INTERVISTE
L.R.Carrino

Come è nostra abitudine, t'inviterei a parlare dei tuoi precedenti, prima della pubblicazione di "Acqua storta".
Sono un informatico. Venticinque anni che scrivo. Da 'fuori'quello che si vede sono due libri di poesia (10 anni per scriverne il primo e altri 10 per l'altro: di questo passo il prossimo lo faccio a sessant'anni). Tre testi teatrali. Un po' di radio. La cura di qualche raccolta multiautore per editori piccoli. La direzione di una collana di Poesia e una di Narrativa, sempre per piccoli editori 'seri'. Un po' di racconti sparsi ovunque. Forse vale la pena di menzionare i due su Men on Men 5, raccolta di racconti a tematica omosessuale curata da Scalise, per Mondadori.
Parlando di letteratura gay spesso diciamo che è funerea e triste, soprattutto quella italiana. Ammettendo che tu la "pratichi", nel tuo romanzo, per il tema che affronta, la tragedia è inevitabile, ma non ti sembra che un po' di ragione l'abbiamo?
Mi concedo 'il parlato' e non lo 'scrittorese'. Se non posso, vi prego di perdonare le mie parole.
La definizione "Letteratura gay" è oscena (come Letteratura femminile, o Letteratura maschile, ecc...). Mi immagino una scatola un po' bistrattata, mezza sfasciata, tenuta integra da un nastro adesivo consunto, dove sommariamente sono contenute le 'tutte cose' omosessuali, e con sopra un post-it che riporta: "Letteratura gay". La letteratura o è buona o è cattiva. Poi, che si parli di Goldrake o degli amplessi dei caimani amazzoni, è questione di tema. Il tema del mio romanzo non è l'omosessualità effetto confettino-rosa, ma lo stato delle cose all'interno di un meccanismo, di un mondo qual è quello della camorra, la modalità di pensiero, il processo stesso del pensare.
Su temi come omosessualità e integrazione, le modalità che ho mostrato non sono così lontane da realtà cosiddette 'normali'. M'ero convinto che non potesse essere nemmeno concepita l'idea di omosessualità per un uomo di camorra ('concepita' nel senso di essere accettata come impulso, e quindi dare seguito a questo impulso). Poi ho cambiato idea, osservando le cose che mi stanno intorno. Ho definito i tratti di Giovanni (la voce che racconta da dentro il suo stesso mondo, senza sistema privilegiato di riferimento) pensando alla sua impossibilità di dirsi che era omosessuale. Non può dirselo per ruolo (è l'erede di un clan), per educazione, per ambiente, per come era è creato, forgiato all'interno del suo contesto. Ma la cosa più triste è che non può nemmeno pensarlo, per mancanza di mezzi. Il binomio camorra-gay è uno spunto di riflessione (credo). Ognuno farà le sue.
Funerea? La tragedia non è il mio romanzo ma è Napoli, diventata ormai una vera e propria location noir. Te li immagini Giovanni e Salvatore che fuggono in Brasile sotto falso nome? (Io volevo metterci, alla fine del libro, due brasiliane colorate,o due cubani, ma l'editore ha detto che costava troppo mettere immagini in movimento su un supporto statico per definizione...).
Una piccola osservazione (ego-centrata): il protagonista di Acqua Storta è Mariasole, la moglie di Giovanni; il suo silenzio, la sottrazione della sua voce, la sua capacità d'amare, il suo sacrificio e la sua forza, il suo estremo gesto d'amore, fino alla fine, 'stando' nelle cose ma senza 'rumore assordante'.
A proposito di letteratura "tout court". Nel tuo blog leggo: "Io penso che la letteratura, qualora qui ce ne sia traccia, dovrebbe essere separata dal credo, sia politico che religioso (io sono ateo, per capirci), al fine di assolvere la sua funzione: ossia, nessuna che io sappia". Io pensavo che lo scopo della letteratura fosse quello di ritrarre la realtà diversamente da una macchina fotografica e che definisse anche cose che in genere, in questa società perbenista e falsa, non si dicono o non si "rappresentano". Quindi che avesse anche un fine "politico".
