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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Willem Frederik Hermans

La casa vuota

BUR, Pag. 91 Euro 7,00
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Ormai è riconosciuta dai più una certa anomalia: la Resistenza è stata tale e più reale attraverso la letteratura piuttosto che attraverso la storiografia, almeno fino a Claudio Pavone (con qualche lampo di "viaggiatore" precedente). Lo storico ed ex partigiano col suo Una guerra civile (Bollati Boringhieri) diede una seria spallata alla facile certezza di un movimento che ai più sembrava intoccabile e proprio per questo retoricamente celebrativo.

Bisognava e bisogna fare i conti con un'idea della Resistenza lontana dai lustrini acritici della propaganda vittoriniana che voleva da una parte gli Uomini e dall'altra No.

La letteratura, e quella italiana si distinse, forse, tra le altre, per un lucido e a volte anche scarnificante vaglio degli episodi e della storia stessa, ci offre deliziosi assaggi: pensiamo a I ventitre giorni della città di Alba di Fenoglio che nel 1952 l'Unità definì "peggio di una cattiva azione" o al Pavese sempre incerto e mai netto de La casa in collina o de Il compagno (anche se qui, forse, partirebbe una ridefinizione dell'ideologia pavesiana) o a La scelta di Angelo del Boca (romanzo del 1961 e ripubblicato nel 2006 da Neri Pozza e di cui tratteremo in una prossima recensione) dove un arguto e profetico Galante Garrone definì l'opera "il lodevole assunto di non nascondere proprio nulla di quanto macchiò, qua e là, il movimento partigiano: sfoghi di violenza, superficialità, egoismo di parte, delitti comuni".

Intendiamoci, non siamo dalla parte di chi vuole azzerare le differenze di "scelta" che i giovani del '43-44 dovettero affrontare (vedi neofascisti, forzaitalioti e scellerati di una sinistra parrocchiale). Siamo dalla parte di chi scelse "giusto" e riconobbe anche gli errori e siamo soprattutto lontani, sempre come disse Galante Garrone "dal qualunquistico e subdolo artificio di porre vinti e vincitori, fascismo e antifascismo, sullo stesso piano morale e storico" (ma pare che Gianpaolo Pansa non lo voglia capire).

A cecio viene pubblicato, a cinquantacinque anni dalla prima edizione, il romanzo breve (sessanta pagine o poco più) dell'olandese Willem Frederik Hermans La casa vuota. Una sorta di doloroso e agghiacciante excursus di un combattente in una non meglio identificata regione europea (ad un certo punto l'unico riferimento geografico è Breslavia) che si trova ad affrontare non solo il nemico tedesco, ma anche la ridefinizione della sua stessa idea di sopravvivenza. E proprio per sopravvivere alla guerra, di cui sembra più che attivo partecipante, vittima di un'incomprensibilità storica, che adotterà tecniche quasi di guerriglia massacrando, insieme ai compagni di "cordata" i nemici e tutti quelli che si frappongono alla sua libertà e alla sua permanenza in vita.

La casa vuota è una sorta di teoria dell'eccidio, in cui ognuno perde il senso della propria appartenenza alla Storia e alla Natura e resuscita le armi de-evolutive della "salvezza". Un romanzo che fece scalpore al suo esordio proprio per questa assenza non di "pietas" , ma di identificazione ideologica. Un colpo di spugna feroce alle istanze di chi voleva che la gestione della guerra e quindi anche dei vincitori fossero necessariamente solo e soltanto "da una parte".

La casa poi, totem della vicenda e palcoscenico prima idilliaco e poi "frantumato" dalla violenza, a cui s'aggrappa momentaneamente il protagonista per riacquistare una dignità "borghese" di essere umano è curiosamente un ritrovo frequentato dalla letteratura e non solo: basti ricordare, già citata, La casa in collina di Pavese o la villa di Fulvia ne Una questione privata di Fenoglio o la misteriosa "dimora" piena di presenze inquietanti ne Le armi segrete di Cortazar, da qualcuno considerato il racconto più bello sulla Resistenza. E non era forse una casa semi-diroccata il rifugio di Silvio Magnozzi (Alberto Sordi) nel bellissimo film di Dino Risi Una vita difficile, dove appunto un partigiano, per trascorrere ore e giorni lieti con la sua amata abbandona momentaneamente la brigata per poi raggiungerla successivamente?

Il romanzo di Hermans rappresentò allora una sfida ed ebbe l'effetto di uno schiaffo. Per noi che i tempi li corriamo, può essere un aggancio, una frenata: ma non lo legga il nostro ex presidente del Consiglio, troverebbe (ma non c'è) anche un appoggio alle sue deliranti dottrine sul comunismo che fa bollire i bambini, che sono tabula rasa delle ideologie. Hermans non depistò sulla guerra e sulle responsabilità. Gridò. E' molto diverso.



di Alfredo Ronci


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