CLASSICI
Alfredo Ronci
La tragedia collettiva di Romain Gary: Formiche a Stalingrado.
Per un attimo soltanto dimentichiamo l'autore in preda ai deliri della terza età di Biglietto scaduto (Neri Pozza); dimentichiamo l'autore alla ricerca di una tranquillità 'borghese' di Chiaro di donna (Casagrande) e anche quello anticipatore dell'immigrazione araba de La vita davanti a sé (Neri Pozza) e fermiamoci invece sul suo esordio letterario (quello che nella prima edizione Medusa Mondadori portava il titolo di Formiche a Stalingrado, mantenuto nella prima edizione Oscar Mondadori – quella da noi considerata – del 1967 e finalmente ritradotto correttamente da Neri Pozza nel 2008 con L'educazione europea, in originale L'éducation européenne): qui a parlare è una tragedia collettiva, quella del popolo polacco alle prese con la resistenza ai nazisti e con l'attesa per la vittoria dei russi sul fronte di Stalingrado (Quest'inverno i dintorni di Stalingrado non sono solo Russia: sono il mondo che soffre e lotta per liberarsi).
Formiche a Stalingrado è una sorta di Kaputt malapartiano, con una differenza notevole: se l'autore italiano, vuoi per la frequentazione di ambienti di potere, vuoi per una innata propensione ad un magma letterario che incedeva prodigioso nella sua ricchezza espressiva, ci lasciava una testimonianza vista spesso con gli occhi dei potenti, Gary invece racconta, con una scansione narrativa che ricorda, pur non avendola, i libri di racconti e con un stile semplice, ordinato e piano, la vita di una 'banda' di partigiani e l'epos sulla guerriglia nei paesi dell'Est europeo.
Epica che sembra scontata per chi affronta la dura realtà della resistenza, meno per chi, come il padre di uno dei capi della lotta, chiede solo di non essere coinvolto: E' molto bella la lotta disperata, ma il destino d'una razza è di sopravvivere e non già di morire in bellezza (...) Se mi mostrassero dieci bambini polacchi e mi dicessero che per salvarli dovrei leccare gli stivali a dieci soldati tedeschi, io direi:"Eccomi pronto, servo vostro".
La guerra e l'attesa per la vittoria russa è vista attraverso gli occhi di un quattordienne, Janek, che rimasto senza famiglia s'inoltra nella foresta per cercare conforto umano e lì incontra i partigiani nei loro rifugi decidendo poi di stare con loro.
Si diceva prima del confronto col Kaputt malapartiano: quest'ultimo insisteva anche sull'aspetto, se vogliamo, grandguignolesco, della tragedia umana, del sangue che scorreva a fiumi, della crudeltà del potere e di chi lo gestiva; Gary, come se ogni singolo attimo dell'esistenza di ognuno di noi fosse parte integrante della Storia, insiste più sull'aspetto umanitario e 'piccolo' della quotidianità. Come nell'episodio in cui Janek scopre quasi per caso, nei suoi viaggi in città alla ricerca di contatti per la guerriglia, un appartamento in cui una donna suona Chopin (quale dolorosa iniziazione alla musica sarà per il ragazzo!) – successivamente deportata dalla Gestapo.
O quello in cui Zosia, la piccola prostituta che vuole lasciare il suo 'lavoro' dopo essersi innamorata di Janek, accetta l'ultimo incarico: quello di portarsi a letto un gruppo di tedeschi per scoprire quando i militari partiranno per il fronte russo con un carico di esplosivo.
Ma Formiche a Stalingrado (Il mondo nel quale soffrono e muoiono gli uomini è quello stesso nel quale soffrono e muoiono le formiche dice Gary poche righe prima della fine del romanzo) rimane essenzialmente un confronto con le ideologie e gli ideali del novecento: I borghesi – disse Pech – sono uguali dappertutto (...) mandano la stessa puzza, in tutti i paesi del mondo (chissà se Gary avrà ricordato queste parole quando in una dinamica un po' hollywoodiana pose platealmente fine alla sua vita, vestendosi con una vestaglia rossa e sparandosi un colpo alla testa).
Oppure: "Che cos'è il fascismo?" "Non lo so esattamente. E' una maniera di odiare".
