CLASSICI
Alfredo Ronci
La borghesia disgregata di Michele Prisco: 'Una spirale di nebbia'.
Si sorrideva sere fa per celia e per disappunto alla vista di due film in tv, giovanilistici per mercato e limiti, che disquisivano di crisi di mezza età e logoramento di sentimenti: Baciami ancora e l'impossibile universo mocciano di Scusa ma ti voglio sposare.
Il sorriso nasceva dall'esproprio d'intelligenza della prima pellicola mentre il disappunto nasceva dalla natura paradossalmente ambigua della seconda: solo un omosessuale represso come Moccia può avere un'idea siffatta di idilliaci sentimenti, quelli tra un uomo e una donna, senza che vi sia assolutamente confronto con la realtà. Solo chi non conosce la tangibilità delle cose perché non frequentate può mostrare il lato più sbagliato dei rapporti umani... quei rapporti umani.
Per carità non venga in mente a qualcuno che certi autori o registi debbano 'rifrequentare' i banchi, magari dalle prime nozioni, perché poi si possa avere da loro una weltanshaung adeguata e consona. Sarebbe presuntuoso da parte nostra pretenderlo e sarebbe inumano che gli stessi si sottoponessero a simile stress.
Ma basterebbe poco per i più volenterosi: magari non 'perdersi' tra i classicissimi, che per disagio scolastico e per un'innata propensione italica che vuole sempre che l'erba del vicino sia sempre più verde, si vuole evitare come peste, ma chessò, accostarsi al piccolo classico che magari pretende ricerca più minuziosa ma che all'approccio l'utente possa non sentirsi addosso il peso insostenibile della 'Cultura' precisando con la c maiuscola.
Un nome lo consiglierei: Michele Prisco. E un libro, che quasi mezzo secolo fa (si era nel 1966 e fu premio Strega) affrontava le tematiche dei due film sovra citati, ma con ben altro stile, arguzia e sentimento e soprattutto, parafrasando Totò, senza null'altro disagio a pretendere: Una spirale di nebbia.
Un altro consiglio: tenere a portata di mano un foglio o un semplice taccuino dove segnare l'apparizione dei numerosi personaggi. Non chiedo molto, perché il presunto impiccio sfuma subito quando poi la trama prende sostanza.
Michele Prisco, negli anni in cui un altro napoletano, Domenico Rea, racconta la città e i suoi abitanti da un altro punto di vista (i napoletani di Rea sono popolani, spesso disadattati, espressione di una città che non regala nulla, indaffarati quasi unicamente a cercar cibo), riferisce di una Napoli borghese, prigioniera di un proprio ambito mentale. Qualcuno in vena di sintesi ha detto che i personaggi di Rea chiacchierano e gridano, quelli di Prisco riflettono ed arzigogolano.
Dunque punto: e in questo ambiente di forme e percezioni che si svolge il dramma di Una spirale di nebbia. Che inizia con una tragedia: Fabrizio Sangermano, figlio di una sorta di boss del quartiere, spara a sua moglie durante un pomeriggio di caccia. Delitto volontario o semplice accadimento? Dall'episodio, che non avrà una conclusione certa e a causa del quale qualche lettore poco appassionato ha voluto vedere delle tracce addirittura 'noir', nasce una tela intricata di confronti tra i personaggi legati al principale: come Costanza, cugina di Fabrizio, che ha sposato Giovanni che nel frattempo una malignità dice aver messo incinta la donna di servizio, ma fallace perché Giovanni stesso è impotente. O Lavinia, amica di Valeria, la donna morta durante la caccia, che scopre che Vittorio, il medico che ha esaminato il cadavere, ha una moglie 'tenuta' nascosta. O Renato, il giudice che guida il processo a Fabrizio, che è costretto a vivere una doppia vita: una con la moglie e con sua madre ed una col padre che non può accostarsi alla consorte perché ha abbandonato il tetto coniugale per un precedente tradimento.
Si diceva di innumerevoli personaggi (e l'uso di un taccuino per segnare le affinità elettive), ma il pregio del romanzo, di lingua attenta e mai dubbia (come quando Prisco vuole mettere i punti sulle i e riflettere sulle differenze sociali e sulle ambiguità che stanno alla base del rapporto tra Fabrizio e Valeria: Valeria era apparsa il giorno delle nozze, raggiante di giovinezza e felicità a stento trattenuta, con un abito bianco e lucido e lungo forse troppo appariscente per i gusti del parentado Sangermano, e questo era stato a pensarci il primo d'una serie di passi falsi che la ragazza aveva commesso, per ignoranza o presunzione, una volta entrata in famiglia sposa a Fabrizio) è soprattutto nella sostanza del dilemma principale: E' possibile un sentimento che si serba inalterato sino alla fine senza cedere all'usura della vita?
Domanda troppo semplice per un romanzo che a volte ha i tratti del mélo, a tratti del feuilleton? Non direi, semmai la traccia elementare del quesito indica invece la disarticolazione di un'intera categoria sociale. In tempi (lo ricordo ancora, il libro uscì nel 1966) di boom economico, di speranze per un futuro migliore e tecnologico, Prisco fa i conti, con una minuzia e precisione da chirurgo, coi propri dubbi, e con un romanzo che temporalmente si dipana nell'arco di tre giorni, in una Napoli inusuale di pioggia e grigiore, offre uno spettacolo desolante della natura umana. Di una 'certa' natura umana.
Anche in questo libro si disquisisce oltre che di usura di sentimenti, del tempo che inesorabilmente passa: ma senza baci di troppo o matrimoni fugaci all'ombra di fanciulle in fiore, troppo presto ammosciate dall'ansia di piacere.