Vero in parte. Nel senso che per me la letteratura in generale non deve necessariamente essere morale, o deve educare, lasciare un messaggio o che. La tecnica di Acqua Storta è il banale show dont'tell, ossia un personaggio che da dentro dice le 'sue' verità. Non c'è niente di direttamente politico in tutto questo (al massimo sociologico, ma nemmeno...), solo emozioni, sentimenti, linguaggio del corpo, dialogo, situazioni contestuali, altre realtà. A me non interessa scrivere per divulgare (non ho questa pretesa né tendo a). A me interessa "mostrare". Poi ognuno si fa la sua idea. Chiaramente questa mia modalità, per proprietà transitiva, ha qualcosa di 'politico'. Ecco perché in parte sono d'accordo con la tua affermazione.
Sono stufo di menate come tecniche di comunicazione, fruibilità del messaggio, carinerie interattive da terzo millennio. Gli Italiani sono diventati superficiali ed egoisti. Coltivano il loro orticello. Vanno a messa la domenica. Ma non vedono oltre il proprio nasino. Non è una condanna, per carità. È anche vero che le cose vanno più in fretta di ieri, non si ha tempo. Però il tempo per sputare sentenze senza cognizione di causa, quello sì, quello lo troviamo sempre. La colpa è soprattutto dell'Informazione, veicolata, parziale, mai obiettiva (senza distinzione). Quindi, l'unica speranza è che chi vuol vedere, si vada a cercare gli occhi per guardare.
Cosa vuoi che io possa fare con la scrittura? A chi interesserebbe sentire un altro pulpito che, altro non è che prevaricazione, affermazione coatta della propria verità? Ma soprattutto, a che pro? Tanto va tutto nello stesso calderone. Quindi la password è 'mostrare'. Altro non si può fare.
Nel tuo romanzo si parla di onore. Quanto di questo (e del suo contrario: disonore), ed altre parole come patria, famiglia, chiesa, sono tutt'ora elementi pregnanti nella nostra vita? E se sì, come andrebbero scardinati.
Paradossale vero? Un codice così restrittivo, di 'onore' appunto, benedetto anche dal Signore (secondo quello che hanno dichiarato mafiosi e camorristi storici).
Religione (all'urlo di 'che fine facciamo dopo?'; la Chiesa qui c'entra poco...), senso di appartenenza (famiglia, patria), continuità del Nome (figli, passaggio non inutile sulla Terra)... Sono elementi fondamentali, sono il motore di tutto. Tutta la Storia dell'uomo è riconducibile agli elementi che hai citato. Ma tu parli dell'importanza della parola, del suo significante. Queste parole, solo il suono di queste parole, generano percorsi associativi nella nostra mente, paure e conflitti, barriere, un vorticoso collapse di Storia e metastoria, un buco nero che inghiotte qualsiasi speranza di fermarsi un attimo a pensare, inferenze agite dal videoclip sociologico montato soprattutto in questi ultimi trent'anni con l'ausilio dell'indifferenza, della superficialità. Siamo cronotopicamente scotomizzati. Non andrebbe scardinato il significato che 'etimologicamente' diamo a queste parole. Sono valori umani, né cristiani né marxisti. Occorrerebbe riappropriarsi dei mezzi percettivi, lasciando fuori input devastanti e fuorvianti che invadono dal circostante, infezione virulenza che contamina ogni cosa, ma anche necessaria per forgiare le difese immunitarie.
Quindi, in sostanza, è impossibile 'scardinare' il mostro semantico che è stato partorito. Come se la Terra potesse applicare la forza di gravità a se stessa.
Sempre nel tuo blog dici che ti rode un sacco. Ci vuoi parlare un po' dei tuoi rodimenti?
No, non ne ho voglia. Scherzo, ovvio. Ma penso che dalle risposte alle altre domande che mi hai fatto si capisca cosa mi rode. Mi ripeterei.
