CLASSICI
Alfredo Ronci
Le esilaranti parodie di Paolo Vita Finzi
Durante il liceo già si divertiva. Scrive nel suo bellissimo Giorni lontani (Il Mulino, 1989): La mia mania versificatoria si sfogava anche in facili parodie della Gerusalemme liberata, adattandone le sonanti ottave alle vicende del liceo D'Azeglio. Del resto, tutti gli alunni di 'Umanità' con un po' di gusto letterario han fatto o tentato qualcosa di simile, e a volte quegli scherzi sopravvivono alle vicende scolastiche.
Fortuna che le sue parodie (altro che scherzi!) sono sopravvissute anche agli orrori della guerra.
Ma chi è stato Paolo Vita Finzi? Diciamo che ha avuto due vive parallele, meno disgiunte di quanto si possa pensare ad una valutazione approssimativa. Nasce a Torino nel 1899 (la famosa e purtroppo sfortunata generazione del '99), dopo la laurea in giurisprudenza e la frequentazione di personaggi come Gobetti e Gramsci, intraprende l'attività giornalistica e dopo aver vinto un concorso per la carriera diplomatica, inizia il suo personale curriculum politico come funzionario del Ministero degli Esteri durante il fascismo. Dovrà fuggire dall'Italia, per approdare in Argentina, nel 1938 dopo l'emanazione delle leggi razziali.
Se dovessi definire il mio credo politico di quel tempo, scrive sempre su Giorni lontani, direi che, influenzato soprattutto dalle lezioni di Luigi Einaudi e dalla lettura degli economisti classici, ero un lib-lab, un liberale leggermente favorevole a moderate riforme sociali.
Alla carriera diplomatica affiancò quella letteraria, più specificatamente quella saggistica, ma un posto a parte occupa la Antologia apocrifa, pubblicata nel 1927 e rieditata con successivi arricchimenti nel 1933, nel '61 e nel '78. Per questa raccolta di parodie di scrittori italiani contemporanei, Vita-Finzi si colloca nella storia della nostra letteratura come il massimo parodista italiano del secolo.
L'edizione che andiamo ad esaminare (e praticamente introvabile) è proprio quella del 1927 (edita da quello che Spadolini nell'introduzione a Giorni lontani, definì editore iconoclasta e ribelle come pochi altri, quell'Angelo Fortunato Formìggini, che dopo l'emanazione delle leggi razziali, salì sulla torre della Ghirlandina a Modena e si lanciò nel vuoto): un carosello di trovate e di prese per i fondelli che, nonostante la difficoltà nostra di collocare storicamente i suoi 'bersagli', rivela una verve ed una precisione illuminante tali da strappare spesso il riso.
Quelle imitazioni caustiche e spiritose – sempre parole di Giovanni Spadolini – in cui spiccava per efficacia e brevità quella di Giovanni Gentile, tratta da una pagina del filosofo nutrita dalle grandi contraddizioni con cui l'inventore dell'attualismo aveva avvolto il suo pensiero. Aggiungerei malizioso: chissà se il 'bersaglio' Gentile non fosse una sorta di ricompensa finziana alla diatriba tra lo stesso Formìggini e l'autore del 'Manifesto degli intellettuali fascisti' che spesso e volentieri mise il bastone in mezzo alle ruote all'attività dell'editore modenese, allora a Roma.
Dice lo stesso Vita-Finzi dell'Antologia: Uno tuttavia dei miei tentativi letterari ebbe qualche successo: la serie delle parodie iniziate sull' "Italia che scrive" con un calco accentuato dello stile di Massimo Bontempelli. A un certo punto, raggiunta la trentina, fu possibile riunire quei pezzi in due volumetti all'insegna di una frase di Carducci "Parodia è riconoscimento della poesia". Vi esprimevo la speranza di poter fornire "un breve compendio critico e satirico, un minuscolo panóptikon lievemente caricaturale della cultura italiana d'oggi.
