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CLASSICI

Tommaso Wurtz

La fantascienza italiana che sopravvive: “L’estro lebbroso” di Franco Enna.

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Ci sono due domande che mi frullano per il cervello per dare l’avvio a questo breve intervento letterario: ma la fantascienza italiana degli esordi davvero ricalcava schemi americani tanto che scrittori italiani veramente italiani (cioè che si firmavano col proprio nome) erano davvero pochi?
E poi, perché la fantascienza italiana non ha mai saputo reggere il confronto con quella di altri paesi (penso soprattutto agli Usa) tanto che se si vuole indicare un prodotto italiano, in questi ultimi anni, che sappia stare allo stesso livello dei mostri sacri anglosassoni, sono solo gli autori (e quindi anche i lettori) nostrani ad indicarne alcuni?
Credo che per quanto riguarda il primo punto, ebbene sì, è vero, molti scrittori di fantascienza, per superare l’impasse di un cognome italico, preferirono inventarne uno più consono e solo alcuni, poi, alla fine si riconobbero veramente italiani. Esisteva, come nel fascismo dove i delitti dovevano essere sempre attribuiti a personaggi stranieri, una sorta di muro che impediva agli autori di realizzarsi completamente e se volevano confrontarsi con l’indicibile erano costretti a snaturarsi.
Questa problematica sembra in qualche modo sfuggire all’ideatore della collana di fantascienza che andiamo a proporvi, tale Ugo Malaguti, il quale nell’introduzione al volume di Franco Enna dice: Perché è opportuno immediatamente sfatare la leggenda della non vendibilità e della non credibilità del racconto o romanzo italiano di fantascienza in campo nazionale. I dati dimostrano che autori italiani hanno raggiunto tirature altissime e hanno radunato un vasto seguito di lettori, in diversi periodi: certo, spesso sotto pseudonimi stranieri, ma comunque dimostrando a confronto e a contatto col pubblico e con gli autori stranieri di poter reggere il confronto sul piano della narrativa, sviluppando idee autonome e scrivendo storie ancora oggi ricordate da tantissimi appassionati.
Il tipico autore che si dà la zappa sui piedi: cioè, non si fa un discorso meramente letterario (al di là di tutto, vabbè, gli americani hanno un guizzo in più, ma noi italiani abbiamo i mezzi per farci rispettare, nonostante tutto), questo credo lo si sia capito, ma solo un discorso puramente editoriale (soldi in pratica) e a quel punto, possiamo anche sbattere la testa contro un muro, ma il nome straniero fa molto più affidamento.
Franco Enna è uno dei pochi che non si è mai stranierizzato. Dice sempre Malaguti nella sua introduzione: narratore nato, di grande successo, è stato uno dei maestri del giallo italiano, ospitato con la stessa frequenza e lo stesso consenso dei Gardner, dei Cheyney, delle Christie sulla collana mondadoriana e ristampato più volte dalle maggiori case editrici. Autore di sceneggiati radiofonici e televisivi, Enna ha saputo costruirsi una fama meritata, attraverso generi diversi che concorrono a dimostrarne la bravura in campi spesso preclusi agli altri scrittore italiani.
Dunque Enna, approfittando di questo suo charme e di questa sua attitudine (che in seguito produrrà altri scrittori di simil verve) verso generi letterari di tutti i tipi, realizza, nel 1954, un romanzo di fantascienza, L’astro lebbroso appunto, firmandosi chiaramente col suo nome e, nonostante ciò, raccogliendo un successo meritato.
D cosa parla il libro? E’ una storia spaziale, secondo i canoni dell’avventura. Nessuno è mai ritornato vivo da un mondo perduto alle frontiere del Sistema solare. E in più ci sono invidie, tradimenti, battaglie fisiche e psicologiche e con un finale ottimista che collocò il romanzo, allora, nella Golden Age della fantascienza italiana.
Ma Franco Enna non ha scritto un romanzo di fantascienza italiana, ma ha scritto un romanzo di fantascienza che, per adeguarsi agli avvenimenti di quel tempo (soprattutto alle prime battaglie nello spazio delle due maggiori potenze del pianeta, ma che ovviamente, proprio come potenze, non sono presenti nel libro) lo ha arricchito di personaggi fuori da una cerchia tipicamente nazionale. C’è, per esempio, una Ann Briman, un certo Jack Meredith, un David Levingston, un Lionel Grays e, tanto per chiudere il discorso, un Peter Grant.
Non si discutono le doti letterarie di Enna, che sembrano avere una capacità per i colpi di scena che allora erano fuori discussione e che, lo ribadiamo ma non vorremmo essere troppo insistenti, erano comunque un’ombra rispetto alle dinamiche narrative americane. Tutto vero, e nessuno ci toglie dalla mente l’impressione che leggere un volume di Enna è che come vedere, anche con la dovuta suggestione e malinconia, un vecchio film di f.s. degli anni cinquanta e sessanta (ovviamente Usa).
Consigliato.




Franco Enna
L’astro lebbroso
Libra editrice



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