CLASSICI
Alfredo Ronci
La vita segnata dalla guerra di Erich Maria Remarque: 'La notte di Lisbona'.
Un romanzo di finzione questo, ma un romanzo, se vogliamo, anche autobiografico. Mai come in questo caso vicende personali s'intrecciano con lo svolgersi della storia, che è tutta racchiusa in una notte speciale: una notte al porto di Lisbona. Ed un incontro tra due profughi della Germania Nazista; uno alla ricerca disperata di un passaporto per sé e per la moglie, per potere emigrare negli Stati Uniti; l'altro, ormai amareggiato dalla vita, disposto a regalare il proprio passaporto a chiunque sia in grado di ascoltare pazientemente la sua lunga storia.
Colui che ascolta la storia dice di colui che la racconta: Non gli domandai perché avesse lasciato la Germania. Motivi non ne mancavano. Nessuno di essi era interessante perché tutti erano ingiusti. Esser vittima non è interessante. Lui o era ebreo o era stato iscritto a un partito politico avverso al regime dominante, o aveva nemici che ad un tratto erano diventati influenti: c'erano dozzine di motivi per essere ficcati in un campo di concentramento o uccisi.
Remarque fu un profugo: fuggì dalla Germania nazista nel 1938 dopo che i suoi libri erano stati messi al bando, bruciati nelle pubbliche piazze e il film tratto dal suo romanzo più famoso Niente di nuovo sul fronte occidentale ritenuto disfattista e antipatriottico ('solo' perché raccontava la tragedia della prima guerra mondiale vista con gli occhi di un soldato di appena diciannove anni).
Dunque l'arte 'degenerata' (così come definita dai nazisti) dello scrittore tedesco di Osnabruck gli costò un esilio forzato. Ne La notte di Lisbona ritroviamo tutto questo, ritroviamo la storia di un fuggitivo che rientra temporaneamente in Germania per ricongiungersi con la moglie con cui ha una liaison anticonformista (Helen, tu non solo sei eccitante, ma anche ridicola, che viene ad essere una combinazione straordinariamente rara e deliziosa) e poi attraverso disavventure e viaggi in mezza Europa (Austria, Francia, Svizzera, Spagna ed infine il Portogallo) ritrova il senso di un'esistenza ai margini e disperata (Probabilmente noi commettiamo più suicidi di quanti immaginiamo, salvo che non lo sappiamo [...] Ci accorgessimo almeno che sono suicidi!... Allora avremmo la capacità di risorgere dai morti. Potremmo vivere più vite invece di trascinare le ulcere dell'esperienza da una crisi all'altra e di rimetterci, infine la vita) attraverso una resa che paradossalmente non è una rinuncia al proprio 'vivere'.
La notte di Lisbona è un romanzo che centra un periodo storico epocale: siamo nel 1939, la gente ha capito che la conferenza di Monaco dell'anno precedente ha solo rinviato di poco lo scoppio della guerra. Pochi sono ormai gli ottimisti, e quando nel 1940 la Germania occupa anche la Francia il destino dell'Europa sembra ormai nelle mani di una banda di assetati assassini e le regole della più civile convivenza vengono distrutte come castelli di sabbia. Ne paga le conseguenze il protagonista della storia che fuggito a Parigi poco prima dell'aggressione subisce con altri il senso ristretto e paradossale (lui anti-nazista!) dei limiti di libertà (C'erano anche fuoriusciti spagnoli, anche loro arrestati. Lo zelo col quale si rastrellavano gli antifascisti in un paese antifascista non era privo di ironia. Pareva di essere in Germania [...] una nazione che lotta per la vita ha altro da fare che rendere piena giustizia a ogni fuoriuscito. Noi non venimmo torturati né cacciati nelle camere a gas, né fucilati, ma soltanto messi in prigione. Che cosa potevamo pretendere di più?).
Il romanzo uscì nel 1962, ma le ferite di guerra (l'ennesima, perché Remarque visse di persona la prima grande guerra mondiale dove fu ferito più volte ) erano ancora aperte. D'altra parte un tedesco che non aveva condiviso la realtà politica del nazismo aveva davvero squarci da ricucire (straordinariamente sintetizzati dalle vicende di un ragazzino che nella parte ultima del romanzo affianca il protagonista: Quando i rappresentanti della civiltà del Terzo Reich avevano spaccato il cranio a suo nonno egli aveva tre anni, quando avevano impiccato suo padre ne aveva sette e quando sua madre era stata uccisa col gas, nove: vero figlio del secolo ventesimo).
Remarque scrittore non finissimo, ma essenziale e concreto convisse dunque continuamente coi fantasmi della guerra e delle sue agghiaccianti operazioni (scrisse L'ultima scintilla, vita di un gruppo di prigionieri detenuti in un campo di concentramento a Mellern, viste dal punto di vista di un ebreo 'numero 509', pur non avendo vissuto personalmente l'esperienza). Quel che ci rimane è un'ossessione che ci ha pienamente trasmesso attraverso una narrativa lucida e priva di inutili sovrastrutture.
