CLASSICI
Alfredo Ronci
Jim Thompson. Un narratore fuori dalla grazia di Dio. Per fortuna.
Dei ventinove romanzi pubblicati da Jim Thompson tra il 1942 e il 1973, solo tre ebbero un'edizione 'normale', tutti gli altri uscirono direttamente in paperback. Cioè in quei volumi destinati a soppiantare le riviste pulp di prima della guerra (la seconda ovviamente), che erano venduti all'ingrosso ad una batteria di distributori che li consegnava a sua volta in quantità industriali alle edicole delle stazioni degli autobus, ai drugstores e ad altri punti vendita. Libri destinati, dopo poco tempo, a diventar carta straccia.
Quando Thompson morì il 7 aprile del 1977 ad Hollywood nessuno dei suoi libri era in catalogo nelle edizioni americane (figuriamoci in quelle italiane che però, grazie all'intuito dell'allora responsabile del Giallo Mondadori, il mai troppo compianto Alberto Tedeschi, portò alla conoscenza del pubblico nostrano un certo numero di opere thompsoniane tra il 1969 e il 1971, tra cui quella che è considerata il suo capolavoro La belva che è dentro di me (The killer inside me). Ma, come spesso accade agli scrittori grandi e sottovalutati, fu l'inizio della fine, la fine dell'ostracismo e dell'incomprensione di un talento narrativo che qualcuno, forse in vena di grandeur, ha definito il Dostoevskij del noir.
Colpo di spugna (1964, originale: Pop 1280, che curiosamente in Italia fu pubblicato col suo vero titolo in un'edizione del 1966 per i Rapidi Mondadori) è definito da tutti il gemello de La belva che è dentro di me perché racconta le gesta di un vicesceriffo che agli occhi dell'opinione pubblica sembra un uomo dimesso e incapace a risolvere problemi, in realtà una sorta di giustiziere implacabile che elimina ogni ostacolo che si frappone alla sua attività (Thompson era ossessionato dalla figura di un vicesceriffo incontrato nella realtà. In un passo della sua autobiografia scrisse: Non l'ho mai più rivisto, quel vicesceriffo, ma non riuscivo a togliermelo dalla testa. E più mi restava in mente, più grande era il suo mistero (...) Alla fine, col passare del tempo, riuscii a metterlo su carta, l'assassino amabile e sardonico del mio quarto romanzo La belva che è dentro di me. Ma ce n'è voluto di tempo: quasi trent'anni. E ancora non riesco a togliermelo dalla testa).
Nick Corey (il nome del protagonista) è un uomo abietto, codardo e viscido che sembra non avere coraggio delle sue opinioni, ma nell'apparenza dimessa del suo incedere, mostra gli artigli con una sottigliezza senza pari: Non me ne vengo fuori a dire che voi amici sbaglierete, ma neppure penso che posso essere d'accordo con voi.
E in effetti, pochissime volte è d'accordo con chi si frappone alla sua granitica volontà di rappresentare l'autorità tra i 1279 abitanti di Potts County, e quando non può fare a meno di avere la meglio civilmente sull'avversario (sia esso politico, sia perché da questi ha subìto uno sgarro, sia una delle tante amanti di cui si circonda) lo elimina senza pensarci troppo. E nonostante ciò, conscio del suo ruolo e della sua personale visione della giustizia, è capace di sostenere che la gente cerca soluzioni facili a grandi problemi. Definizione questa, al di là del 'martirio' degli avversari, che si potrebbe benissimo adattare alla nostra situazione attuale (non solo italiana, intendiamoci).
Nick Corey non è certamente 'elemento' unico nella produzione thompsoniana, anzi, come dice James Sally nel bel saggio Vite difficili (Giano editore – 2004) dedicato anche ad altri due grandissimi del noir americano, Goodis e Himes, lo scrittore è sempre consapevole che gli orrori della psiche del singolo hanno la loro radice negli orrori cosiddetti ufficiali, stato, chiesa e famiglia, e con un orecchio sempre rivolto alla 'tremenda voce della giustificazione".
In questa avventura narrativa (nell'accezione che riguarda non solo Colpo di spugna ma la totalità della sua produzione) Thompson s'appoggia ad un linguaggio scarno, ma mai banale, essenziale, ma non ordinario, con punte di assoluta comicità (scovai un pelo che mi spuntava dal naso. Un lungo pelo. Lo strappai via e mi misi a osservarlo. Non aveva un'aria granché interessante. Lo lasciai andare, chiedendomi se un pelo che ti cade dal naso ha la stessa importanza di un passerotto impiombato. Mi sollevai su una natica e mollai uno di quei lunghi, interminabili peti, quelli che non si ha mai il coraggio di lasciarsi scappare quando c'è gente in giro), che rappresenta però un quadro veritiero di occhi sbarrati che guardano verso l'abisso. Sì, perché l'America che Thompson racconta non è certamente quella patinata della 'way of life': è un mondo rovesciato e perverso dove a primeggiare sono sempre e comunque gli impulsi primari. Quelli, per fortuna, ma qualche moralista potrebbe dire purtroppo, più veri.
Si aggiunga che di questo romanzo esiste una versione cinematografica (contraddittorii furono i rapporti di Thompson col cinema. Quando era ancora uno sconosciuto scrittore di paperbacks collaborò con Stanley Kubrick alla stesura della sceneggiatura di Rapina a mano armata – 1956. Nel 1972 collaborò con Sam Peckinpah alla realizzazione di Getaway, tratto dal suo romanzo omonimo, ma solo alla sua morte Hollywood si è accorto della sua grandezza realizzando altre tre pellicole), ed esattamente Coup de torchon di Bertrand Tavernier (1981) che, a detta di tutti, risultò priva della 'mano' dello scrittore statunitense.
