CLASSICI
Adriano Angelini
La 'realistica' fantascienza vola sulle ali del gabbiano
Quando ho saputo della morte di Renzo Rosso erano passati già due mesi dal suo decesso. Sono rimasto molto male. L'avevo conosciuto una sera al Barabook di san Lorenzo, qui a Roma. Gli avevo appena fatto la recensione del suo straordinario ultimo romanzo pubblicato con Azimut nel 2006 (e per questo, e per aver pubblicato anche i suoi ultimi due saggi, Guido Farneti dovrebbe essere insignito di un premio speciale – ma non lo faranno perché l'editoria è in mano a illetterati, spesso in malafede). La recensione era uscita su un giornale di partito che oggi non esiste più, lui era rimasto molto contento, io ammirato non solo dalla sua scrittura ma dalla sua mente geniale, e dalla sua statura di uomo modesto e colto. Essenziale e aperto come tutti coloro che vengono da città cosmopolite.
Il gabbiano nero nel 2007 ha vinto il premio Feronia (un premio letterario minore indetto dalla città di Fano). Ma Renzo Rosso è stato, negli ultimi anni, volutamente ignorato da tutta l'editoria e la stampa culturale italiana. Così come ignorato è stato questo romanzo che per intelligenza, scrittura, per intensità della storia e preveggenza può tranquillamente essere paragonato alle grandi storie di fantascienza uscite dalla penna di maestri come Arthur Clarke e Robert Heinlein.
Il plot è il seguente. Siamo nel 2026 e con una lunga mail lanciata in rete da un anonimo funzionario di un'agenzia del Pentagono si raccontano gli accadimenti che hanno sconvolto per quattro mesi il pianeta Terra (dal mese di aprile al mese di luglio). Il lancio delle mail è cronologico, quasi un diario che utilizza il linguaggio internettiano per comunicare col mondo. Si susseguono l'arrivo di una gigantesca astronave aliena (che verrà chiamata 'Gabbiano nero'), il vano tentativo da parte delle forze militari dei Paesi più potenti di scalfirla seppur minimamente, perfino con testate nucleari che vengono neutralizzate come fossero caramelle scartate e ingoiate; il rapido esame di tutto il pianeta da parte del Gabbiano, il mondo con il naso all'insù perché non sa cosa potrà accadere, il primo comunicato che fa capire quali siano le sue intenzioni.
Sono intenzioni che non potremmo nemmeno definire pacifiche. Sono analisi fredde e spiazzanti sulla situazione storico-politica, sociale e culturale del pianeta; sono moniti che diventeranno ordini volti a sanare quelle che il Gabbiano considera ingiustizie inaccettabili. La vita umana viene messa a nudo, come in un grande fratello cosmico, da una squadra di satelliti che l'astronave dissemina sopra i punti più importanti del pianeta e che iniziano a mandare riprese ventiquattro ore al giorno, e che i media si affrettano a rimandare. I comunicati del Gabbiano costringono le grandi potenze a smantellare gli arsenali militari, a emanare leggi che riequilibrino l'iniquo sistema economico, che ridiano ai continenti vessati da secoli di conquiste gli aiuti e gli strumenti necessari per uscire dallo sfruttamento in cui sono stati costretti. Ai primi ovvi tentennamenti dell'umana razza, all'ostinazione di coloro votati per biologia a delinquere, l'astronave risponde in modo devastante: l'aria è stata saturata di particelle di virus (innocue) inalate da ogni essere umano; chi si ribella agli ordini le aziona come un dispositivo autodistruttivo e il virus dilania il malcapitato.
Gli umani iniziano a dividersi, com'è naturale per una razza programmata al dualismo, in favorevoli e contrari agli interventi di quello che viene considerato a tutti gli effetti un dittatore illuminato, ma spietato. I più riottosi sono i potenti di ogni stato che tenteranno di ribellarsi fino all'ultimo anche con patetiche prove di forza che saranno umiliate da una tecnologia milioni di anni avanti. Non sembra esserci speranza per i cattivi: o l'umanità decide di ritrovare la retta via dell'uguaglianza e della giustizia (da notare che non si parla mai di libertà) o il suo destino sembra segnato.
