CLASSICI
Gianfranco Franchi
L'amore e l'odio, la morte e la malattia in Hubert Selby Jr
La strategia letteraria principe di Hubert Selby Jr, una delle massime voci della Letteratura Americana del Novecento, era l'assimilazione del discorso indiretto al flusso di coscienza. Senso di questa scelta, rappresentare con personalità e intelligenza emozioni, sentimenti, stati d'animo: acrobazie e contorsioni del pensiero, e dinamiche caotiche dell'anima umana; descrivere, al contempo, la rovina (la fatiscenza) delle istituzioni e della società occidentale, e dell'individualità monolitica pre-novecentesca. L'impatto è onestamente disorientante. Meglio: scombussolante. L'espressionismo di Selby è un espediente suggestivo ma di non elementare accessibilità, e forse di più facile traduzione (intendo: selezione e riduzione) cinematografica. La sua letteratura è ferocemente aggressiva, non di rado oscura – senza essere cerebrale – e torrenziale. Sempre torrenziale. È come se il lettore avesse domandato di distendersi ai piedi d'un rivolo d'una cascata: scoprendo, quando è troppo tardi per sottrarsene, che di rivolo non si trattava affatto.
E cosa cade, dall'alto? Acqua – la scrittura di Selby – e sangue – la nostra coscienza, la consapevolezza della sofferenza dell'umanità, delle sue menzogne, delle sue dipendenze. Acqua, sangue e manichini di carne e ossa, leggerissimi ma orribili d'aspetto. E non si può non guardarli, perché ci crollano addosso, a una manciata di passi, sfigurati e inerti. Selby ci inonda di morte, e di malattia. Di morbo, e di gemelli di ognuno di noi. Gemelli molto franchi.
Esordio di Selby, lo scrittore che voleva essere Beethoven (L'unico influsso che ho subito, per quanto posso vedere io, è quello di Beethoven. Perdio, cosa non sapeva fare quell'uomo con due, tre, quattro note! Le metteva in fila. Le ripeteva. Una, due, tre volte. Poi le alternava, le ricombinava, in tutti i modi. E alla fine saltava fuori la Quinta Sinfonia. È questo il tipo di scrittore che io voglio essere. Chissà se campo abbastanza per arrivare agli Ultimi Quartetti) Ultima fermata a Brooklyn è apparso nel 1964. Quarantacinque anni dopo, sembra non sia cambiato niente, nelle dinamiche psichiche dell'umanità: l'evoluzione tecnologica ha, al limite, determinato e derivato tecniche di intervallo, interruzione e distrazione senza precedenti: a partire dal telefono di casa sino al telefono cellulare, dalle e-mail agli sms. Forse la prossima generazione avrà una (ri)conquista importante, di fronte a sé: il silenzio. Per silenzio voglio intendere: la concentrazione.
Tutto è transitorio (Ecclesiaste, III, 19), ma i sentimenti umani rimangono gli stessi. Immergiamoci ancora nelle tenebre e nelle luci della nostra razza.
L'opera è strutturata in cinque difformi parti e un'appendice. Assembla racconti, storie e personaggi differenti; è magma scintillante e bollente, smanioso di schizzare al cielo, facile a precipitare lungo il dorso del vostro sguardo, incenerendo ogni altro pensiero. La prima parte è un viatico alla lettura, sintetica e caotica descrizione d'una scena di violenza in una periferia, violenta nel linguaggio, artificiosamente (eterno dubbio in Selby: artificio o naturalezza? Omaggiare Poe e la Bibbia, ) sciatto e popolano, reso con efficacia dalla difficile e personale traduzione di Attilio Veraldi; la seconda espressione di dolore, colorata rosso sangue, maculata di inattesa innocenza (verginità, e in senso stretto) e poi di descrittivismo pornografico, come niente fosse, quasi senza soluzione di continuità. Questo è un favoloso romanzo corale: è come un concerto di fiamme, il lettore assiste a una loro gara, E ogni tanto gli occhi si distolgono dalla fiamma e tutto sembra più quieto (calmo) e Lee si sente parte del gruppo e si rigira sulla sedia e affronta l'altre facce e attacca a raccontar cosine, fatterelli della sua vita tra le quinte, e subito quelli e quelle l'imitano e se qualcuno non parla ascolta le due o tre cose raccontate contemporaneamente dagli altri (pag. 47).
Nella terza, "E tre col bambino", protagonista è il rapporto tra un uomo e la sua moto (passione ossessiva: morbosa), e l'assimilazione, direi quasi una coincidenza, tra la moto e la sua donna. Selby è sempre rabbioso, frenetico, sboccato. Nella quarta, "Tralala", una quindicenne si prostituisce senza esserne cosciente, e questo almeno l'incanto di Selby riesce a trasmettere, e infine si ritrova vittima di qualcosa di terribile, pagando una colpa che paradossalmente sembra non avere affatto, e non avere avuto mai. Nella quinta, "Sciopero", interno giorno di una famiglia che accudisce il suo neonato. Il padre sta affrontando un duro periodo di lotte sindacali per rivendicare i suoi diritti di lavoratore; la vicenda piomba in un'oscura palude di malessere, depravazione e confusione. La sua omosessualità pretende un tributo.
Ho letto per imparare e meditare, e analizzare uno stile estraneo alla struttura: la struttura ho, per rispetto dell'autore, comunque evidenziato. Niente mi leva dalla testa che questo libro non sia stato congegnato così, e che sia stato soltanto amalgamato secondo criteri tematici e argomentativi, con qualche negligenza editoriale. Non fa niente. Ultima fermata è un concetto così vago e vacuo e ricco di sfumature che, è chiaro, può entrarci proprio tutto. Cosa rimane? Il torrenziale Selby. L'autore delle lastre della psiche, del sondino del torbido e del malato. Il capriccio della letteratura: ordinare un disordine senza principio e senza fine. Evocare la Bibbia come Selby fa serve a poco. È sempre opera nostra, l'ispirazione divina ma la stesura umana. Si vede. Gronda amore e odio e morte e malattia. Come un essere umano.