Tra i ringraziamenti a fine libro citi Saviano. Perché è un sant'uomo, uno coi controcoglioni, o semplicemente perché ti ha ispirato il romanzo?
Non credo ci sia stato prima d'ora un 'riflettore' così sulla camorra (parlo dal punto di vista editoriale) come quello di questi ultimi due anni. Tuttavia, e parliamo della metà degli anni Ottanta, come dimenticare il libro di Marrazzo (Il Camorrista) o, negli anni Novanta, tutta la produzione di Gigi Di Fiore, (per dirne uno). Ispirato? No, non c'entra niente con il mio romanzo, nemmeno di striscio. Occorre fare una distinzione fondamentale. Saviano, Di Fiore, Scanni e Oliva (bello 'O Sistema) e tanti altri, fanno una roba seria. Un impegno soprattutto civile, è informazione e denuncia prima di essere qualcosa di letterario. Questi signori rischiano ogni momento, pur di dipanare e rivelare la complessa tela camorristica che strozza l'Italia intera, non solo Napoli. E non lo fanno solo da seduti, davanti a uno schermo. Questi signori 'mostrano', appunto, la realtà dei fatti. Sacrificando il narcissico 'io narrante', mettendolo al servizio di quello che vogliono mostrare.
Io ho scritto una storia, una storia inventata, che prende sì spunto da cose realmente accadute, da vite vissute, ma subisce la 'trasformazione' che opera solitamente chi 'scrive'. Da questa angolazione sono più vicino a uno "scrittore" che a un "narratore", ossia uso il contesto solo per generare un preciso significato secondo un principio di realtà osservativo. Sono grato a Saviano, ha creato un precedente forte, utile per gli scrittori di/che parlano di Napoli. Ma il ringraziamento è soprattutto per il lavoro che fa, per quello che ha scritto, per come lo ha scritto.
Ti definisci ateo. Pensi che gli studenti abbiano fatto bene a non volere il papa all'Università oppure come dice Ernesto Galli della Loggia, la parola della Chiesa è l'unico limite naturale alle follie della scienza?
Cosa c'entra questo con il mio libro? Ma chi se ne frega. Spero solo che il confine tra distinzione tra Stato e Chiesa (non tra Stato e Religione, siamo un popolo con usi e costumi ben radicati) non si assottigli sempre più (l'andazzo è quello...).
Detto questo, rispondo alla domanda: no, non hanno fatto bene (ho però firmato la petizione di solidarietà per gli scienziati 'scissionisti'). Tuttavia anche il Rettore è uno stolto. E recidivo. Ma, proprio per quanto dicevo prima, riguardo l'Informazione, credo che qualsiasi risposta sia quanto meno azzardata. Dispiace questo 'non parlarsi', questo arroccarsi su posizioni 'assolutistiche' che porta solo a teatrini d'avanspettacolo (l'ho già detto che farei accomodare tutta la classe politica fuori dall'Italia? E di tutte le contraddizioni e ingerenze clericali? No?). No, mi rifiuto di impelagarmi in questa roba. Giordano Bruno mi comprenderà senz'altro (almeno a questo qui lo hanno riabilitato...).
Una domanda cretina (ma ho spulciato nel tuo blog per saggiare i tuoi gusti). Il gioco della torre: scegli chi mandare giù tra Battiato, Fossati e Mina. E poi, in un secondo round, Michael Cunningham, Aldo Busi e Alessandro Baricco. Non ci provare, la diplomazia non è materia orchesca.
Com'è affollata questa torre. Mi sa che non c'è posto: mi butto io. Tutti quelli menzionati hanno fatto delle belle cose, io non ho fatto ancora niente e ho già quarant'anni.
In effetti (ahimé), la diplomazia non abita nemmeno la mia testolina. Però, ci sto lavorando.
Dunque vediamo. Butterei giù Mina, ma solo perché è l'interprete. Forse è sacrificabile, proprio perché possiamo trovarne un'altra, magari meno brava (che bastardi che siete!). Di Fossati e di Battiato, quando ce ricapitano? Me li tengo tutti e due.