Renzo Rosso spiazza il lettore con una conoscenza delle nuove tecnologie, delle armi, della geografia, della politica, e di fisica che non lascia nulla al caso. Sono eccezionali le trovate con cui il Gabbiano vorrebbe risolvere il problema droga, disseminando in sud America piantagioni di un'erba, l'exflor, che ha la capacità di far terminare all'istante la dipendenza e curare svariate malattie o quella con cui da dimostrazione di forza contro le flotte navali o le testate nucleari dei grandi caccia americani che vengono costretti senza colpo ferire a ritirarsi nei porti o vengono prese e neutralizzate con la sola forza dell'energia propulsiva che costringe le bombe a disinnescarsi da sole. Non ci sono omini verdi in questo romanzo. La voce con cui il Gabbiano emana i suoi comunicati e sciorina le sue analisi terribili sulla condizione umana è robotica e denota la presenza di un computer di bordo. E' un gigantesco ciclope del cielo che per quattro mesi si prende la briga di sanare l'insanabile (riuscendoci quasi e infondendo in molte persone grandi speranze). Poi però succede qualcosa, che non diremo per non togliere al lettore la curiosità che il romanzo deve suscitare (perché in Italia nessuno scrive di Fantascienza in questo modo). Ripeto, nessuno. E quando, quella stessa sera al Barabook, ingenuamente ho chiesto a Rosso quale autore l'avesse influenzato e chissà quanti film si fosse visto partendo dai B movie anni'50, la sua risposta è stata disorientante: nessuno, mi ha detto candidamente. Il Gabbiano Nero, quindi, è stato scritto da un autore che ha ammesso di non aver mai letto un libro di fantascienza e di aver a mala pena visto qualche film in gioventù (e parliamo, appunto, degli anni '50 del secolo scorso).
Il romanzo è una specie di trionfo di un post-moderno che guarda al passato. E' un pamphlet forse moralista, forse impietoso sulla condizione umana che, agli occhi del grande scrittore triestino, si trascina senza alcuna speranza: almeno fino a che rimarremo con questa programmazione genetica addosso e questa inossidabile smania di sopraffazione bestiale che i mistici Veda chiamano brama (volontà di possesso e attaccamento) e le superstiziose e primitive religioni monoteiste che ancora reggono i giochi dei poteri bollano come peccato.
L'altro, il dio meccanico che scende dal cielo e ci osserva come farebbe uno scienziato curioso in un laboratorio di topini dispettosi, sbalordito, si comporta come un papà forzuto che blocca mani e gambe del figlioletto agitato e capriccioso che scalcia perché s'è impuntato e vuole ottenere chissà cosa, e piange. E si dimena. E' un onore per me, oggi, poter dire di aver conosciuto Renzo Rosso. Il suo Gabbiano Nero rimane una perla nella letteratura italiana contemporanea, un diadema che possiedono in pochi e, forse, se lo mostrassero troppo, potrebbe suscitare ire, invidie, gelosie, portare le persone a compiere gesti inconsulti, proprio come quelli compiuti, del resto, dagli umani biologicamente votati alla stupidità e alla delinquenza dopo i moniti dell'astronave.
Tutto è assolutamente credibile in questo libro, dai luoghi, alle situazioni, soprattutto, Il Gabbiano Nero, è un romanzo scritto nell'era di Internet e per Internet. E' un lungo ipertesto che si fa forma d'arte. Che si presenta come profezia involontaria. E termina per essere un'autoanalisi collettiva che, come razza, davvero non ci fa onore. Ma questo lo sapevamo. Adesso sappiamo anche che neppure un intervento alieno potrebbe salvarci. A meno che non alziamo una volta per tutte gli occhi al cielo e iniziamo a renderci conto che forse gli alieni siamo noi (ultimamente ce lo dicono anche diversi film). Ma quelli cattivi, che distruggono solo per il gusto di farlo (e con armi rudimentali e chiassose), proprio come, appunto, ragazzini che scalciano dopo aver buttato tutto per terra ed esser stati bloccati.
