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Il Paradiso degli Orchi
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CINEMA E MUSICA

Alfredo Ronci

La regina del rockabilly è tornata, pazza e geniale: 'The party ain't over' di Wanda Jackson.

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C'è una pubblicità della Citroen in cui un sorridente John Lennon invita gli ascoltatori a mettere da parte la nostalgia per gli anni sessanta e settanta, e vivere nel presente. Non ci voleva certo il povero beatle a sentenziare una sesquipedale sciocchezza. Ma in alcuni casi il passato, attraverso una riverniciatura azzeccata, può risplendere ed avere la stessa allure; quando poi riesce addirittura a dare uno scossone alla noia, siamo di fronte non ad un'operazione nostalgica, ma ad un vero e proprio colpo di genio.

E' il caso di questo disco: Wanda Jackson è una cantante di settantaquattro anni (!) che affidatasi alle cure amorevoli di Jack White (che dopo aver sciolto i White Stripes, si industria in mille progetti tra i quali, quello più riuscito, i Dead Weather) e rispolverando certe sue caratteristiche (ebbe molto successo a cavallo tra i cinquanta e sessanta e spaziò, pur se ritenuta 'the queen of rockabilly', tra country, ballate acustiche e persino gospel) ha realizzato un piccolo capolavoro.

Sì perché The party ain't over ha la freschezza e l'energia di un lavoro fatto non per esaltare il bel tempo che fu, ma per dare un sussulto a quest'epoca di tartufi fregnacciari.

Il brano di apertura è subito esplicativo. In 'Shakin all over' Wanda Jackson su un tappeto musicale che sembra psichedelica da colonna sonora, fa quello che, per esempio, Nina Hagen , persa nelle sue preci al Signore, ha ormai dimenticato: canta come un'ossessa che sembra una giovine punk!.

Non si ha tempo per rilassarci che t'arriva un rock'n'roll alla Jerry Lee Lewis, con tanto di svisate pianistiche, 'Rip it up', grazie al quale è impossibile stare fermi.

La vecchiarda poi ti piazza un brano country style 'Busted', alla maniera della grande Patsy Cline, ma più vicino al suo stile acido. Spiazza col successivo, un calypso 'Rum and Cioca Cola, che avrebbe fatto la felicità dei Tom Tom Club.

Come per incanto ricicla un Bob Dylan d'annata, piuttosto rockeggiante 'Thunder on the mountain' che non fa rimpiangere l'originale.

Il disco comunque è una miniera di sorprese nei suoi undici brani e nonostante non duri granché (sono pezzi al fulmicotone, ruggenti e diretti come potrebbe essere un'antologia di punk agli esordi).

Che dire della strafamosa 'You know that I'm no good (portata al successo da Amy Winehouse e ancora più recentemente biglietto di presentazione di quel talento di Matt Cardle che ha vinto l'edizione di X-Factor inglese di quest'anno) che la Wanda fa in modo impeccabile? O dell'acido bluesaccio 'Like a baby' o del pezzo country, con tanto di fiati Stax-style 'Dust on a bible?

A non crederci chiude il disco uno yodel 'Blue Yodel' che farebbe la felicità dei migliori gruppi vocali altoatesini.

Si diceva prima: un piccolo capolavoro. Jack White ha lavorato come spesso fa Joe Henry, il cognato di Madonna, che recentemente, grazie ad una serie di dischi miratissimi, ha riportato in auge ugole e musicisti, soprattutto della scena 'nera' ingiustamente caduti nell'oblio.

Qui Wanda Jackson da una lezione di canto e di vita che stende in un sol colpo le masse di ragazzine adoranti lo star system e i format musicali.

Provare per credere.



Wanda Jackson

The party ain't over

Nonesuch 2011







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