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CINEMA E MUSICA

Adriano Angelini

L'embrione impazzito del rock psichedelico

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Wayne Coyne, il leader di questa ormai ventennale band americana, continua a inseguire gli alieni e i suoi trip mentali, e questo fatto, probabilmente, gli consente di correre, anzi di volare, più veloce (e più in alto) degli altri. Embryonic è il dodicesimo album di quelli che a ragione si possono definire i signori del pop-rock psichedelico del duemila. Ed è un evento. Molti pensavano che dopo Yoshimi battles the pink robots (2002)e At War with the mystics (2006) fosse difficile fare qualcosa di diverso e per giunta spiazzante. Sbagliato. Diciotto brani, aperti dalla elettro ballata Convinced of the Hex e chiusi da un'altra ballatona, gracchiante e distorta Watching the planets. In mezzo, di tutto. Sogni e deliri (Acquarius sabotage). Virate ultra dimensionali (Gemini Syringes, un ninnolo sonoro degno dei più grandi Pink Floyd). Filastrocche demenziali ma melodiosamente sublimi (I can be a frog con la voce di Karen O degli Yeah Yeah Yeah), alla faccia di chi sostiene che in questo album non c'è spazio per le melodie ma solo per i suoni. E poi eleganti variazioni sul tema (The ego's last stand), interludi psycho beatlesiani (Sagittarius silver announcement). Non sappiamo sotto quale acido Wayne Coyne abbia partorito cotanta bellezza. Certo è che nel disco esiste una armonizzazione perfetta fra le invenzioni sintetiche e le schitarrate ruvide, fra i bassi che sembrano scandire disciplinate marcette e le iperboli vocali sfarzose e incalzanti (Worm mountain). Anche i momenti che sembrano discendere in inferi acustici (Powerless) sono in realtà dei tappeti volanti che ammaliano l'inebetito ascoltatore. Il pezzo più riuscito dell'album, che dura 70 minuti, è sicuramente The sparrow looks up at the machine, qui siamo dalle parti di Thom Yorke & Co e il brano è di una potenza stilistico melodica che non solo potrebbe essere un singolo di successo ma  colorato e vibrante a tal punto da far pensare che, a causa di un certo deja ecouté che sprigiona, i Flaming scimmiottino qualcun altro. Sbagliato di nuovo. Nulla in questo disco è già sentito. C'è un progetto dietro, esoterico se vogliamo, un po' come i grandi templi o le piramidi sparse per il mondo costruite a ridisegnare una mappa stellare; anche qui lo zodiaco è evocato nei titoli. Uno zodiaco dai toni in parte cupi e senza speranza (Evil e If sono due ballate cupe che parlano dell'inesorabile malignità di certi esseri – chi sono? Sono umani?). In parte sprizzante un'euforia isterica (See the leaves, un'altra ballatona cosmic rock che potrebbe essere lanciata - o suonata - nello spazio nell'imminenza di un contatto). Che coraggio! Non mi era mai capitato di imbattermi in una band capace di reinventarsi, dopo vent'anni di carriera, quasi da capo. Un esempio di audacia infantile, di spregiudicatezza e baldanza iper umana. Ricordo di averli visti in concerto a villa Ada, a Roma, nel 2007, ai tempi di At war with the mystics. Un trionfo. Coyne come l'Almodovar della musica rock, l'evoluzione di Peter Gabriel di The Lamb lies down on Broadway, qualità razionali e follia. Riso e pianto. Incoscienza e amore disciplinato per l'esuberanza della vita. Vi aspettiamo, di nuovo, venite, venite, a regalarci polveri sonore delle vostre stelle danzanti. Embryonic è l'album dell'anno, probabilmente del decennio, ancor più probabilmente solo Kid A/Amnesiac dei Radiohead gli si possono accostare. 



Flaming lips
Embryonic
Warner Bros




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