CINEMA E MUSICA
Alfredo Ronci
L'altro mondo: 'Celestial Circle' di Marilyn Mazur.

Per carità, non voglio aizzare la cagnara e riproporre l'annosa questione della cultura alta e del suo opposto, ma nella musica di Marilyn Mazur s'avverte una tensione diversa rispetto alle sonorità a cui siamo abituati (qualcuno obietterà: ma non sai che la ECM propone da secoli certe scelte?).
Lei, nonostante sia ancora intorno ai cinquanta, di strada ne ha fatta e soprattutto di gente ne ha incontrata: da Miles a Evans a Shorter e non tacciamo la collaborazione, nel disco precedente, col sax di Jan Garbarek. Ma la 'compagnia' le è servita solo come irrobustimento dell'arte, scegliendo poi strade e sensazioni diverse.
L'inizio è quanto di più jazz si possa sentire: 'Your eyes' da lei stessa cantata, potrebbe diventare, se solo qualche spirito audace fosse pronto a recepire, un classico anche sulla bocca di una Cassandra Wilson o ancor di più su quella di Shirley Horn. Lo stesso dicasi per la successiva 'Winterspell'. Poi il mondo fascinoso ed anche astratto della Mazur prende il sopravvento, ed ecco quindi avvicendarsi sonorità eterogenee fino ad un passo dalla sperimentazione.
'Kildervaeld' la vede alle prese con uno 'scat' intramezzato da puntuali inserzioni pianistiche; 'Gentle quest' è quasi rumorismo, 'Secret Crystals fa i conti con la lezione di Satie, mentre in 'Antilope Arabesque torna l'afflato jazzistico con un morbido piano iniziale e il successivo innesto di percussioni (gong, cembali, campanelli...) che lei stessa suona, ed un basso efficace.
'Among the trees' ricorda le ricercate sonorità di Stephan Micus (sempre catalogo ECM) ma poi certe tensioni afro prendono il sopravvento. 'Tour song' è perfetta sintesi tra la coloritura jazz e le tentazioni d'ambiente. 'Drumrite' deliziosamente affascinante farebbe la gioia di Natacha Atlas.
Il finale del disco si 'perde' su flussi trascendentali, ma perfettamente coerente con tutto il resto.
Insomma, il discorso è chiaro: non è roba da classifica, ma non è nemmeno la sperimentazione fine a se stessa. E' un coacervo di suoni fascinosi che non ha nulla a che vedere col falso 'ambient' e meno che mai con le ridondanze acustiche dell'insopportabile new age.
Siamo da tutt'altra parte. Figliolanza e sorellanza con l'Alice Coltrane più ispirata.
Marilyn Mazur
Celestial Circle
ECM - 2011
Lei, nonostante sia ancora intorno ai cinquanta, di strada ne ha fatta e soprattutto di gente ne ha incontrata: da Miles a Evans a Shorter e non tacciamo la collaborazione, nel disco precedente, col sax di Jan Garbarek. Ma la 'compagnia' le è servita solo come irrobustimento dell'arte, scegliendo poi strade e sensazioni diverse.
L'inizio è quanto di più jazz si possa sentire: 'Your eyes' da lei stessa cantata, potrebbe diventare, se solo qualche spirito audace fosse pronto a recepire, un classico anche sulla bocca di una Cassandra Wilson o ancor di più su quella di Shirley Horn. Lo stesso dicasi per la successiva 'Winterspell'. Poi il mondo fascinoso ed anche astratto della Mazur prende il sopravvento, ed ecco quindi avvicendarsi sonorità eterogenee fino ad un passo dalla sperimentazione.
'Kildervaeld' la vede alle prese con uno 'scat' intramezzato da puntuali inserzioni pianistiche; 'Gentle quest' è quasi rumorismo, 'Secret Crystals fa i conti con la lezione di Satie, mentre in 'Antilope Arabesque torna l'afflato jazzistico con un morbido piano iniziale e il successivo innesto di percussioni (gong, cembali, campanelli...) che lei stessa suona, ed un basso efficace.
'Among the trees' ricorda le ricercate sonorità di Stephan Micus (sempre catalogo ECM) ma poi certe tensioni afro prendono il sopravvento. 'Tour song' è perfetta sintesi tra la coloritura jazz e le tentazioni d'ambiente. 'Drumrite' deliziosamente affascinante farebbe la gioia di Natacha Atlas.
Il finale del disco si 'perde' su flussi trascendentali, ma perfettamente coerente con tutto il resto.
Insomma, il discorso è chiaro: non è roba da classifica, ma non è nemmeno la sperimentazione fine a se stessa. E' un coacervo di suoni fascinosi che non ha nulla a che vedere col falso 'ambient' e meno che mai con le ridondanze acustiche dell'insopportabile new age.
Siamo da tutt'altra parte. Figliolanza e sorellanza con l'Alice Coltrane più ispirata.
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