L'edizione da noi considerata è:
Hubert Selby Jr,
Ultima fermata a Brooklyn
Feltrinelli, Milano 2005
Traduzione di Attilio Veraldi.
E cosa cade, dall'alto? Acqua – la scrittura di Selby – e sangue – la nostra coscienza, la consapevolezza della sofferenza dell'umanità, delle sue menzogne, delle sue dipendenze. Acqua, sangue e manichini di carne e ossa, leggerissimi ma orribili d'aspetto. E non si può non guardarli, perché ci crollano addosso, a una manciata di passi, sfigurati e inerti. Selby ci inonda di morte, e di malattia. Di morbo, e di gemelli di ognuno di noi. Gemelli molto franchi.
Esordio di Selby, lo scrittore che voleva essere Beethoven (L'unico influsso che ho subito, per quanto posso vedere io, è quello di Beethoven. Perdio, cosa non sapeva fare quell'uomo con due, tre, quattro note! Le metteva in fila. Le ripeteva. Una, due, tre volte. Poi le alternava, le ricombinava, in tutti i modi. E alla fine saltava fuori la Quinta Sinfonia. È questo il tipo di scrittore che io voglio essere. Chissà se campo abbastanza per arrivare agli Ultimi Quartetti) Ultima fermata a Brooklyn è apparso nel 1964. Quarantacinque anni dopo, sembra non sia cambiato niente, nelle dinamiche psichiche dell'umanità: l'evoluzione tecnologica ha, al limite, determinato e derivato tecniche di intervallo, interruzione e distrazione senza precedenti: a partire dal telefono di casa sino al telefono cellulare, dalle e-mail agli sms. Forse la prossima generazione avrà una (ri)conquista importante, di fronte a sé: il silenzio. Per silenzio voglio intendere: la concentrazione.
Tutto è transitorio (Ecclesiaste, III, 19), ma i sentimenti umani rimangono gli stessi. Immergiamoci ancora nelle tenebre e nelle luci della nostra razza.
L'opera è strutturata in cinque difformi parti e un'appendice. Assembla racconti, storie e personaggi differenti; è magma scintillante e bollente, smanioso di schizzare al cielo, facile a precipitare lungo il dorso del vostro sguardo, incenerendo ogni altro pensiero. La prima parte è un viatico alla lettura, sintetica e caotica descrizione d'una scena di violenza in una periferia, violenta nel linguaggio, artificiosamente (eterno dubbio in Selby: artificio o naturalezza? Omaggiare Poe e la Bibbia, ) sciatto e popolano, reso con efficacia dalla difficile e personale traduzione di Attilio Veraldi; la seconda espressione di dolore, colorata rosso sangue, maculata di inattesa innocenza (verginità, e in senso stretto) e poi di descrittivismo pornografico, come niente fosse, quasi senza soluzione di continuità. Questo è un favoloso romanzo corale: è come un concerto di fiamme, il lettore assiste a una loro gara, E ogni tanto gli occhi si distolgono dalla fiamma e tutto sembra più quieto (calmo) e Lee si sente parte del gruppo e si rigira sulla sedia e affronta l'altre facce e attacca a raccontar cosine, fatterelli della sua vita tra le quinte, e subito quelli e quelle l'imitano e se qualcuno non parla ascolta le due o tre cose raccontate contemporaneamente dagli altri (pag. 47).
Nella terza, "E tre col bambino", protagonista è il rapporto tra un uomo e la sua moto (passione ossessiva: morbosa), e l'assimilazione, direi quasi una coincidenza, tra la moto e la sua donna. Selby è sempre rabbioso, frenetico, sboccato. Nella quarta, "Tralala", una quindicenne si prostituisce senza esserne cosciente, e questo almeno l'incanto di Selby riesce a trasmettere, e infine si ritrova vittima di qualcosa di terribile, pagando una colpa che paradossalmente sembra non avere affatto, e non avere avuto mai. Nella quinta, "Sciopero", interno giorno di una famiglia che accudisce il suo neonato. Il padre sta affrontando un duro periodo di lotte sindacali per rivendicare i suoi diritti di lavoratore; la vicenda piomba in un'oscura palude di malessere, depravazione e confusione. La sua omosessualità pretende un tributo.
Ho letto per imparare e meditare, e analizzare uno stile estraneo alla struttura: la struttura ho, per rispetto dell'autore, comunque evidenziato. Niente mi leva dalla testa che questo libro non sia stato congegnato così, e che sia stato soltanto amalgamato secondo criteri tematici e argomentativi, con qualche negligenza editoriale. Non fa niente. Ultima fermata è un concetto così vago e vacuo e ricco di sfumature che, è chiaro, può entrarci proprio tutto. Cosa rimane? Il torrenziale Selby. L'autore delle lastre della psiche, del sondino del torbido e del malato. Il capriccio della letteratura: ordinare un disordine senza principio e senza fine. Evocare la Bibbia come Selby fa serve a poco. È sempre opera nostra, l'ispirazione divina ma la stesura umana. Si vede. Gronda amore e odio e morte e malattia. Come un essere umano.
L'edizione da noi considerata è:
Hubert Selby Jr,
Ultima fermata a Brooklyn
Feltrinelli, Milano 2005
Traduzione di Attilio Veraldi.
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