L'edizione da noi considerata è:
Michele Prisco
Una spirale di nebbia
Rizzoli, 1966
Il sorriso nasceva dall'esproprio d'intelligenza della prima pellicola mentre il disappunto nasceva dalla natura paradossalmente ambigua della seconda: solo un omosessuale represso come Moccia può avere un'idea siffatta di idilliaci sentimenti, quelli tra un uomo e una donna, senza che vi sia assolutamente confronto con la realtà. Solo chi non conosce la tangibilità delle cose perché non frequentate può mostrare il lato più sbagliato dei rapporti umani... quei rapporti umani.
Per carità non venga in mente a qualcuno che certi autori o registi debbano 'rifrequentare' i banchi, magari dalle prime nozioni, perché poi si possa avere da loro una weltanshaung adeguata e consona. Sarebbe presuntuoso da parte nostra pretenderlo e sarebbe inumano che gli stessi si sottoponessero a simile stress.
Ma basterebbe poco per i più volenterosi: magari non 'perdersi' tra i classicissimi, che per disagio scolastico e per un'innata propensione italica che vuole sempre che l'erba del vicino sia sempre più verde, si vuole evitare come peste, ma chessò, accostarsi al piccolo classico che magari pretende ricerca più minuziosa ma che all'approccio l'utente possa non sentirsi addosso il peso insostenibile della 'Cultura' precisando con la c maiuscola.
Un nome lo consiglierei: Michele Prisco. E un libro, che quasi mezzo secolo fa (si era nel 1966 e fu premio Strega) affrontava le tematiche dei due film sovra citati, ma con ben altro stile, arguzia e sentimento e soprattutto, parafrasando Totò, senza null'altro disagio a pretendere: Una spirale di nebbia.
Un altro consiglio: tenere a portata di mano un foglio o un semplice taccuino dove segnare l'apparizione dei numerosi personaggi. Non chiedo molto, perché il presunto impiccio sfuma subito quando poi la trama prende sostanza.
Michele Prisco, negli anni in cui un altro napoletano, Domenico Rea, racconta la città e i suoi abitanti da un altro punto di vista (i napoletani di Rea sono popolani, spesso disadattati, espressione di una città che non regala nulla, indaffarati quasi unicamente a cercar cibo), riferisce di una Napoli borghese, prigioniera di un proprio ambito mentale. Qualcuno in vena di sintesi ha detto che i personaggi di Rea chiacchierano e gridano, quelli di Prisco riflettono ed arzigogolano.
Dunque punto: e in questo ambiente di forme e percezioni che si svolge il dramma di Una spirale di nebbia. Che inizia con una tragedia: Fabrizio Sangermano, figlio di una sorta di boss del quartiere, spara a sua moglie durante un pomeriggio di caccia. Delitto volontario o semplice accadimento? Dall'episodio, che non avrà una conclusione certa e a causa del quale qualche lettore poco appassionato ha voluto vedere delle tracce addirittura 'noir', nasce una tela intricata di confronti tra i personaggi legati al principale: come Costanza, cugina di Fabrizio, che ha sposato Giovanni che nel frattempo una malignità dice aver messo incinta la donna di servizio, ma fallace perché Giovanni stesso è impotente. O Lavinia, amica di Valeria, la donna morta durante la caccia, che scopre che Vittorio, il medico che ha esaminato il cadavere, ha una moglie 'tenuta' nascosta. O Renato, il giudice che guida il processo a Fabrizio, che è costretto a vivere una doppia vita: una con la moglie e con sua madre ed una col padre che non può accostarsi alla consorte perché ha abbandonato il tetto coniugale per un precedente tradimento.
Si diceva di innumerevoli personaggi (e l'uso di un taccuino per segnare le affinità elettive), ma il pregio del romanzo, di lingua attenta e mai dubbia (come quando Prisco vuole mettere i punti sulle i e riflettere sulle differenze sociali e sulle ambiguità che stanno alla base del rapporto tra Fabrizio e Valeria: Valeria era apparsa il giorno delle nozze, raggiante di giovinezza e felicità a stento trattenuta, con un abito bianco e lucido e lungo forse troppo appariscente per i gusti del parentado Sangermano, e questo era stato a pensarci il primo d'una serie di passi falsi che la ragazza aveva commesso, per ignoranza o presunzione, una volta entrata in famiglia sposa a Fabrizio) è soprattutto nella sostanza del dilemma principale: E' possibile un sentimento che si serba inalterato sino alla fine senza cedere all'usura della vita?
Domanda troppo semplice per un romanzo che a volte ha i tratti del mélo, a tratti del feuilleton? Non direi, semmai la traccia elementare del quesito indica invece la disarticolazione di un'intera categoria sociale. In tempi (lo ricordo ancora, il libro uscì nel 1966) di boom economico, di speranze per un futuro migliore e tecnologico, Prisco fa i conti, con una minuzia e precisione da chirurgo, coi propri dubbi, e con un romanzo che temporalmente si dipana nell'arco di tre giorni, in una Napoli inusuale di pioggia e grigiore, offre uno spettacolo desolante della natura umana. Di una 'certa' natura umana.
Anche in questo libro si disquisisce oltre che di usura di sentimenti, del tempo che inesorabilmente passa: ma senza baci di troppo o matrimoni fugaci all'ombra di fanciulle in fiore, troppo presto ammosciate dall'ansia di piacere.
L'edizione da noi considerata è:
Michele Prisco
Una spirale di nebbia
Rizzoli, 1966
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