Riandrebbe 'rifrequentato'.
L'edizione da noi considerata è:
Erich Maria Remarque
La notte di Lisbona
Mondadori Le meduse – 1972
Traduz. Di Ervino Pocar
Colui che ascolta la storia dice di colui che la racconta: Non gli domandai perché avesse lasciato la Germania. Motivi non ne mancavano. Nessuno di essi era interessante perché tutti erano ingiusti. Esser vittima non è interessante. Lui o era ebreo o era stato iscritto a un partito politico avverso al regime dominante, o aveva nemici che ad un tratto erano diventati influenti: c'erano dozzine di motivi per essere ficcati in un campo di concentramento o uccisi.
Remarque fu un profugo: fuggì dalla Germania nazista nel 1938 dopo che i suoi libri erano stati messi al bando, bruciati nelle pubbliche piazze e il film tratto dal suo romanzo più famoso Niente di nuovo sul fronte occidentale ritenuto disfattista e antipatriottico ('solo' perché raccontava la tragedia della prima guerra mondiale vista con gli occhi di un soldato di appena diciannove anni).
Dunque l'arte 'degenerata' (così come definita dai nazisti) dello scrittore tedesco di Osnabruck gli costò un esilio forzato. Ne La notte di Lisbona ritroviamo tutto questo, ritroviamo la storia di un fuggitivo che rientra temporaneamente in Germania per ricongiungersi con la moglie con cui ha una liaison anticonformista (Helen, tu non solo sei eccitante, ma anche ridicola, che viene ad essere una combinazione straordinariamente rara e deliziosa) e poi attraverso disavventure e viaggi in mezza Europa (Austria, Francia, Svizzera, Spagna ed infine il Portogallo) ritrova il senso di un'esistenza ai margini e disperata (Probabilmente noi commettiamo più suicidi di quanti immaginiamo, salvo che non lo sappiamo [...] Ci accorgessimo almeno che sono suicidi!... Allora avremmo la capacità di risorgere dai morti. Potremmo vivere più vite invece di trascinare le ulcere dell'esperienza da una crisi all'altra e di rimetterci, infine la vita) attraverso una resa che paradossalmente non è una rinuncia al proprio 'vivere'.
La notte di Lisbona è un romanzo che centra un periodo storico epocale: siamo nel 1939, la gente ha capito che la conferenza di Monaco dell'anno precedente ha solo rinviato di poco lo scoppio della guerra. Pochi sono ormai gli ottimisti, e quando nel 1940 la Germania occupa anche la Francia il destino dell'Europa sembra ormai nelle mani di una banda di assetati assassini e le regole della più civile convivenza vengono distrutte come castelli di sabbia. Ne paga le conseguenze il protagonista della storia che fuggito a Parigi poco prima dell'aggressione subisce con altri il senso ristretto e paradossale (lui anti-nazista!) dei limiti di libertà (C'erano anche fuoriusciti spagnoli, anche loro arrestati. Lo zelo col quale si rastrellavano gli antifascisti in un paese antifascista non era privo di ironia. Pareva di essere in Germania [...] una nazione che lotta per la vita ha altro da fare che rendere piena giustizia a ogni fuoriuscito. Noi non venimmo torturati né cacciati nelle camere a gas, né fucilati, ma soltanto messi in prigione. Che cosa potevamo pretendere di più?).
Il romanzo uscì nel 1962, ma le ferite di guerra (l'ennesima, perché Remarque visse di persona la prima grande guerra mondiale dove fu ferito più volte ) erano ancora aperte. D'altra parte un tedesco che non aveva condiviso la realtà politica del nazismo aveva davvero squarci da ricucire (straordinariamente sintetizzati dalle vicende di un ragazzino che nella parte ultima del romanzo affianca il protagonista: Quando i rappresentanti della civiltà del Terzo Reich avevano spaccato il cranio a suo nonno egli aveva tre anni, quando avevano impiccato suo padre ne aveva sette e quando sua madre era stata uccisa col gas, nove: vero figlio del secolo ventesimo).
Remarque scrittore non finissimo, ma essenziale e concreto convisse dunque continuamente coi fantasmi della guerra e delle sue agghiaccianti operazioni (scrisse L'ultima scintilla, vita di un gruppo di prigionieri detenuti in un campo di concentramento a Mellern, viste dal punto di vista di un ebreo 'numero 509', pur non avendo vissuto personalmente l'esperienza). Quel che ci rimane è un'ossessione che ci ha pienamente trasmesso attraverso una narrativa lucida e priva di inutili sovrastrutture.
Riandrebbe 'rifrequentato'.
L'edizione da noi considerata è:
Erich Maria Remarque
La notte di Lisbona
Mondadori Le meduse – 1972
Traduz. Di Ervino Pocar
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