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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Luigi Rocca

L'astronave

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Lo vidi da lontano, solo, in mezzo a quella specie di prato che ci avevano lasciato appena terminati i palazzi nuovi, in attesa di costruirne altri. Giocava con uno scatolone di cartone. A dire il vero più che giocare, continuava a entrarne e uscirne con l'aria sempre molto seria, come se stesse facendo delle prove. Lo aveva appoggiato di lato, con l'apertura che dava direttamente sul prato, per poterci entrare a quattro zampe. Pensai che stesse giocando a fare il cane dentro la cuccia e mi avvicinai con l'intenzione di dargli noia. Non c'era molto da fare, quel pomeriggio, sembrava quasi che il mondo intorno a noi fosse sparito. Lui era un po' più piccolo di me (un anno, forse due) e a scuola lo vedevo sempre solo. I suoi compagni dicevano che fosse strano, non proprio matto: solo un po' strano, dicevano. Anche a me sembrava che fosse un po' strano, un bel po', anche se non avevo mai scambiato con lui nemmeno una parola. Avvicinandomi, camminavo allargando le gambe, perché è così che camminano i duri e io volevo mettere subito le cose in chiaro. L'unico pericolo era che, vedendomi avvicinare in quel modo, scappasse. Io scappavo sempre quando i duri si avvicinavano camminando così. Non si sa mai. Lui non sembrava darmi troppa importanza, anzi: sembrava proprio che non mi vedesse nemmeno. Continuava ad entrare ed uscire da quello scatolone che doveva aver contenuto almeno una lavatrice o un frigorifero. Sempre con la sua aria estremamente seria. Gli ultimi passi li feci normalmente perché mi ero stancato di camminare da duro e mi sentivo anche un po' stupido. Nemmeno quando mi fermai davanti a lui alzò la testa a guardarmi. Ero indeciso se dare subito un calcio al cartone o prima parlare un po' con lui. Non avevo veramente voglia di attaccare briga e se fosse scappato ci sarei rimasto anche un po' male. Così mi decisi a parlare.

"E' la tua cuccia?" domandai, mettendo una punta di disprezzo nella mia voce.

"E' un'astronave" rispose senza alzare la testa.

"Un'astronave" ripetei. "E dove hai intenzione di andare con questa astronave?"

"Da nessuna parte. Sono già arrivato."

Entrò nello scatolone e mi accucciai per guardare dentro. Lo vidi sdraiato, con le gambe appena un po' raccolte per non far uscire i piedi. Teneva gli occhi chiusi. Pensai che si fosse addormentato, quando improvvisamente aprì gli occhi, mosse le spalle come per stiracchiarsi la schiena, disse: "Ecco fatto" e tornò fuori. Mi alzai in piedi. Era un tipo veramente strano.

"Dove sei arrivato?"

Fece un gesto con la mano.

"Quaggiù."

Mi guardai intorno.

"Potevi scegliere un posto migliore" dissi.

"Non esistono posti migliori."

Per la prima volta aveva alzato gli occhi verso di me, quasi accorgendosi della mia presenza. Tornai a guardarmi intorno, il prato spelacchiato, i palazzoni da una parte, la tangenziale dall'altra. Un gruppo di ragazzi più grandi giocavano a calcio schiamazzando come matti.

"Non esistono posti migliori" ripetei, come se fosse una cosa ovvia.

"Cosa state facendo?"

Ro mi era apparso di fianco senza che lo sentissi arrivare. Aveva la mia età, anche se era un po' più grosso. Se ne stava lì a gambe larghe con le mani in tasca. Non mi faceva paura, solo che non sapevo come comportarmi nel caso avesse cominciato a dar calci al cartone.

"E' un'astronave" risposi.

Ro si piegò in due per guardare l'interno dello scatolone.

"Di astronavi così mio padre ne avrà a migliaia, dove lavora" disse Ro.

Il bambino stava uscendo in quel momento.

"Questa è unica" disse serio.

"Sicuro. E dove andiamo?"

"Siamo già arrivati" risposi ancora.

"Fai bene ad armarti perché questo posto può essere molto pericoloso" disse Ro.