L'edizione da noi considerata è:
Renzo Rosso
Il Gabbiano Nero
Azimut
2006
Il gabbiano nero nel 2007 ha vinto il premio Feronia (un premio letterario minore indetto dalla città di Fano). Ma Renzo Rosso è stato, negli ultimi anni, volutamente ignorato da tutta l'editoria e la stampa culturale italiana. Così come ignorato è stato questo romanzo che per intelligenza, scrittura, per intensità della storia e preveggenza può tranquillamente essere paragonato alle grandi storie di fantascienza uscite dalla penna di maestri come Arthur Clarke e Robert Heinlein.
Il plot è il seguente. Siamo nel 2026 e con una lunga mail lanciata in rete da un anonimo funzionario di un'agenzia del Pentagono si raccontano gli accadimenti che hanno sconvolto per quattro mesi il pianeta Terra (dal mese di aprile al mese di luglio). Il lancio delle mail è cronologico, quasi un diario che utilizza il linguaggio internettiano per comunicare col mondo. Si susseguono l'arrivo di una gigantesca astronave aliena (che verrà chiamata 'Gabbiano nero'), il vano tentativo da parte delle forze militari dei Paesi più potenti di scalfirla seppur minimamente, perfino con testate nucleari che vengono neutralizzate come fossero caramelle scartate e ingoiate; il rapido esame di tutto il pianeta da parte del Gabbiano, il mondo con il naso all'insù perché non sa cosa potrà accadere, il primo comunicato che fa capire quali siano le sue intenzioni.
Sono intenzioni che non potremmo nemmeno definire pacifiche. Sono analisi fredde e spiazzanti sulla situazione storico-politica, sociale e culturale del pianeta; sono moniti che diventeranno ordini volti a sanare quelle che il Gabbiano considera ingiustizie inaccettabili. La vita umana viene messa a nudo, come in un grande fratello cosmico, da una squadra di satelliti che l'astronave dissemina sopra i punti più importanti del pianeta e che iniziano a mandare riprese ventiquattro ore al giorno, e che i media si affrettano a rimandare. I comunicati del Gabbiano costringono le grandi potenze a smantellare gli arsenali militari, a emanare leggi che riequilibrino l'iniquo sistema economico, che ridiano ai continenti vessati da secoli di conquiste gli aiuti e gli strumenti necessari per uscire dallo sfruttamento in cui sono stati costretti. Ai primi ovvi tentennamenti dell'umana razza, all'ostinazione di coloro votati per biologia a delinquere, l'astronave risponde in modo devastante: l'aria è stata saturata di particelle di virus (innocue) inalate da ogni essere umano; chi si ribella agli ordini le aziona come un dispositivo autodistruttivo e il virus dilania il malcapitato.
Gli umani iniziano a dividersi, com'è naturale per una razza programmata al dualismo, in favorevoli e contrari agli interventi di quello che viene considerato a tutti gli effetti un dittatore illuminato, ma spietato. I più riottosi sono i potenti di ogni stato che tenteranno di ribellarsi fino all'ultimo anche con patetiche prove di forza che saranno umiliate da una tecnologia milioni di anni avanti. Non sembra esserci speranza per i cattivi: o l'umanità decide di ritrovare la retta via dell'uguaglianza e della giustizia (da notare che non si parla mai di libertà) o il suo destino sembra segnato.