Gli scrittori. Alessandro Baricco subito (però mi tengo tutti i suoi libri; Seta l'ho amato infinitamente). Poi, a seguire, 'na bella spinta la darei anche all'Aldo nazionale, sperando che la torre sia alta e che ci siano delle scale tipo tempio azteco e che lui rucilei (rotoli) per tutta la lunghezza, step by step. Perché è bravissimo, e a volte mi fa incazzare quando mette in secondo piano la sua scrittura a favore del teatrino. Cunningham me le tengo. Perché è straniero, non vorrei si dicesse che non sono accogliente con gli extracomunitari...
Te l'ho detto che ci sto lavorando, sulla diplomazia...
Sapessi il sottoscritto che ha detestato "Seta" di Baricco... Noi orchi amiamo poco la poesia, tranne alcuni poeti essenziali. Tu che la pratichi spesso, cerca di convincere me e i numerosi lettori del Paradiso della sua indispensabilità.
Davvero? Eppure Acqua Storta è a mio avviso il libro di poesia più bello che ho scritto...
Senti questo passo: Stanotte 'o mare è senza sale, è morto con un'onda sola. Pure l'acqua è storta, storta come certe volte è 'o bbene. Le onde sugli scogli stanno nervose. Ma che tiene 'sto mare da stare così incazzato? Che gli abbiamo fatto a questo mare?
Per dire, ovviamente lo sai, che la poesia non è solo quella che va a capo, quella che ti schiaffa gli esametri in faccia e ti fa apprezzare la musicalità dell'ottonario, dell'endecasillabo. Né per forza deve essere Poesia che manco chi l'ha scritta la capisce. Mariangela Gualtieri è un esempio stupefacente del potere della poesia, del teatro, della restituzione della parola, e il risultato è da leggere/vedere/ascoltare.
Indispensabilità? La poesia è un bene di lusso, soprattutto oggi. Pochi se la possono permettere, pochi se la possono concedere. E, come credo si sia ampiamente capito, io non ho la pretesa di convincere nessuno.
Sono un informatico. Venticinque anni che scrivo. Da 'fuori'quello che si vede sono due libri di poesia (10 anni per scriverne il primo e altri 10 per l'altro: di questo passo il prossimo lo faccio a sessant'anni). Tre testi teatrali. Un po' di radio. La cura di qualche raccolta multiautore per editori piccoli. La direzione di una collana di Poesia e una di Narrativa, sempre per piccoli editori 'seri'. Un po' di racconti sparsi ovunque. Forse vale la pena di menzionare i due su Men on Men 5, raccolta di racconti a tematica omosessuale curata da Scalise, per Mondadori.
Parlando di letteratura gay spesso diciamo che è funerea e triste, soprattutto quella italiana. Ammettendo che tu la "pratichi", nel tuo romanzo, per il tema che affronta, la tragedia è inevitabile, ma non ti sembra che un po' di ragione l'abbiamo?
Mi concedo 'il parlato' e non lo 'scrittorese'. Se non posso, vi prego di perdonare le mie parole.
La definizione "Letteratura gay" è oscena (come Letteratura femminile, o Letteratura maschile, ecc...). Mi immagino una scatola un po' bistrattata, mezza sfasciata, tenuta integra da un nastro adesivo consunto, dove sommariamente sono contenute le 'tutte cose' omosessuali, e con sopra un post-it che riporta: "Letteratura gay". La letteratura o è buona o è cattiva. Poi, che si parli di Goldrake o degli amplessi dei caimani amazzoni, è questione di tema. Il tema del mio romanzo non è l'omosessualità effetto confettino-rosa, ma lo stato delle cose all'interno di un meccanismo, di un mondo qual è quello della camorra, la modalità di pensiero, il processo stesso del pensare.
