RECENSIONI
Carlo Michelstaedter
La melodia del giovane divino
Adelphi, Pag. 241 Euro 14,00
Scrive Sergio Campailla nell'introduzione: Scrive e pensa in greco, agli inizi del Novecento, come se Eschilo, Sofocle, Parmenide, Platone e Aristotele fossero i suoi contemporanei. Questo chiede una riflessione adeguata. E io credo che la sua opera, l'opera incompiuta e aperta di un talento irriducibile e inclassificabile, segni il picco di un conflitto tra antichità e modernità alla vigilia della prima guerra mondiale, un conflitto che grava ancora su di noi un secolo dopo.
Che cosa ha favorito questo fenomeno sino a dargli un'impronta inconfondibile? C'è una chiave che aiuti ad entrare nel problema?
Bella domanda quella del curatore: davvero esiste un accesso, finora nascosto, per entrare nel mondo di Carlo Michelstaedter? Ormai sono passati esattamente cento anni dal giorno in cui il giovanissimo intellettuale (aveva solo 23 anni!) pose fine ai suoi giorni con un colpo di pistola, ma la sua opera rimane tutt'ora qualcosa di sfuggente, e nello stesso tempo inconfondibile, nel panorama letterario italiano e testimonianza concreta di una tragica nemesi.
La melodia del giovane divino contiene momenti significativi ed altri meno marcati (e parliamo comunque di un autore che mai sfugge ad una resa dei conti personale). Suddiviso in tre parti, la prima sezione è dedicata alla filosofia, la seconda al racconto, la terza alla critica letteraria. Ma sarebbe meglio precisare: Carlo Michelstaedter non ha mai voluto essere in vita un filosofo, tanto meno un narratore o un critico (la poesia gli era molto più vicina): racconta sempre, attraverso le sue valutazioni, un mondo 'suo', anticipatore poi del tristissimo epilogo. Come quando parlando di libertà esprime il suo immenso disagio per la propria esistenza: ... chiedo perché non anch'io mi possa abbandonare all'impeto selvaggio della vita, perché non anch'io faccia fiammeggiare la mia fiamma e risonare il mio nome... perché? Che cosa c'è fra me e il mondo per cui sembra ch'io non possa mai attingerlo? O quando esprime una sua personale posizione sui valori fittizi e su quelli reali: L'unica cosa che vale è il valore individuale. Questo vale per tutto ciò che vive, questo è il sogno d'ogni coscienza, questo deve ognuno aver il coraggio di far diventare realtà... ma poi concludendo pessimisticamente poiché da nessuno e da niente egli può sperar aiuto che dal prorpio animo, poiché ognuno è solo nel deserto.
La sezione racconti è la meno interessante (uno scritto interamente in greco antico): ed è curioso, perché Michelstaedter enuncia principi sull'arte del narrare che farebbero bene a questa frotta di cultori della cronaca e del nulla : da ogni frase pensata e sentita da uno scrittore si può fare l'induzione sul criterio della sua forma: la personalità (...) Se tutta la lingua d'uno scrittore è composta di queste generalità indeterminate diremo che la sua personalità è meschina tanto quanto è indeterminato il suo linguaggio.
Purtroppo lo scrittore è incapace di riversare nei racconti – stilisticamente annacquati e appesantiti da metafore e moralismi sottintesi – la propria sensibilità tragica, come si riscontra invece nella parte filosofica e in parte nella terza sezione, quella conclusiva, dedicata alla critica letteraria.
In questa, soggiogato un po' dal fascino di uno scrittore amato e odiato come D'Annunzio più volte trattato, offre un ritratto dell'ottantenne Tolstoj suggestivo e quasi 'salvifico': Tolstoj non chiede all'uomo la lotta ma la devozione – egli deve sapere resistere alle seduzioni della società ch'egli giudica basata sul falso e sulla prepotenza; egli deve uscire e abbandonarne del tutto il sistema di vita; la sua maggiore attività egli non la deve spendere a preparare sé stesso a far trionfare sugli altri le proprie idee e a trasformare la macchina sociale – ma deve devolverla a riparare i mali che la società produce sulle classi povere facendo del bene, aiutando, consigliando.
