CLASSICI
Eleonora del Poggio
L'arte dell'intreccio o dell'uncinetto. C'est la même chose. 'La parola alla difesa' di Agatha Christie.

Probabilmente gli aficionados della regina del delitto si inalbereranno: ma come, si preferisce un libro come La parola alla difesa a classici iper collaudati come Assassinio sull'Oriente Express, Dieci piccoli indiani, L'assassino di Roger Ackroyd o all'opera teatrale, rappresentata continuativamente a Londra da oltre sessant'anni, Trappola per topi?
Sì, perché diventa anche un discorso di prevedibilità: come quando all'ascolto dei 'soliti' Beatles si preferiscono allievi dignitosi soprattutto per una questione di distacco dalle sfruttatissime partiture lennon-mccartneyane.
Si vuole anche sottilizzare ma La parola alla difesa rappresenta una sorta di bignamino delizioso dell'arte della Christie (tra l'altro ero incerta se preferirgli Sipario, l'avventura in cui la scrittrice inglese 'suicida' la sua creatura preferita, Ercule Poirot. Soluzione questa ripresa anni dopo dal 'noirista' Didier Daenincks che adottò la stessa 'tecnica' per eliminare il personaggio di una lunga serie di delitti, l'ispettore Cadin).
L'anno di uscita è già indicativo: 1939. In un'Europa sull'orlo della più grande catastrofe dell'umanità, nulla si avverte nelle dinamiche investigative della vicenda, come se questa stessa fosse vista attraverso una lente distorta o addirittura si trovasse all'interno di un'enorme palla di cristallo inattaccabile dall'esterno. Ma non era intenzione della Christie operare in conformità ai tempi: l'artigianato della sua scrittura (diceva di sé: mi si chiede se sono una grande romanziera, sono solo una dignitosa artigiana) prevedeva un mondo immobile, in cui le convenzioni sociali fossero saldate ad una visione quali 'coloniale' dei confronti (ecco come uno dei protagonisti 'vede' il belga Poirot: Dopo aver squadrato con una certa perplessità lo sconosciuto dal visibile aspetto di forestiero, l'infermiera Hopkins aveva cominciato quasi subito a diventare più malleabile). E che un conformismo egemone di fondo non 'crollasse' nemmeno di fronte all'eventualità che un proprio caro potesse essere coinvolto in un delitto: - Supponiamo che sia colpevole sul serio... continuate a desiderare che venga assolta? – domandò Poirot. Peter Lord rispose con voce sommessa: - Sì.
La parola alla difesa narra la vicenda di Elinor Carlisle accusata di un duplice delitto: quello della vecchia zia malata e quello di Mary Gerrard, una sorta di badante dell'anziana donna a cui pare fosse destinata una parte cospicua dell'eredità.
La trama, come si dice sempre in questi casi, e come firma d'autore della stessa Christie, si snoda attraverso una serie interminabile di dialoghi e di gossip – consentitemi l'uso di un termine 'moderno' – fino alla sorprendente risoluzione finale.
Vi è più in questo romanzo – per questo lo abbiamo preferito tutto sommato agli altri, al di là dell'esposizione ripetuta dei suoi gialli più classici – il convincimento da parte della scrittrice inglese che il sentimento più noto e nobile, l'amore o se vogliamo la passione, probabilmente non pagasse. In un recente saggio pubblicato anche da noi (Agatha Christie e il mistero della sua scomparsa – Perrone editore) Jared Cade, l'autore, ci suggerisce che alla base di molti romanzi successivi ai fatidici undici giorni del dicembre 1926, in cui la nota giallista sparì mettendo in subbuglio non solo la famiglia, ma un'intera nazione, vi fosse l'opinione da parte della Christie di una sclerotizzazione dei sentimenti, se non addirittura di una vera e propria disaffezione delle pulsioni (pare che alla base della sua fuga ci fosse il disprezzo per i continui tradimenti del marito).
Tutto ciò si può leggere tra le righe di questo gustoso romanzo, che non raggiunge le vette immaginifiche di un'arte del delitto a volte stirata anche fino all'esasperazione (cos'era Dieci piccoli indiani se non un tentativo di autodistruzione del genere?), ma racconta con misura e determinazione molto più di un semplice delitto e della sua brillante e geniale risoluzione.