Su temi come omosessualità e integrazione, le modalità che ho mostrato non sono così lontane da realtà cosiddette 'normali'. M'ero convinto che non potesse essere nemmeno concepita l'idea di omosessualità per un uomo di camorra ('concepita' nel senso di essere accettata come impulso, e quindi dare seguito a questo impulso). Poi ho cambiato idea, osservando le cose che mi stanno intorno. Ho definito i tratti di Giovanni (la voce che racconta da dentro il suo stesso mondo, senza sistema privilegiato di riferimento) pensando alla sua impossibilità di dirsi che era omosessuale. Non può dirselo per ruolo (è l'erede di un clan), per educazione, per ambiente, per come era è creato, forgiato all'interno del suo contesto. Ma la cosa più triste è che non può nemmeno pensarlo, per mancanza di mezzi. Il binomio camorra-gay è uno spunto di riflessione (credo). Ognuno farà le sue.
Funerea? La tragedia non è il mio romanzo ma è Napoli, diventata ormai una vera e propria location noir. Te li immagini Giovanni e Salvatore che fuggono in Brasile sotto falso nome? (Io volevo metterci, alla fine del libro, due brasiliane colorate,o due cubani, ma l'editore ha detto che costava troppo mettere immagini in movimento su un supporto statico per definizione...).
Una piccola osservazione (ego-centrata): il protagonista di Acqua Storta è Mariasole, la moglie di Giovanni; il suo silenzio, la sottrazione della sua voce, la sua capacità d'amare, il suo sacrificio e la sua forza, il suo estremo gesto d'amore, fino alla fine, 'stando' nelle cose ma senza 'rumore assordante'.
A proposito di letteratura "tout court". Nel tuo blog leggo: "Io penso che la letteratura, qualora qui ce ne sia traccia, dovrebbe essere separata dal credo, sia politico che religioso (io sono ateo, per capirci), al fine di assolvere la sua funzione: ossia, nessuna che io sappia". Io pensavo che lo scopo della letteratura fosse quello di ritrarre la realtà diversamente da una macchina fotografica e che definisse anche cose che in genere, in questa società perbenista e falsa, non si dicono o non si "rappresentano". Quindi che avesse anche un fine "politico".
Vero in parte. Nel senso che per me la letteratura in generale non deve necessariamente essere morale, o deve educare, lasciare un messaggio o che. La tecnica di Acqua Storta è il banale show dont'tell, ossia un personaggio che da dentro dice le 'sue' verità. Non c'è niente di direttamente politico in tutto questo (al massimo sociologico, ma nemmeno...), solo emozioni, sentimenti, linguaggio del corpo, dialogo, situazioni contestuali, altre realtà. A me non interessa scrivere per divulgare (non ho questa pretesa né tendo a). A me interessa "mostrare". Poi ognuno si fa la sua idea. Chiaramente questa mia modalità, per proprietà transitiva, ha qualcosa di 'politico'. Ecco perché in parte sono d'accordo con la tua affermazione.
Sono stufo di menate come tecniche di comunicazione, fruibilità del messaggio, carinerie interattive da terzo millennio. Gli Italiani sono diventati superficiali ed egoisti. Coltivano il loro orticello. Vanno a messa la domenica. Ma non vedono oltre il proprio nasino. Non è una condanna, per carità. È anche vero che le cose vanno più in fretta di ieri, non si ha tempo. Però il tempo per sputare sentenze senza cognizione di causa, quello sì, quello lo troviamo sempre. La colpa è soprattutto dell'Informazione, veicolata, parziale, mai obiettiva (senza distinzione). Quindi, l'unica speranza è che chi vuol vedere, si vada a cercare gli occhi per guardare.
Cosa vuoi che io possa fare con la scrittura? A chi interesserebbe sentire un altro pulpito che, altro non è che prevaricazione, affermazione coatta della propria verità? Ma soprattutto, a che pro? Tanto va tutto nello stesso calderone. Quindi la password è 'mostrare'. Altro non si può fare.
Nel tuo romanzo si parla di onore. Quanto di questo (e del suo contrario: disonore), ed altre parole come patria, famiglia, chiesa, sono tutt'ora elementi pregnanti nella nostra vita? E se sì, come andrebbero scardinati.
