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CLASSICI

Alfredo Ronci

La struggente preveggenza di Fausta Cialente

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Trieste e Alessandria d'Egitto potrebbero essere le due 'sponde' dove collocare l'arte deliziosa e necessaria di Fausta Cialente. Scrittrice che, caso forse unico nella letteratura mondiale, nell'arco di cinquant'anni di attività, pubblicò solo sette romanzi. I romanzi così detti 'italiani' ambientati nei suoi anni di formazione appunto a Trieste e quelli successivi alla seconda guerra mondiale, e quelli definiti 'levantini' nelle terre (l'Egitto) della sua maturità, dal 1922 alla fine del secondo conflitto.

Cinquant'anni di scrittura che non hanno lasciato lettere, né confessioni, né dichiarazioni, né interviste (le eccezioni sono così poche da essere inutilizzabili come fonti).

Una scrittrice così solitaria e ossessionata dalla minaccia sempre incombente della solitudine (come ci si sente quando si è soli scrive in Pamela) che un suo attento e stimato lettore, Franco Cordelli, fece un'immane fatica a rintracciarla negli ultimi anni della sua vita, quando abitava in un piccolo appartamento nel quartiere Monteverde a Roma (morirà però a Londra, nel 1994, a novantasei anni).

La sua arte (Alfredo Giuliani nella considerazione dell'elemento stilistico suggeriva di non lasciarsi ingannare da una prosa che sembrava fatta all'uncinetto, soprattutto in confronto con la scrittura fiammeggiante ed audace della Morante e quella di un estremismo strutturale della Ortese) è stata soprattutto preveggenza e certezza del declino. La preveggenza di chi aveva visto, per via della sua vita al limite dell'apolide, che l'esistenza poteva passare attraverso le esperienze di comunità miste, crogiuoli di mondi diversi e apparentemente lontani (in uno dei suoi romanzi più struggenti e riusciti, Cortile a Cleopatra, vi è un cortile circondato da casupole corrose dal vento dove vive un'umanità sostanzialmente in pace, nonostante le diversità religiose ed etniche) e certezza del declino: il declino di un mondo destinato a 'rivoltarsi' non soltanto con l'epilogo della guerra, ma per oggettive necessità di una collettività sempre in crescita e sempre bisognosa di sviluppo e diritti.

A quest'ultima argomentazione appartiene Il vento sulla sabbia, del 1972, dove la storia di Lisa, una ragazza che, dopo aver perso sia i genitori che la vecchia zia che l'aveva accudita quando era rimasta sola (si trasferisce in terra africana per vivere e lavorare nella casa di due suoi lontani cugini), si combina perfettamente con la sensazione di un sistema ormai in declino, di un sistema-mondo coloniale e colonialista che col tempo aveva perso qualsiasi ragione d'essere (attenzione: il romanzo è ambientato qualche anno prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, dove invece il furore conquistatore del fascismo e di tutte le potenze coloniali è ancora una 'stretta necessità dei tempi').

Ma Il vento sulla sabbia è un affascinante affresco dei rapporti umani: due parti del cielo che sembrano davvero lontani, ma che nella tragedia si riveleranno più vicini che mai. Accanto a Lisa ci sono i suoi due cugini Filippo e Malvina (La zia mi aveva rivelato, a suo tempo, che la casa di Filippo e Malvina era nota per essere un "covo" di antifascismo, non solo per gli intellettuali di tutte le nazionalità che vi si riunivano. Ma la sua riprovazione non era suggerita da una simpatia per il fascismo, di cui anzi diffidava, forse per le sue origini slovene; era piuttosto che considerava Filippo un imprudente, una testa bruciata, giustificato però dal fatto di essere ebreo) e due anziani coniugi tedeschi, Frida e Stefan, che abitano una bella villa sulla costa (Sans Souci) e che ospitano Lottie, un'eccentrica e patetica scrittrice, che alla fine del romanzo tenterà di sottrarre lui alla moglie (Al Sans Souci, come da Filippo e Malvina, i domestici erano trattati bene e con giustizia, dovevo convenirne; ma il tono con cui generalmente ne parlavano, se non proprio da razzisti, mi sembrava nondimeno quello di chi possiede una specie di collezione – una collezione che ha il suo valore, e sulla quale si ha un certo diritto di proprietà).

Come si diceva prima, in questa suddivisione sociale tra i personaggi, la tragedia appianerà certe divergenze (l'incomprensione soprattutto tra Stefan e Filippo) : quando ormai si avverte chiaramente il sentore dell'altra immane tragedia (il nazismo trionfante e il fascismo dilagante di cui la giovane protagonista ha una idea più che chiara,perché alla domanda se vuole tornare in Italia, risponde senza esitazioni: Non ora, non mi piace il fascismo) la decisione di Lottie di ripartire per la Germania e sottrarre Stefan a Frida, scatenerà una serie di reazioni che porterà ad un efferato delitto.

Scriverà, meravigliosamente, in proposito Franco Cordelli: il punto più alto della moralità novecentesca italiana è nel finale di Il vento sulla sabbia, quando si scoprirà che l'amante di Stefan, Lottie, in procinto di tornare in Europa portando via con sé il marito dell'amica Frida, non è morta sola, è morta con Frida, poiché da lei assistita. Nel mondo della Cialente non succede solo che tutti si muore, succede molto di più: succede che ciò che davvero importa è come si muore, ovvero come si vive.

E come si è vissuti, ci va di aggiungere. Perché nell'opera di questa silenziosa e straordinaria scrittrice non tutto è lutto: per esempio nella fuga di Marco in Cortile a Cleopatra (altra struggente e poetica opera) si può leggere la possibilità e il desiderio di un mondo migliore.

Quello che la Cialente nella sua lunghissima vita ha sempre auspicato e che nel caso di Il vento sulla sabbia ha 'declinato' nella speranza di poter augurarne un altro più giusto.





L'edizione da noi considerata è:



Fausta Cialente

Il vento sulla sabbia

Arnoldo Mondadori Editore – Prima edizione, 1972







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