Tornai ad accucciarmi e mi accorsi che stava ammassando pietre in fondo allo scatolone. Prima non le avevo notate.

"Non sono armi. Sto raccogliendo minerali. Poi li analizzo."

"Sicuro." Ro prese una pietra vicino al bordo di cartone. "Prendi anche questa che mi sembra interessante" disse.

"Quelle le ho già prese. Mi servono quelle là in fondo."

Ci muovemmo insieme, io e Ro. Non mi piaceva essere scavalcato in quel modo da chi arrivava dopo di me. Ci chinammo. Persi tempo a cercare qualcosa di speciale, mentre lui si riempiva le mani di tutti i ciottoli che trovava. Stava già tornando all'astronave, quando trovai un tappino di bibita vecchissimo, tutto schiacciato.

"Guarda qui" gridai.

Arrivarono insieme e si chinarono sulla mia mano aperta.

"Un segno di civiltà passate" disse il bambino. "Può essere prezioso."

Mi alzai trionfante e andai a posarlo dentro all'astronave nell'angolo opposto ai minerali dove lui mi aveva indicato con un dito.

Ro aveva ricominciato a raccogliere sassi, cercando quelli dalle forme più strane. Ogni tanto ne alzava uno e gridava: "Guarda questo."

Il bambino gli fece un cenno con la testa.

"Non serve altro. Ho preso quello che cercavo. Ora devo tornare."

Il bambino entrò dentro l'astronave.

Ro rimase immobile qualche secondo prima di domandare: "C'è posto per me? Voglio andarmene da qui."

"Siamo già in due" dissi cercando di anticipare la risposta del bambino.

Il bambino uscì dalla sua astronave. Si alzò in piedi e ci fissò negli occhi con la sua espressione seria.

"Non sapete nemmeno su quale pianeta sono diretto."

"Non importa" disse Ro. "Basta partire."

Dal gruppo lontano arrivò un urlo più forte. Qualcuno doveva aver segnato oppure stavano cominciando a pestarsi.

"Dovrò decontaminarvi, prima di farvi salire."

"Fa male?" domandò Ro che cominciava a preoccuparsi.

Il bambino alzò le spalle.

"Solo un po'. E' per togliervi i batteri di dosso."

"E' come farsi una doccia" aggiunsi, sperando di aver capito bene.

"Una doccia speciale" confermò il bambino. "Si chiama decontaminazione."

Ro sembrò tranquillizzarsi.

"E cosa c'è nel pianeta dove torniamo?" domandò.

"E' come questo" rispose ancora il bambino.

"Uguale?"

"Uguale."

"Pensavo meglio."

"Non potrebbe essere meglio di così" dissi io per non sentirmi escluso.

"E' vero" ammise anche Ro.

Però lo sguardo che girava attorno non era troppo convinto.

"Terribile" esclamò il bambino all'improvviso guardando verso l'alto.

Non facemmo in tempo a fare nessuna domanda che sentimmo le prime gocce caderci sui capelli.

"Piove" disse Ro allargando le dita per sentire meglio la consistenza delle gocce.

Lontano rotolò un tuono. I calciatori urlarono di nuovo e cominciarono a scappare.

"La pioggia aliena è in grado di distruggere la mia astronave" disse il bambino.

Effettivamente grosse chiazze scure cominciarono ad apparire sul cartone.

"Non potremo più tornare indietro" disse Ro.

Aveva un tono dispiaciuto nella voce. Sembrava quasi che ci sperasse.

"Ma questo è un luogo magnifico" provai a dire.

"Se gli astronauti non tornano indietro, la missione è fallita" disse il bambino.

La pioggia aumentò. Provammo a riparaci all'interno dell'astronave, rimanendo stretti, con le ginocchia raccolte al petto, aspettando che passasse, poi il cartone cominciò a cedere. Uscimmo per assistere al crollo definitivo delle nostre speranze di lasciare quel luogo, anche per trovarne uno uguale. Quando tornammo a casa, abbastanza fradici da farci sgridare, quello che sembrava meno deluso in fondo era proprio il bambino strano.







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