Paradossale vero? Un codice così restrittivo, di 'onore' appunto, benedetto anche dal Signore (secondo quello che hanno dichiarato mafiosi e camorristi storici).
Religione (all'urlo di 'che fine facciamo dopo?'; la Chiesa qui c'entra poco...), senso di appartenenza (famiglia, patria), continuità del Nome (figli, passaggio non inutile sulla Terra)... Sono elementi fondamentali, sono il motore di tutto. Tutta la Storia dell'uomo è riconducibile agli elementi che hai citato. Ma tu parli dell'importanza della parola, del suo significante. Queste parole, solo il suono di queste parole, generano percorsi associativi nella nostra mente, paure e conflitti, barriere, un vorticoso collapse di Storia e metastoria, un buco nero che inghiotte qualsiasi speranza di fermarsi un attimo a pensare, inferenze agite dal videoclip sociologico montato soprattutto in questi ultimi trent'anni con l'ausilio dell'indifferenza, della superficialità. Siamo cronotopicamente scotomizzati. Non andrebbe scardinato il significato che 'etimologicamente' diamo a queste parole. Sono valori umani, né cristiani né marxisti. Occorrerebbe riappropriarsi dei mezzi percettivi, lasciando fuori input devastanti e fuorvianti che invadono dal circostante, infezione virulenza che contamina ogni cosa, ma anche necessaria per forgiare le difese immunitarie.
Quindi, in sostanza, è impossibile 'scardinare' il mostro semantico che è stato partorito. Come se la Terra potesse applicare la forza di gravità a se stessa.
Sempre nel tuo blog dici che ti rode un sacco. Ci vuoi parlare un po' dei tuoi rodimenti?
No, non ne ho voglia. Scherzo, ovvio. Ma penso che dalle risposte alle altre domande che mi hai fatto si capisca cosa mi rode. Mi ripeterei.
Tra i ringraziamenti a fine libro citi Saviano. Perché è un sant'uomo, uno coi controcoglioni, o semplicemente perché ti ha ispirato il romanzo?
Non credo ci sia stato prima d'ora un 'riflettore' così sulla camorra (parlo dal punto di vista editoriale) come quello di questi ultimi due anni. Tuttavia, e parliamo della metà degli anni Ottanta, come dimenticare il libro di Marrazzo (Il Camorrista) o, negli anni Novanta, tutta la produzione di Gigi Di Fiore, (per dirne uno). Ispirato? No, non c'entra niente con il mio romanzo, nemmeno di striscio. Occorre fare una distinzione fondamentale. Saviano, Di Fiore, Scanni e Oliva (bello 'O Sistema) e tanti altri, fanno una roba seria. Un impegno soprattutto civile, è informazione e denuncia prima di essere qualcosa di letterario. Questi signori rischiano ogni momento, pur di dipanare e rivelare la complessa tela camorristica che strozza l'Italia intera, non solo Napoli. E non lo fanno solo da seduti, davanti a uno schermo. Questi signori 'mostrano', appunto, la realtà dei fatti. Sacrificando il narcissico 'io narrante', mettendolo al servizio di quello che vogliono mostrare.
Io ho scritto una storia, una storia inventata, che prende sì spunto da cose realmente accadute, da vite vissute, ma subisce la 'trasformazione' che opera solitamente chi 'scrive'. Da questa angolazione sono più vicino a uno "scrittore" che a un "narratore", ossia uso il contesto solo per generare un preciso significato secondo un principio di realtà osservativo. Sono grato a Saviano, ha creato un precedente forte, utile per gli scrittori di/che parlano di Napoli. Ma il ringraziamento è soprattutto per il lavoro che fa, per quello che ha scritto, per come lo ha scritto.
Ti definisci ateo. Pensi che gli studenti abbiano fatto bene a non volere il papa all'Università oppure come dice Ernesto Galli della Loggia, la parola della Chiesa è l'unico limite naturale alle follie della scienza?
