CLASSICI
Alfredo Ronci
La malattia mentale come centralità del mondo: 'Fratelli' di Carmelo Samonà.
Centralità del mondo: forse troppo. Ma indubbiamente la stranezza della mente e di conseguenza i suoi comportamenti straniano e affascinano Carmelo Samonà. Ispanista famoso, che dopo i cinquant'anni pubblica il suo primo romanzo, Fratelli appunto (il tema degli intellettuali che si confrontano col romanzo e col genere è argomento sfizioso e da approfondire).
Una storia che affascinò subito gli addetti (era il 1978): mi chiedo se per sfinimento perché il 'politico' sovrastava il 'privato', o semplicemente perché la vicenda di un fratello alle prese con l'altro affetto da malattia coniugasse il desiderio del personale con la buona lingua.
Certo è che l'approccio con i due protagonisti risulta non facile, soprattutto per una squisita delicatezza dell'autore a definire il problema dell'altro: Non le darò un nome. La malattia rappresenta, nel nostro peregrinare, l'incognita permanente: una specie di oggetto invisibile prima ancora che una forza ostile. Ogni giorno ne constatiamo gli effetti, ne studiamo e fronteggiamo l'ubiquità e la destrezza. Benché i disturbi di mio fratello riguardino soprattutto l'attività del pensiero, e solo di riflesso il suo corpo, la loro azione si rivela sempre materialmente.
Questo indizio è fondamentale: spesso, durante la lettura, ci si chiede se Samonà voglia canzonarci, voglia cioè mescolare le carte non per confonderci sulla natura della malattia mentale, ma stranirci sulla vera sostanza della normalità. S'intuisce che chi parla è il sano, è colui che gestisce le fasi dell'esistenza, ma la totalità delle sue azioni si muove parallelamente a quelle dell'altro.
Ambedue abitano in una casa troppo grande, uno spazio 'immenso' che faticano ad occupare (L'interno della casa è di un'ampiezza afona, assordata, nobilmente inadeguata ai suoi scopi) e ambedue agiscono di conseguenza, sia nei confronti degli oggetti, sia nei confronti dell'azione più diretta: Perciò abbiamo, coi pochi oggetti rimasti, un rapporto privo di risonanze affettive; più di verifica e di orientamento, direi, che di memoria.
L'azione più diretta, che serve unicamente a sopravvivere (ma che lavoro fa la voce narrante perché possa stare attaccato di continuo al fratello? Semplice curiosità...), ancor più che la necessità dell'alimentazione è l'urgenza del cibo per la mente. Ecco allora che tra i due si avvia un gioco permanente che il 'sano' chiama, a seconda delle istanze e degli sviluppi, 'Piccoli viaggi' o 'Grandi viaggi' che sono itinerari più nell'immaginazione dei volti che in quella dei luoghi. Sempre comunque storie tirate in ballo: Nulla sembrava rallegrare mio fratello come il capovolgimento improvviso dei ruoli: la sconfitta dei buoni lo entusiasmava, il trionfo della verità sollecitava in lui richieste di varianti spregiudicate. Quando fu la volta di recitare Pinocchio, ebbe gran voga, per qualche tempo, lo scambio della materia dei corpi fra Geppetto e suo figlio (elaborato sviluppo di una battuta casuale di mio fratello: «Facciamo che Geppetto era di legno».
Mi vien da sorridere al pensiero di come, in un'era di frenesia e nullacentrismo, possa sopravvivere un romanzo della sostanza di Fratelli. Non accade nulla in poco più di cento pagine, se non un incontro con una donna con un cane zoppo (che morirà, ma alla fine l'io narrante teme che anche la donna possa appartenere più all'evanescenza che alla realtà) ed un litigio tra i due fratelli che porterà ad un parziale isolamento ancor più 'maestoso' in una casa inadeguata ai suoi scopi.
Rimangono le passeggiate al giardino, in prossimità del bosco, ma sono propenso a credere che in quei momenti la visione del mondo esterno, di ciò che sta fuori ed è aperto, non rappresenti per lui che un'immensa dilatazione della casa, del dentro, di ciò che è chiuso: la città non è che l'abito rivoltato e scompaginato dell'appartamento.
Il lettore è assalito da una straniante sensazione claustrofobica, dove il linguaggio di per sé circolare (nel senso che le espressioni e di conseguenza la concettualità che ne consegue si rincorrono come il cane che si morde la coda) aumenta il disagio.
Per un attimo Fratelli ci appare una prova di forza. Senz'altro un'epifania.