Un suggerimento questo di Michelstaedter che poteva valere per se stesso: mai applicato. E il suicidio a soli 23 anni testimonia appunto la sua non applicazione.
di Alfredo Ronci
Che cosa ha favorito questo fenomeno sino a dargli un'impronta inconfondibile? C'è una chiave che aiuti ad entrare nel problema?
Bella domanda quella del curatore: davvero esiste un accesso, finora nascosto, per entrare nel mondo di Carlo Michelstaedter? Ormai sono passati esattamente cento anni dal giorno in cui il giovanissimo intellettuale (aveva solo 23 anni!) pose fine ai suoi giorni con un colpo di pistola, ma la sua opera rimane tutt'ora qualcosa di sfuggente, e nello stesso tempo inconfondibile, nel panorama letterario italiano e testimonianza concreta di una tragica nemesi.
La melodia del giovane divino contiene momenti significativi ed altri meno marcati (e parliamo comunque di un autore che mai sfugge ad una resa dei conti personale). Suddiviso in tre parti, la prima sezione è dedicata alla filosofia, la seconda al racconto, la terza alla critica letteraria. Ma sarebbe meglio precisare: Carlo Michelstaedter non ha mai voluto essere in vita un filosofo, tanto meno un narratore o un critico (la poesia gli era molto più vicina): racconta sempre, attraverso le sue valutazioni, un mondo 'suo', anticipatore poi del tristissimo epilogo. Come quando parlando di libertà esprime il suo immenso disagio per la propria esistenza: ... chiedo perché non anch'io mi possa abbandonare all'impeto selvaggio della vita, perché non anch'io faccia fiammeggiare la mia fiamma e risonare il mio nome... perché? Che cosa c'è fra me e il mondo per cui sembra ch'io non possa mai attingerlo? O quando esprime una sua personale posizione sui valori fittizi e su quelli reali: L'unica cosa che vale è il valore individuale. Questo vale per tutto ciò che vive, questo è il sogno d'ogni coscienza, questo deve ognuno aver il coraggio di far diventare realtà... ma poi concludendo pessimisticamente poiché da nessuno e da niente egli può sperar aiuto che dal prorpio animo, poiché ognuno è solo nel deserto.
La sezione racconti è la meno interessante (uno scritto interamente in greco antico): ed è curioso, perché Michelstaedter enuncia principi sull'arte del narrare che farebbero bene a questa frotta di cultori della cronaca e del nulla : da ogni frase pensata e sentita da uno scrittore si può fare l'induzione sul criterio della sua forma: la personalità (...) Se tutta la lingua d'uno scrittore è composta di queste generalità indeterminate diremo che la sua personalità è meschina tanto quanto è indeterminato il suo linguaggio.
Purtroppo lo scrittore è incapace di riversare nei racconti – stilisticamente annacquati e appesantiti da metafore e moralismi sottintesi – la propria sensibilità tragica, come si riscontra invece nella parte filosofica e in parte nella terza sezione, quella conclusiva, dedicata alla critica letteraria.
In questa, soggiogato un po' dal fascino di uno scrittore amato e odiato come D'Annunzio più volte trattato, offre un ritratto dell'ottantenne Tolstoj suggestivo e quasi 'salvifico': Tolstoj non chiede all'uomo la lotta ma la devozione – egli deve sapere resistere alle seduzioni della società ch'egli giudica basata sul falso e sulla prepotenza; egli deve uscire e abbandonarne del tutto il sistema di vita; la sua maggiore attività egli non la deve spendere a preparare sé stesso a far trionfare sugli altri le proprie idee e a trasformare la macchina sociale – ma deve devolverla a riparare i mali che la società produce sulle classi povere facendo del bene, aiutando, consigliando.
Un suggerimento questo di Michelstaedter che poteva valere per se stesso: mai applicato. E il suicidio a soli 23 anni testimonia appunto la sua non applicazione.
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