Cosa c'entra questo con il mio libro? Ma chi se ne frega. Spero solo che il confine tra distinzione tra Stato e Chiesa (non tra Stato e Religione, siamo un popolo con usi e costumi ben radicati) non si assottigli sempre più (l'andazzo è quello...).
Detto questo, rispondo alla domanda: no, non hanno fatto bene (ho però firmato la petizione di solidarietà per gli scienziati 'scissionisti'). Tuttavia anche il Rettore è uno stolto. E recidivo. Ma, proprio per quanto dicevo prima, riguardo l'Informazione, credo che qualsiasi risposta sia quanto meno azzardata. Dispiace questo 'non parlarsi', questo arroccarsi su posizioni 'assolutistiche' che porta solo a teatrini d'avanspettacolo (l'ho già detto che farei accomodare tutta la classe politica fuori dall'Italia? E di tutte le contraddizioni e ingerenze clericali? No?). No, mi rifiuto di impelagarmi in questa roba. Giordano Bruno mi comprenderà senz'altro (almeno a questo qui lo hanno riabilitato...).
Una domanda cretina (ma ho spulciato nel tuo blog per saggiare i tuoi gusti). Il gioco della torre: scegli chi mandare giù tra Battiato, Fossati e Mina. E poi, in un secondo round, Michael Cunningham, Aldo Busi e Alessandro Baricco. Non ci provare, la diplomazia non è materia orchesca.
Com'è affollata questa torre. Mi sa che non c'è posto: mi butto io. Tutti quelli menzionati hanno fatto delle belle cose, io non ho fatto ancora niente e ho già quarant'anni.
In effetti (ahimé), la diplomazia non abita nemmeno la mia testolina. Però, ci sto lavorando.
Dunque vediamo. Butterei giù Mina, ma solo perché è l'interprete. Forse è sacrificabile, proprio perché possiamo trovarne un'altra, magari meno brava (che bastardi che siete!). Di Fossati e di Battiato, quando ce ricapitano? Me li tengo tutti e due.
Gli scrittori. Alessandro Baricco subito (però mi tengo tutti i suoi libri; Seta l'ho amato infinitamente). Poi, a seguire, 'na bella spinta la darei anche all'Aldo nazionale, sperando che la torre sia alta e che ci siano delle scale tipo tempio azteco e che lui rucilei (rotoli) per tutta la lunghezza, step by step. Perché è bravissimo, e a volte mi fa incazzare quando mette in secondo piano la sua scrittura a favore del teatrino. Cunningham me le tengo. Perché è straniero, non vorrei si dicesse che non sono accogliente con gli extracomunitari...
Te l'ho detto che ci sto lavorando, sulla diplomazia...
Sapessi il sottoscritto che ha detestato "Seta" di Baricco... Noi orchi amiamo poco la poesia, tranne alcuni poeti essenziali. Tu che la pratichi spesso, cerca di convincere me e i numerosi lettori del Paradiso della sua indispensabilità.
Davvero? Eppure Acqua Storta è a mio avviso il libro di poesia più bello che ho scritto...
Senti questo passo: Stanotte 'o mare è senza sale, è morto con un'onda sola. Pure l'acqua è storta, storta come certe volte è 'o bbene. Le onde sugli scogli stanno nervose. Ma che tiene 'sto mare da stare così incazzato? Che gli abbiamo fatto a questo mare?
Per dire, ovviamente lo sai, che la poesia non è solo quella che va a capo, quella che ti schiaffa gli esametri in faccia e ti fa apprezzare la musicalità dell'ottonario, dell'endecasillabo. Né per forza deve essere Poesia che manco chi l'ha scritta la capisce. Mariangela Gualtieri è un esempio stupefacente del potere della poesia, del teatro, della restituzione della parola, e il risultato è da leggere/vedere/ascoltare.
Indispensabilità? La poesia è un bene di lusso, soprattutto oggi. Pochi se la possono permettere, pochi se la possono concedere. E, come credo si sia ampiamente capito, io non ho la pretesa di convincere nessuno.
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