Prima di morire giovane, a soli sessantaquattro anni, Samonà fece a tempo a scrivere cose sparse ed altri due romanzi. Dove la malattia mentale, che fa sempre capolino, comunque agita.
L'edizione da noi considerata è:
Carmelo Samonà
Fratelli
Sellerio - 2008
Una storia che affascinò subito gli addetti (era il 1978): mi chiedo se per sfinimento perché il 'politico' sovrastava il 'privato', o semplicemente perché la vicenda di un fratello alle prese con l'altro affetto da malattia coniugasse il desiderio del personale con la buona lingua.
Certo è che l'approccio con i due protagonisti risulta non facile, soprattutto per una squisita delicatezza dell'autore a definire il problema dell'altro: Non le darò un nome. La malattia rappresenta, nel nostro peregrinare, l'incognita permanente: una specie di oggetto invisibile prima ancora che una forza ostile. Ogni giorno ne constatiamo gli effetti, ne studiamo e fronteggiamo l'ubiquità e la destrezza. Benché i disturbi di mio fratello riguardino soprattutto l'attività del pensiero, e solo di riflesso il suo corpo, la loro azione si rivela sempre materialmente.
Questo indizio è fondamentale: spesso, durante la lettura, ci si chiede se Samonà voglia canzonarci, voglia cioè mescolare le carte non per confonderci sulla natura della malattia mentale, ma stranirci sulla vera sostanza della normalità. S'intuisce che chi parla è il sano, è colui che gestisce le fasi dell'esistenza, ma la totalità delle sue azioni si muove parallelamente a quelle dell'altro.
Ambedue abitano in una casa troppo grande, uno spazio 'immenso' che faticano ad occupare (L'interno della casa è di un'ampiezza afona, assordata, nobilmente inadeguata ai suoi scopi) e ambedue agiscono di conseguenza, sia nei confronti degli oggetti, sia nei confronti dell'azione più diretta: Perciò abbiamo, coi pochi oggetti rimasti, un rapporto privo di risonanze affettive; più di verifica e di orientamento, direi, che di memoria.
L'azione più diretta, che serve unicamente a sopravvivere (ma che lavoro fa la voce narrante perché possa stare attaccato di continuo al fratello? Semplice curiosità...), ancor più che la necessità dell'alimentazione è l'urgenza del cibo per la mente. Ecco allora che tra i due si avvia un gioco permanente che il 'sano' chiama, a seconda delle istanze e degli sviluppi, 'Piccoli viaggi' o 'Grandi viaggi' che sono itinerari più nell'immaginazione dei volti che in quella dei luoghi. Sempre comunque storie tirate in ballo: Nulla sembrava rallegrare mio fratello come il capovolgimento improvviso dei ruoli: la sconfitta dei buoni lo entusiasmava, il trionfo della verità sollecitava in lui richieste di varianti spregiudicate. Quando fu la volta di recitare Pinocchio, ebbe gran voga, per qualche tempo, lo scambio della materia dei corpi fra Geppetto e suo figlio (elaborato sviluppo di una battuta casuale di mio fratello: «Facciamo che Geppetto era di legno».
Mi vien da sorridere al pensiero di come, in un'era di frenesia e nullacentrismo, possa sopravvivere un romanzo della sostanza di Fratelli. Non accade nulla in poco più di cento pagine, se non un incontro con una donna con un cane zoppo (che morirà, ma alla fine l'io narrante teme che anche la donna possa appartenere più all'evanescenza che alla realtà) ed un litigio tra i due fratelli che porterà ad un parziale isolamento ancor più 'maestoso' in una casa inadeguata ai suoi scopi.
Rimangono le passeggiate al giardino, in prossimità del bosco, ma sono propenso a credere che in quei momenti la visione del mondo esterno, di ciò che sta fuori ed è aperto, non rappresenti per lui che un'immensa dilatazione della casa, del dentro, di ciò che è chiuso: la città non è che l'abito rivoltato e scompaginato dell'appartamento.
Il lettore è assalito da una straniante sensazione claustrofobica, dove il linguaggio di per sé circolare (nel senso che le espressioni e di conseguenza la concettualità che ne consegue si rincorrono come il cane che si morde la coda) aumenta il disagio.
Per un attimo Fratelli ci appare una prova di forza. Senz'altro un'epifania.
Prima di morire giovane, a soli sessantaquattro anni, Samonà fece a tempo a scrivere cose sparse ed altri due romanzi. Dove la malattia mentale, che fa sempre capolino, comunque agita.
L'edizione da noi considerata è:
Carmelo Samonà
Fratelli
Sellerio - 2008
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