L'edizione da noi considerata è:
Agatha Christie
La parola alla difesa
I classici del Giallo Mondadori n.580
1988
Sì, perché diventa anche un discorso di prevedibilità: come quando all'ascolto dei 'soliti' Beatles si preferiscono allievi dignitosi soprattutto per una questione di distacco dalle sfruttatissime partiture lennon-mccartneyane.
Si vuole anche sottilizzare ma La parola alla difesa rappresenta una sorta di bignamino delizioso dell'arte della Christie (tra l'altro ero incerta se preferirgli Sipario, l'avventura in cui la scrittrice inglese 'suicida' la sua creatura preferita, Ercule Poirot. Soluzione questa ripresa anni dopo dal 'noirista' Didier Daenincks che adottò la stessa 'tecnica' per eliminare il personaggio di una lunga serie di delitti, l'ispettore Cadin).
L'anno di uscita è già indicativo: 1939. In un'Europa sull'orlo della più grande catastrofe dell'umanità, nulla si avverte nelle dinamiche investigative della vicenda, come se questa stessa fosse vista attraverso una lente distorta o addirittura si trovasse all'interno di un'enorme palla di cristallo inattaccabile dall'esterno. Ma non era intenzione della Christie operare in conformità ai tempi: l'artigianato della sua scrittura (diceva di sé: mi si chiede se sono una grande romanziera, sono solo una dignitosa artigiana) prevedeva un mondo immobile, in cui le convenzioni sociali fossero saldate ad una visione quali 'coloniale' dei confronti (ecco come uno dei protagonisti 'vede' il belga Poirot: Dopo aver squadrato con una certa perplessità lo sconosciuto dal visibile aspetto di forestiero, l'infermiera Hopkins aveva cominciato quasi subito a diventare più malleabile). E che un conformismo egemone di fondo non 'crollasse' nemmeno di fronte all'eventualità che un proprio caro potesse essere coinvolto in un delitto: - Supponiamo che sia colpevole sul serio... continuate a desiderare che venga assolta? – domandò Poirot. Peter Lord rispose con voce sommessa: - Sì.
La parola alla difesa narra la vicenda di Elinor Carlisle accusata di un duplice delitto: quello della vecchia zia malata e quello di Mary Gerrard, una sorta di badante dell'anziana donna a cui pare fosse destinata una parte cospicua dell'eredità.
La trama, come si dice sempre in questi casi, e come firma d'autore della stessa Christie, si snoda attraverso una serie interminabile di dialoghi e di gossip – consentitemi l'uso di un termine 'moderno' – fino alla sorprendente risoluzione finale.
Vi è più in questo romanzo – per questo lo abbiamo preferito tutto sommato agli altri, al di là dell'esposizione ripetuta dei suoi gialli più classici – il convincimento da parte della scrittrice inglese che il sentimento più noto e nobile, l'amore o se vogliamo la passione, probabilmente non pagasse. In un recente saggio pubblicato anche da noi (Agatha Christie e il mistero della sua scomparsa – Perrone editore) Jared Cade, l'autore, ci suggerisce che alla base di molti romanzi successivi ai fatidici undici giorni del dicembre 1926, in cui la nota giallista sparì mettendo in subbuglio non solo la famiglia, ma un'intera nazione, vi fosse l'opinione da parte della Christie di una sclerotizzazione dei sentimenti, se non addirittura di una vera e propria disaffezione delle pulsioni (pare che alla base della sua fuga ci fosse il disprezzo per i continui tradimenti del marito).
Tutto ciò si può leggere tra le righe di questo gustoso romanzo, che non raggiunge le vette immaginifiche di un'arte del delitto a volte stirata anche fino all'esasperazione (cos'era Dieci piccoli indiani se non un tentativo di autodistruzione del genere?), ma racconta con misura e determinazione molto più di un semplice delitto e della sua brillante e geniale risoluzione.
L'edizione da noi considerata è:
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I classici del Giallo Mondadori n.580
1988
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