CLASSICI
Alfredo Ronci
“L’amore” ai tempi del fascismo.

Forse facciamo una forzatura a indicare un “oggetto” nella letteratura di Ercole Patti. Non perché temi ‘illustri’ ed altisonanti non siano determinanti nella sua arte, ma perché tutto quello che scorre e si presenta al lettore è obnubilato da un senso forte e caratteristico dell’ambiente e dei suoi colori.
E’ vero, la scrittura di Patti attinge al serbatoio della memoria autobiografica (anche quando è fisicamente lontano il luogo e quel che resta), ma in lui si riscontra un desiderio di acuta sensibilità che a volte al gusto della materia si preferisce, proustianamente, un sapore o solamente la bontà di un languore.
La cugina (un piccolo capolavoro dove come in certe pitture di Matisse e De Pisis tutto un mondo vive appena sfiorato dai pennelli come diceva il buon Soldati) è la storia tra due cugini, Agata ed Enzo, che trovano nella fisicità e nell’esaltazione della natura il vero motivo della loro relazione.
Relazione che, nel corso del tempo, non troverà mai l’approccio per una definitiva realizzazione, ma che nel fluire devastante degli anni non perderà il senso di un’innata predisposizione al contatto e “all’amore”.
C’è in questo rapporto non finito e irrealizzabile, un senso sottilmente ambiguo: quel che per Enzo è una sensazione giocosa, ma mai contrastata, per Agata assume una determinazione che spesso la trascina verso un senso più appropriato della relazione.
Qui Patti gioca sporco, se proprio vogliamo essere di parte: la non incertezza del rapporto trascina Enzo verso possibilità che anche il lettore più esigente avrebbe sconsigliato. Sì, la cameriera Concetta quella che s’insinua modestamente nel suo tempo e nelle sue azioni, sembra in qualche modo sostituire le pressioni e le determinazioni di Agata.
Ma sono rapidi sguardi, innocenti evasioni che determinano anche la storia: la cameriera, per quanto desiderata non si sottrae, a sua volta, agli interessi di altri uomini, uomini però che non hanno il senso appropriato di una immediatezza spiccia. Sono sagome da cui a mala pena traluce una parvenza dell’antica giovinezza. Anzi, sono corpi stanchi e flaccidi, spenti e grassi.
Sembra quasi che Patti voglia tradire la irrequietezza di Enzo con la descrizione dell’altra “parte” seducente, ma informale. Come se la determinazione della passione debba scontrarsi con un senso quasi morboso e pesante del resto.
Ma ho detto sembra.
Quando gli anni determineranno altre conseguenze (la pesantezza del corpo di Agata si fa sentire, anche se ancora lucente nelle intenzioni amorose) e quando la stessa morirà, il senso del gusto e del tatto di Enzo non cambieranno.
Di fronte all’immagine di una quattordicenne bella e suggestiva e del suo fidanzato, non può che sentire l’eccitazione di un tempo, ma anche il trascorrere inesorabile del tempo: Poi l’uomo si curvò un poco e Pina gli saltò cavalcioni sulle spalle imprigionandogli il viso tra le sue cosce nude di donna sulle quali lui poggiò le mani per reggerla; portandola così sulle spalle l’uomo fece il giro del cortile mentre i gridetti caldi di lei si perdevano nell’aria del mattino. Tenendola sempre a cavalcioni l’uomo entrò nel palmento ed Enzo non li vide più.
E’ l’epilogo migliore di una storia quasi tranquilla. In un contesto storico che parte dagli anni ’20 e si dipana per il fascismo senza per questo regalare sensazioni adeguate, il gesto di Enzo (anzi, i gesti) lo porta a scontrarsi solo col trascorrere del tempo, non delle emozioni.
“L’amore” del suo personaggio è un sentimento davvero vivo: non tralascia emozioni, ma non vuole nemmeno che il tutto sia ricondotto ad una gestione unica del rapporto.
Enzo vuole amare ma nella consapevolezza di essere anch’esso desiderato, ma lasciato anche nella condizione di non forzare i tempi. Della serie: soddisfatto e rimborsato.