L'edizione da noi considerata è:
Jim Thompson
Colpo di spugna
Tea Due
Milano 1992
Quando Thompson morì il 7 aprile del 1977 ad Hollywood nessuno dei suoi libri era in catalogo nelle edizioni americane (figuriamoci in quelle italiane che però, grazie all'intuito dell'allora responsabile del Giallo Mondadori, il mai troppo compianto Alberto Tedeschi, portò alla conoscenza del pubblico nostrano un certo numero di opere thompsoniane tra il 1969 e il 1971, tra cui quella che è considerata il suo capolavoro La belva che è dentro di me (The killer inside me). Ma, come spesso accade agli scrittori grandi e sottovalutati, fu l'inizio della fine, la fine dell'ostracismo e dell'incomprensione di un talento narrativo che qualcuno, forse in vena di grandeur, ha definito il Dostoevskij del noir.
Colpo di spugna (1964, originale: Pop 1280, che curiosamente in Italia fu pubblicato col suo vero titolo in un'edizione del 1966 per i Rapidi Mondadori) è definito da tutti il gemello de La belva che è dentro di me perché racconta le gesta di un vicesceriffo che agli occhi dell'opinione pubblica sembra un uomo dimesso e incapace a risolvere problemi, in realtà una sorta di giustiziere implacabile che elimina ogni ostacolo che si frappone alla sua attività (Thompson era ossessionato dalla figura di un vicesceriffo incontrato nella realtà. In un passo della sua autobiografia scrisse: Non l'ho mai più rivisto, quel vicesceriffo, ma non riuscivo a togliermelo dalla testa. E più mi restava in mente, più grande era il suo mistero (...) Alla fine, col passare del tempo, riuscii a metterlo su carta, l'assassino amabile e sardonico del mio quarto romanzo La belva che è dentro di me. Ma ce n'è voluto di tempo: quasi trent'anni. E ancora non riesco a togliermelo dalla testa).
Nick Corey (il nome del protagonista) è un uomo abietto, codardo e viscido che sembra non avere coraggio delle sue opinioni, ma nell'apparenza dimessa del suo incedere, mostra gli artigli con una sottigliezza senza pari: Non me ne vengo fuori a dire che voi amici sbaglierete, ma neppure penso che posso essere d'accordo con voi.
E in effetti, pochissime volte è d'accordo con chi si frappone alla sua granitica volontà di rappresentare l'autorità tra i 1279 abitanti di Potts County, e quando non può fare a meno di avere la meglio civilmente sull'avversario (sia esso politico, sia perché da questi ha subìto uno sgarro, sia una delle tante amanti di cui si circonda) lo elimina senza pensarci troppo. E nonostante ciò, conscio del suo ruolo e della sua personale visione della giustizia, è capace di sostenere che la gente cerca soluzioni facili a grandi problemi. Definizione questa, al di là del 'martirio' degli avversari, che si potrebbe benissimo adattare alla nostra situazione attuale (non solo italiana, intendiamoci).
Nick Corey non è certamente 'elemento' unico nella produzione thompsoniana, anzi, come dice James Sally nel bel saggio Vite difficili (Giano editore – 2004) dedicato anche ad altri due grandissimi del noir americano, Goodis e Himes, lo scrittore è sempre consapevole che gli orrori della psiche del singolo hanno la loro radice negli orrori cosiddetti ufficiali, stato, chiesa e famiglia, e con un orecchio sempre rivolto alla 'tremenda voce della giustificazione".
In questa avventura narrativa (nell'accezione che riguarda non solo Colpo di spugna ma la totalità della sua produzione) Thompson s'appoggia ad un linguaggio scarno, ma mai banale, essenziale, ma non ordinario, con punte di assoluta comicità (scovai un pelo che mi spuntava dal naso. Un lungo pelo. Lo strappai via e mi misi a osservarlo. Non aveva un'aria granché interessante. Lo lasciai andare, chiedendomi se un pelo che ti cade dal naso ha la stessa importanza di un passerotto impiombato. Mi sollevai su una natica e mollai uno di quei lunghi, interminabili peti, quelli che non si ha mai il coraggio di lasciarsi scappare quando c'è gente in giro), che rappresenta però un quadro veritiero di occhi sbarrati che guardano verso l'abisso. Sì, perché l'America che Thompson racconta non è certamente quella patinata della 'way of life': è un mondo rovesciato e perverso dove a primeggiare sono sempre e comunque gli impulsi primari. Quelli, per fortuna, ma qualche moralista potrebbe dire purtroppo, più veri.
Si aggiunga che di questo romanzo esiste una versione cinematografica (contraddittorii furono i rapporti di Thompson col cinema. Quando era ancora uno sconosciuto scrittore di paperbacks collaborò con Stanley Kubrick alla stesura della sceneggiatura di Rapina a mano armata – 1956. Nel 1972 collaborò con Sam Peckinpah alla realizzazione di Getaway, tratto dal suo romanzo omonimo, ma solo alla sua morte Hollywood si è accorto della sua grandezza realizzando altre tre pellicole), ed esattamente Coup de torchon di Bertrand Tavernier (1981) che, a detta di tutti, risultò priva della 'mano' dello scrittore statunitense.
L'edizione da noi considerata è:
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