DE FALSU CREDITU
Donna Clorinda Frenelli
Le Poesie (1980-2005)
Apostema Edizioni, Pag. 156 Euro 14,80
Chi è avvezzo a frequentar sale e teatri sa chi è Donna Clorinda Frenelli. Durante la sua attività di dirigente Rai negli anni'60, il grande Carlo Emilio Gadda scrisse un dramma radiofonico, Il guerriero, l'amazzone, lo spirito della poesia nel verso immortale del Foscolo in cui si discettava appunto del grande poeta. Messo in scena per la prima volta a Roma nel 1967 aveva come protagonisti il Professor Manfredo Bodoni Tacchi, l'Avvocato Demaso De Linguagi e appunto Donna Clorinda Frenelli.
Immaginate dunque lo stupore dei lettori di fronte ad un'opera di una figura mitica ed inventata di sana pianta dall'ingegnere più famoso d'Italia. In realtà le cose sono diverse. Con un pizzico di civetteria e con un allure discutibile, la vera Clorinda Frenelli, nata a Rimini esattamente cinquantasette anni fa, tra l'altro famosa nella cerchia dei salotti di poesia, affibiatasi questa sorta di prefisso nobiliare, propone la sua prima antologia, che comprende, tra l'altro, la suddivisione in quattro periodi ben distinti e che andiamo ad elencare: familiare, naturalistico, animistico, formale.
Del primo periodo, che la stessa Frenelli indica approssimativamente tra il 1980 e il 1986, si staglia, nel suo aulico ecumenismo, "A mia madre": Senti l'estate che torna/del frinir fiabesco dei molli dì/del suo sidereo volto che io miro/ bello di occhi tupamaros.
Irrinunciabile invece, del periodo naturalistico, l'ode "La vigna dell'elicanto": S'intonano modeste le cicale/del frinir fiabesco dei molli dì/ma solo la salvia conosce i segreti / fradici di grammatica / degli astri femminei che muti vagano / nelle tue cosmogonie.
Il periodo animistico, che sempre secondo l'autrice, possiamo collocare tra il 1996 e il 2000, offre squarci di impressionante veridicità, pur nell'assoluta vaghezza, se il termine è consentito in questo caso, della materia poetica. Nell'ode "lettere e meccanica" s'impone l'assoluta simbiosi tra il cromatismo di piombo della semi-oscurità e la dinamica del congegno meccanicistico: Anche l'ombra di Hemingway / s'è fatta scarica / d'una marmitta idiota e veloce e del frinir fiabesco dei molli dì.
Ancor più avvincente sembra "Revolver" che anticipa, quasi profeticamente, la moda letteraria dei nostri giorni, in un gioco funambolico di richiami e metafore: Per le munizioni degli occhi / schieravo le ciglia / revolver di scritti / per le ciminiere di dire/ e del frinir fiabesco dei molli dì/e la suggestione di una notte che piombò/ come un sinistro sopra i miei occhi.
Il periodo formale, quello che parrebbe ai più, espressione di una perfetta maturità artistica, muore però, improvvisamente, nel giugno del 2005. La Frenelli, sazia forse dei riconoscimenti letterari, ma abiurata, in modo inopinato, dai formalisti più blasonati, s'invola al silenzio più incondizionato, senza aver prima lasciato segni di perturbante abisso: Tiè, tiè, tiè/come disse a Macramè/il profeta di Fourier/travestito di lamè: del frinir fiabesco dei molli dì io scortico l'incrosto.
Formali sì i suoi versi, ma gli ultimi, come testamento di un'artista prodigiosa, forieri di tristi ambagie e di futuri desolati. Nello scorticar l'incrosto, gli estremi tentativi di una sopravvivenza a latere.
Immaginate dunque lo stupore dei lettori di fronte ad un'opera di una figura mitica ed inventata di sana pianta dall'ingegnere più famoso d'Italia. In realtà le cose sono diverse. Con un pizzico di civetteria e con un allure discutibile, la vera Clorinda Frenelli, nata a Rimini esattamente cinquantasette anni fa, tra l'altro famosa nella cerchia dei salotti di poesia, affibiatasi questa sorta di prefisso nobiliare, propone la sua prima antologia, che comprende, tra l'altro, la suddivisione in quattro periodi ben distinti e che andiamo ad elencare: familiare, naturalistico, animistico, formale.
Del primo periodo, che la stessa Frenelli indica approssimativamente tra il 1980 e il 1986, si staglia, nel suo aulico ecumenismo, "A mia madre": Senti l'estate che torna/del frinir fiabesco dei molli dì/del suo sidereo volto che io miro/ bello di occhi tupamaros.
Irrinunciabile invece, del periodo naturalistico, l'ode "La vigna dell'elicanto": S'intonano modeste le cicale/del frinir fiabesco dei molli dì/ma solo la salvia conosce i segreti / fradici di grammatica / degli astri femminei che muti vagano / nelle tue cosmogonie.
Il periodo animistico, che sempre secondo l'autrice, possiamo collocare tra il 1996 e il 2000, offre squarci di impressionante veridicità, pur nell'assoluta vaghezza, se il termine è consentito in questo caso, della materia poetica. Nell'ode "lettere e meccanica" s'impone l'assoluta simbiosi tra il cromatismo di piombo della semi-oscurità e la dinamica del congegno meccanicistico: Anche l'ombra di Hemingway / s'è fatta scarica / d'una marmitta idiota e veloce e del frinir fiabesco dei molli dì.
Ancor più avvincente sembra "Revolver" che anticipa, quasi profeticamente, la moda letteraria dei nostri giorni, in un gioco funambolico di richiami e metafore: Per le munizioni degli occhi / schieravo le ciglia / revolver di scritti / per le ciminiere di dire/ e del frinir fiabesco dei molli dì/e la suggestione di una notte che piombò/ come un sinistro sopra i miei occhi.
Il periodo formale, quello che parrebbe ai più, espressione di una perfetta maturità artistica, muore però, improvvisamente, nel giugno del 2005. La Frenelli, sazia forse dei riconoscimenti letterari, ma abiurata, in modo inopinato, dai formalisti più blasonati, s'invola al silenzio più incondizionato, senza aver prima lasciato segni di perturbante abisso: Tiè, tiè, tiè/come disse a Macramè/il profeta di Fourier/travestito di lamè: del frinir fiabesco dei molli dì io scortico l'incrosto.
Formali sì i suoi versi, ma gli ultimi, come testamento di un'artista prodigiosa, forieri di tristi ambagie e di futuri desolati. Nello scorticar l'incrosto, gli estremi tentativi di una sopravvivenza a latere.
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