Ma come dicevo all’inizio c’è anche il senso dell’ambiente e dei suoi colori a fare il resto. E lì il discorso è ancora più intimo e personale.
L’edizione da noi considerata è:
Ercole Patti
La cugina
Avagliano editore - 1998
E’ vero, la scrittura di Patti attinge al serbatoio della memoria autobiografica (anche quando è fisicamente lontano il luogo e quel che resta), ma in lui si riscontra un desiderio di acuta sensibilità che a volte al gusto della materia si preferisce, proustianamente, un sapore o solamente la bontà di un languore.
La cugina (un piccolo capolavoro dove come in certe pitture di Matisse e De Pisis tutto un mondo vive appena sfiorato dai pennelli come diceva il buon Soldati) è la storia tra due cugini, Agata ed Enzo, che trovano nella fisicità e nell’esaltazione della natura il vero motivo della loro relazione.
Relazione che, nel corso del tempo, non troverà mai l’approccio per una definitiva realizzazione, ma che nel fluire devastante degli anni non perderà il senso di un’innata predisposizione al contatto e “all’amore”.
C’è in questo rapporto non finito e irrealizzabile, un senso sottilmente ambiguo: quel che per Enzo è una sensazione giocosa, ma mai contrastata, per Agata assume una determinazione che spesso la trascina verso un senso più appropriato della relazione.
Qui Patti gioca sporco, se proprio vogliamo essere di parte: la non incertezza del rapporto trascina Enzo verso possibilità che anche il lettore più esigente avrebbe sconsigliato. Sì, la cameriera Concetta quella che s’insinua modestamente nel suo tempo e nelle sue azioni, sembra in qualche modo sostituire le pressioni e le determinazioni di Agata.
Ma sono rapidi sguardi, innocenti evasioni che determinano anche la storia: la cameriera, per quanto desiderata non si sottrae, a sua volta, agli interessi di altri uomini, uomini però che non hanno il senso appropriato di una immediatezza spiccia. Sono sagome da cui a mala pena traluce una parvenza dell’antica giovinezza. Anzi, sono corpi stanchi e flaccidi, spenti e grassi.
Sembra quasi che Patti voglia tradire la irrequietezza di Enzo con la descrizione dell’altra “parte” seducente, ma informale. Come se la determinazione della passione debba scontrarsi con un senso quasi morboso e pesante del resto.
Ma ho detto sembra.
Quando gli anni determineranno altre conseguenze (la pesantezza del corpo di Agata si fa sentire, anche se ancora lucente nelle intenzioni amorose) e quando la stessa morirà, il senso del gusto e del tatto di Enzo non cambieranno.
Di fronte all’immagine di una quattordicenne bella e suggestiva e del suo fidanzato, non può che sentire l’eccitazione di un tempo, ma anche il trascorrere inesorabile del tempo: Poi l’uomo si curvò un poco e Pina gli saltò cavalcioni sulle spalle imprigionandogli il viso tra le sue cosce nude di donna sulle quali lui poggiò le mani per reggerla; portandola così sulle spalle l’uomo fece il giro del cortile mentre i gridetti caldi di lei si perdevano nell’aria del mattino. Tenendola sempre a cavalcioni l’uomo entrò nel palmento ed Enzo non li vide più.
E’ l’epilogo migliore di una storia quasi tranquilla. In un contesto storico che parte dagli anni ’20 e si dipana per il fascismo senza per questo regalare sensazioni adeguate, il gesto di Enzo (anzi, i gesti) lo porta a scontrarsi solo col trascorrere del tempo, non delle emozioni.
“L’amore” del suo personaggio è un sentimento davvero vivo: non tralascia emozioni, ma non vuole nemmeno che il tutto sia ricondotto ad una gestione unica del rapporto.
Enzo vuole amare ma nella consapevolezza di essere anch’esso desiderato, ma lasciato anche nella condizione di non forzare i tempi. Della serie: soddisfatto e rimborsato.
Ma come dicevo all’inizio c’è anche il senso dell’ambiente e dei suoi colori a fare il resto. E lì il discorso è ancora più intimo e personale.
L’edizione da noi considerata è:
Ercole Patti
La cugina
Avagliano editore - 1998
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