Renzo Rosso spiazza il lettore con una conoscenza delle nuove tecnologie, delle armi, della geografia, della politica, e di fisica che non lascia nulla al caso. Sono eccezionali le trovate con cui il Gabbiano vorrebbe risolvere il problema droga, disseminando in sud America piantagioni di un'erba, l'exflor, che ha la capacità di far terminare all'istante la dipendenza e curare svariate malattie o quella con cui da dimostrazione di forza contro le flotte navali o le testate nucleari dei grandi caccia americani che vengono costretti senza colpo ferire a ritirarsi nei porti o vengono prese e neutralizzate con la sola forza dell'energia propulsiva che costringe le bombe a disinnescarsi da sole. Non ci sono omini verdi in questo romanzo. La voce con cui il Gabbiano emana i suoi comunicati e sciorina le sue analisi terribili sulla condizione umana è robotica e denota la presenza di un computer di bordo. E' un gigantesco ciclope del cielo che per quattro mesi si prende la briga di sanare l'insanabile (riuscendoci quasi e infondendo in molte persone grandi speranze). Poi però succede qualcosa, che non diremo per non togliere al lettore la curiosità che il romanzo deve suscitare (perché in Italia nessuno scrive di Fantascienza in questo modo). Ripeto, nessuno. E quando, quella stessa sera al Barabook, ingenuamente ho chiesto a Rosso quale autore l'avesse influenzato e chissà quanti film si fosse visto partendo dai B movie anni'50, la sua risposta è stata disorientante: nessuno, mi ha detto candidamente. Il Gabbiano Nero, quindi, è stato scritto da un autore che ha ammesso di non aver mai letto un libro di fantascienza e di aver a mala pena visto qualche film in gioventù (e parliamo, appunto, degli anni '50 del secolo scorso).
Il romanzo è una specie di trionfo di un post-moderno che guarda al passato. E' un pamphlet forse moralista, forse impietoso sulla condizione umana che, agli occhi del grande scrittore triestino, si trascina senza alcuna speranza: almeno fino a che rimarremo con questa programmazione genetica addosso e questa inossidabile smania di sopraffazione bestiale che i mistici Veda chiamano brama (volontà di possesso e attaccamento) e le superstiziose e primitive religioni monoteiste che ancora reggono i giochi dei poteri bollano come peccato.
L'altro, il dio meccanico che scende dal cielo e ci osserva come farebbe uno scienziato curioso in un laboratorio di topini dispettosi, sbalordito, si comporta come un papà forzuto che blocca mani e gambe del figlioletto agitato e capriccioso che scalcia perché s'è impuntato e vuole ottenere chissà cosa, e piange. E si dimena. E' un onore per me, oggi, poter dire di aver conosciuto Renzo Rosso. Il suo Gabbiano Nero rimane una perla nella letteratura italiana contemporanea, un diadema che possiedono in pochi e, forse, se lo mostrassero troppo, potrebbe suscitare ire, invidie, gelosie, portare le persone a compiere gesti inconsulti, proprio come quelli compiuti, del resto, dagli umani biologicamente votati alla stupidità e alla delinquenza dopo i moniti dell'astronave.
Tutto è assolutamente credibile in questo libro, dai luoghi, alle situazioni, soprattutto, Il Gabbiano Nero, è un romanzo scritto nell'era di Internet e per Internet. E' un lungo ipertesto che si fa forma d'arte. Che si presenta come profezia involontaria. E termina per essere un'autoanalisi collettiva che, come razza, davvero non ci fa onore. Ma questo lo sapevamo. Adesso sappiamo anche che neppure un intervento alieno potrebbe salvarci. A meno che non alziamo una volta per tutte gli occhi al cielo e iniziamo a renderci conto che forse gli alieni siamo noi (ultimamente ce lo dicono anche diversi film). Ma quelli cattivi, che distruggono solo per il gusto di farlo (e con armi rudimentali e chiassose), proprio come, appunto, ragazzini che scalciano dopo aver buttato tutto per terra ed esser stati bloccati.
L'edizione da noi considerata è:
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Azimut
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