CINEMA E MUSICA
Adriano Angelini Sut
La rimpatriata dei Nirvana produce un capolavoro pazzesco. "Wasting light" dei Foo Fighters.
Erano anni che non sentivo un album di puro rock di questo livello. Forse dai Queens of the Stone Age, anzi forse prima ancora, dagli ultimi veri Soundgarden, quelli di Superunknown. Ebbene, posso dire che questo Wasting light dei Foo Fighters, settimo album in studio per il sempiterno nume Dave Grohl è un album monumentale. A partire dal singolo. 'Rope'. Una roba potente, fuori di testa e melodiosamente incandescente. Come incandescenti sono tutti i pezzi di questo album che ha visto una vera e propria rimpatriata dei mai sufficientemente rimpianti Nirvana; il produttore infatti è Butch Vig, storico collaboratore della band di Kurt Cobain, e Grohl nel gruppo ha voluto pure l'ex Krist Novoselic. Insomma, manca solo il beneamato angelo biondo. Le note di questo Wasting Light non lo fanno rimpiangere. Prendete 'Dear Rosemary', un brano assolutamente meraviglioso, una ballata graffiante che rimarrà nella storia del rock per i prossimi vent'anni, credetemi. Una di quelle canzoni che sembrano ispirate da refrain di altri tempi, che mescolano chitarre e voce à la maniera grunge senza tanti ripensamenti. Man mano che proseguivo con l'ascolto mi rendevo conto che ero di fronte a qualcosa di epico. Perfino l'apparentemente insentibile 'White Limo', una caciara punk assurda e uscita come singolo d'assaggio pre-album il giorno di san Valentino si è rivelata a poco a poco una bomba spiazzante, travolgente. Vig è stato accorto nel non trasformare il suono di Grohl e compagni in un simulacro yuppie dei Green Day (visto che di loro è stato appunto un altro storico collaboratore). Con 'Arlandria' sembra di tornare ai tempi dei Toto di 'Hold The Line', solo un po' più graffianti. La voce di Grohl è ispirata e posseduta nello stesso tempo. 'These days' parte ballata con riff lento e un po' Pearl Jam e poi divaga e sale in una bella e suadente canzonaccia rock. Cristo, e pensare che in Italia ci tocca Ligabue. L'attacco di 'Back & Forth' con batteria minacciosa e chitarre secche sembra riassumere in sé tutta la storia del rock. Cose semplici, quattro quarti, coretti nel ritornello, bridge, si sale, cose eterne come il sole californiano. E che dire di 'A matter of time'. Niente, sentitevela. Graffi sincopati, ritmo ascendente, non ci sono arzigogoli, solo chitarre, basso, ritornello da canticchiare, tutto, come tutti gli altri ritornelli, indistintamente, di questo straordinario lavoro di una band che nel tempo ha tentato di rendere onore a un'impossibile pietra miliare (i Nirvana, appunto). Con quest'album ci sono riusciti in pieno. Dio li benedica! 'Miss the Misery' sembra uscita da una rimpatriata di strimpellatori primi anni'80. Quando l'hard rock tentava prepotentemente di arrotondare il suono punk. Si ragiona un po' con 'I Should Have Known' (si odono echi di Screeming Trees più soft), ma Grohl non è Mark Lanegan; insieme furoreggerebbero. Qui ci accontentiamo di uno. Bella e triste. Straziante nel finale. Impetuosa direi. Si chiude con 'Walk', un'altra caramellina dolce. Ballata che parte pacata e che finisce sotto le mitragliate di una batteria asfissiante. Di un voce semplicemente ululata. Inarrivabile. D'annata con e senza apostrofo. E pensare che la splendida 'Bridge Burning', il pezzo d'apertura dell'album, all'inizio mi aveva lasciato un po' così. Capita coi capolavori.
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Wasting light
RCA Records - 2011
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