro di accoglienza. Che quelli di loro che abbiano sofferto abusi di qualsiasi forma, fino all'estrema della tortura, o abbiano partecipato a conflitti armati, ovvero ne abbiano subìto le conseguenze, hanno il diritto a cure e assistenza specialistica.
E - ripeto - ciò è materia di diritto. Non di carità, elemosina, concessione, commozione, tivvù-sciò, amor della Carrà. E' quel che stabilisce la legge, seguendo gli assiòmi che la "civiltà occidentale", di cui si va molto fieri tempo venendo a questa parte, ha elaborato in millenni di conflitti, errori, orrori, sconfitte, lezioni da civiltà diverse, fregnacce, contro le forze che rappresentano la negazione d'ogni Parola della ragione umana e divina. Noi in Atene facciamo così, (Pericle) e lo chiamiamo Diritto.
Invece, "noi in Italia" facciamo lo storto: "le garanzie di protezione previste dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia per chiunque abbia meno di diciotto anni sono ignorate dalle autorità italiane in molte fasi successive all'arrivo dei minori migranti alla frontiera marittima, con particolare riferimento ai trasferimenti forzati e alla detenzione in luoghi diversi, tra cui strutture fisse, campi chiusi e unità mobili. Le inadempienze riguardano anche gli standard internazionali a tutela delle persone detenute, dei richiedenti asilo e dei migranti irregolari. Ciò ha prodotto rischi di violazioni dei diritti umani di centinaia di minori migranti e richiedenti asilo, tra i quali neonati, bambini molto piccoli e minori non accompagnati". (p. 101) Non solo: le autorità italiane hanno anche mancato di strutturare il servizio che, secondo i "principi di Parigi", (pp. 19-21) dovrebbe vigilare in materia. E intralciano le organizzazioni non governative, le cui attività di monitoraggio e verifica, stando ai dettàmi dell'ONU e dell'UE, sono riconosciute e valorizzate, in particolare quando v'è poca trasparenza degli organi preposti, e dunque è possibile il costituirsi d'una mafia istituzionale di abusi e impunità - rigettata peraltro dai più attenti sindacalisti di polizia, i quali rifiutano, con i loro soci meno insensibili, il ruolo di ciechi esecutori. (p. 57)
Tale silenzio ufficiale crea, per la mancanza di risposte (e se vengono, non son chiare) e di statistiche affidabili, (pp. 36-7) l' invisibilità dei ragazzi e dei loro problemi - e il fraintendimento del problema reale dell'immigrazione. E lascia, alla pubblica opinione, non altro modo di vedere se non quello dei dèditi alla mistica dell'emergenza immigrazione, che implica regolamenti d'urgenza, (pp. 62-3) e al chiàgn' e fotti della gazzetterìa che descrive i migranti sempre e solo "come portatori di problemi sociali e di illegalità" (p. 29) - dimenticando che sono quelli che domani ci pagheranno le pensioni, e oggi lavorano nelle nostre fabbriche, accudiscono i nostri malati, badano ai nostri vecchi.
A proposito di emergenze, mi piace ricordare un'impressione d'Africa (raccolta in un Geo&geo forse del febbraio 2002): c'era una volta (e ancora c'è) il Malawi, retto da un dittatore paternalista che rifiuta la modernità occidentale. Che vuole, per i suoi sudditi, una civiltà agreste, contadina, tradizionale, poveraccia, priva non dico del telefonino, ma del telefono - e di aiuti internazionali. Bene? Male? Chissà. Sta di fatto che, un giorno, alle frontiere di questa nazione si presentano un milione di profughi di guerra. E i malawiti sono nove milioni scarsi - come se sulle coste della Puglia amarrassero cinque milioni di migranti. Caos? Fucilate alle frontiere? Emergenzissima? Macché! Ogni famiglia si becca un malcapitato. E la cosa viene presa senza scosse: se bambina, aiuterà nei mestieri casalinghi. Se maschietto, baderà alle bestie. Se donna, solleverà le femmine di casa da qualche lavoro donnesco. Se uomo - benedetto! - sarà braccia per il campicello, per la rete dei pescatori, per la difesa della famiglia. Tanto simile è la cultura degli uni e degli altri, che l'integrazione è semiautomatica - come una mitraglietta. Pasolini: "non era l'età dell'oro. Ma l'età del pane". Che rendeva gli uomini uguali ma non identici, e ugualmente necessari. Scetàteve uàjun'e malawiti!
A chiudere: ma che càppio c'entra un libro come questo con una rivista (fichissima!) di letteratura? Beh: innanzitutto, si sarà notato che, citazioni a parte, in questo scrittorello si è evitato di usare i termini "minori" o "minorenni". Perché la letteratura, tra le sue funzioni, ha quella di sorvegliare il linguaggio: il proprio, e l'altrui. E chiamare "minori" i bambini, i ragazzini, i giovani, significa comunque assegnar loro la seconda linea rispetto agli adulti. Il che vale a dire che i loro diritti sono concessioni dei maggiorenni e maggiorenti. Ricordava don Milani: chi era il rappresentante dei "carùsi", dei ragazzini sfruttati nelle solfare siciliane? Il marchese padrone delle solfare. E anche questo qualche cosa vorrà dire, no?
Dopodiché, si può fare letteratura per tanti motivi. Perché da autori cuccioli si beccava dieci al tema d'italiano: perché dopo si va a fare la fatìna dei finocchi in tv; perché la moldava (intesa come colf) ti riconosce: "dotàre, lò vìzita ierenòte ne'lo televìzio, che belo in trasmìzio di Amìchi". Ma si può farla pensando che scrivere sia rendere visibile una determinata condizione, farla uscire dall'anonimato, dal preconcetto, dal non-detto, dal mal-detto, dall'indicibile - perché nessuno possa dire "ma io non lo sapevo!", "ma io non c'ero, se c'ero dormivo, se dormivo sognavo di non starci". E' l'opposto del telecontrollo: in questo caso, si rende (più) libero chi non lo è, riportando gli atti relativi alla singola condotta che lo penalizza, e dunque non entrando in questioni che non riguardano altri se non lui; con la videosorveglianza è meno libero chi deve esserlo, registrando ogni suo atto, anche insignificante - e dunque immeritevole di rubrica.
E allora un libro intitolato Invisibili in quest'idea di prassi letteraria come arte della vista, della libertà e della coscienza ci casca a fagiuolo. Malgrado la prefazione di uno Scrittore di Fama. Che - per non farsi mancare niente - mescola culo e quarant'ore, e cita fra i guasti dell'immigrazione il traffico d'organi, (p. 9) cavallo di battaglia dei "coloro i quali" fanno informazione "pàrp, mórto pàrp, pure troppo pàrp". Ad ogni morte di "pulp", quindi.
di Vera Barilla
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