Definito, quando uscì nel 1945, uno dei libri più belli sulla Resistenza comparso nell'immediato dopoguerra, andrebbe suggerito e letto nelle scuole. Per evitare poi quel collasso culturale che né gli insegnanti, tanto meno gli studenti, sono capaci di evitare persi nella ricerca di un passato sempre più spiegato male, ed un presente effimero e formativamente scadente.
L'edizione da noi considerata è:
Romain Gary
Formiche a Stalingrado
Oscar Mondadori
Prima edizione - 1967
Formiche a Stalingrado è una sorta di Kaputt malapartiano, con una differenza notevole: se l'autore italiano, vuoi per la frequentazione di ambienti di potere, vuoi per una innata propensione ad un magma letterario che incedeva prodigioso nella sua ricchezza espressiva, ci lasciava una testimonianza vista spesso con gli occhi dei potenti, Gary invece racconta, con una scansione narrativa che ricorda, pur non avendola, i libri di racconti e con un stile semplice, ordinato e piano, la vita di una 'banda' di partigiani e l'epos sulla guerriglia nei paesi dell'Est europeo.
Epica che sembra scontata per chi affronta la dura realtà della resistenza, meno per chi, come il padre di uno dei capi della lotta, chiede solo di non essere coinvolto: E' molto bella la lotta disperata, ma il destino d'una razza è di sopravvivere e non già di morire in bellezza (...) Se mi mostrassero dieci bambini polacchi e mi dicessero che per salvarli dovrei leccare gli stivali a dieci soldati tedeschi, io direi:"Eccomi pronto, servo vostro".
La guerra e l'attesa per la vittoria russa è vista attraverso gli occhi di un quattordienne, Janek, che rimasto senza famiglia s'inoltra nella foresta per cercare conforto umano e lì incontra i partigiani nei loro rifugi decidendo poi di stare con loro.
Si diceva prima del confronto col Kaputt malapartiano: quest'ultimo insisteva anche sull'aspetto, se vogliamo, grandguignolesco, della tragedia umana, del sangue che scorreva a fiumi, della crudeltà del potere e di chi lo gestiva; Gary, come se ogni singolo attimo dell'esistenza di ognuno di noi fosse parte integrante della Storia, insiste più sull'aspetto umanitario e 'piccolo' della quotidianità. Come nell'episodio in cui Janek scopre quasi per caso, nei suoi viaggi in città alla ricerca di contatti per la guerriglia, un appartamento in cui una donna suona Chopin (quale dolorosa iniziazione alla musica sarà per il ragazzo!) – successivamente deportata dalla Gestapo.
O quello in cui Zosia, la piccola prostituta che vuole lasciare il suo 'lavoro' dopo essersi innamorata di Janek, accetta l'ultimo incarico: quello di portarsi a letto un gruppo di tedeschi per scoprire quando i militari partiranno per il fronte russo con un carico di esplosivo.
Ma Formiche a Stalingrado (Il mondo nel quale soffrono e muoiono gli uomini è quello stesso nel quale soffrono e muoiono le formiche dice Gary poche righe prima della fine del romanzo) rimane essenzialmente un confronto con le ideologie e gli ideali del novecento: I borghesi – disse Pech – sono uguali dappertutto (...) mandano la stessa puzza, in tutti i paesi del mondo (chissà se Gary avrà ricordato queste parole quando in una dinamica un po' hollywoodiana pose platealmente fine alla sua vita, vestendosi con una vestaglia rossa e sparandosi un colpo alla testa).
Oppure: "Che cos'è il fascismo?" "Non lo so esattamente. E' una maniera di odiare".
Definito, quando uscì nel 1945, uno dei libri più belli sulla Resistenza comparso nell'immediato dopoguerra, andrebbe suggerito e letto nelle scuole. Per evitare poi quel collasso culturale che né gli insegnanti, tanto meno gli studenti, sono capaci di evitare persi nella ricerca di un passato sempre più spiegato male, ed un presente effimero e formativamente scadente.
L'edizione da noi considerata è:
Romain Gary
Formiche a Stalingrado
Oscar Mondadori
Prima edizione - 1967
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