Si diceva prima che la 'cultura dell'oggi di allora' ci impedisce ai giorni nostri una disamina più attenta dei personaggi presi a bersaglio. Se 'riconosciamo' Marino Moretti, Alfredo Panzini, Ugo Ojetti, Ardengo Soffici, più difficile, a meno di una ricerca storico-letteraria più approfondita, ricordare nomi come Antonio Baldini (un forbito scrittore del tempo che scrisse tra l'altro, una guida di Roma in 6 volumi), Eugenio Giovannetti (giornalista che pubblico un Satyricon, antologia di pezzi satirici su teatro e costume) o Marco Praga (commediografo che era ossessionato dagli aspetti 'adulteri' dei rapporti sentimentali).
Ma riusciamo perfettamente a 'navigare' nel falso quando Vita-Finzi fa la parodia di D'Annunzio (s'inventa che il Vate abbia saputo dell'esistenza di un'Antologia novissima della fallace modernità e per questo concede un suo tributo sfuggito al mio poema paradisiaco liber beatitudinis): E bagnerà quel bianco latte il seno/anima, e scenderà lunghesso i fianchi/come s'infiltra tacito un veleno;/ e scenderà quel latte ai tuoi ginocchi – così tondi i ginocchi, e così bianchi! – al suono lene dei miei versi stanchi,/anima: e che il tuo cor non ne trabocchi!/ E scenderà quel latte ai tuoi ginocchi.
Esilarante è l'incipit alla parodia di Pirandello che riprende la base di Uno nessuno e centomila: Un brufolino... Che cos'è, in fondo, un brufolino? Un'escrescenza minuscola: un puntino rosso con un puntino bianco in cima. Cosa, davvero, da non preoccuparsene più di tanto.
Né, in circostanze normali, il prof. Saro Lapàpera si sarebbe preoccupato minimamente di quel bitorzolino sul naso della sua fidanzata Tuzza.
Altrettanto gustoso è l'attacco alla parodia di Gentile, citato dallo Spadolini nell'introduzione a Giorni lontani: Quando l'Io dice: Io sono non-Io, o semplicemente Io sono, il suo essere è realizzazione di sé. Egli non è preoccupato del pensiero in cui si specchia sdoppiandosi e ripiegandosi sopra di sé: ma nel pensiero è il processo appunto della sua realtà: perché l'Io è Io, quello che è, in tutta la sua realtà in quanto è coscienza di sé...
Di un vezzo spassosissimo l'imitazione della Annie Vivanti (tra l'altro anch'essa vittima della politica fascista, in quanto 'segnalata' dal regime dopo la svolta anglofoba agli inizi del '40) che ricorda certe pagine 'graziose' della Invernizio: La bionda testina d'arcangioletto reclinata sulla tenera spalla, aerea nella sua vesticciuola azzurra, glauco-occhiuta e dolce-ridente, Vivien suonava, circonfusa d'un nimbo rutilante dal grande sole del West...
Fa pari quasi con la parodia del Pascoli (non contenuta nella presente edizione, ma nelle successive aggiunte e tanto amata da Guido Almansi che la riportava nel suo volume Quasi falso) che 'riproducendo' Le ciaramelle del poeta romagnolo (Udii tra il sonno le ciaramelle,/ho udito un suono di ninne nanne./Ci sono in cielo tutte le stelle,/ci sono i lumi nelle capanne/ Sono venute dai monti oscuri/le ciaramelle senza dir niente;/hanno destata ne' suoi tuguri/tutta la buona povera gente.) così argutamente celiava: Oggi ho impastato le caramelle,/le caramelle d'erba trastulla:/gocce di miele, raggi di stelle,/lievi che sembran fatte di nulla./Colto ho le bacche sulla pendice/presso la Torre, sul rivo a specchio,/tratto ho la scorza dalla myricae/nei praticelli di Castelvecchio.
I primi del Novecento furono per la nostra letteratura un fermento continuo: pensiamo al movimento futurista, ma anche alla spallata che Bontempelli, con La via intensa, da alla struttura-romanzo (tra l'altro, e mettiamoci un forse, ereditata dalla verve di Vittorio Imbriani, sorta di letterato-terremoto del nostro fine ottocento, che se la prendeva un po' con tutti i generi).
Paolo Vita-Finzi non ha mai creduto alla possibilità che i suoi 'divertissements' potessero assumere significati diversi da quelli che lui stesso aveva pensato. Anzi, era piuttosto critico con quegli autori che, riprendendo un'osservazione di Erich Hoffer ('riverniciata' inseguito da Somerset Maugham) hanno il privilegio di essere scandalosamente stupidi senza danneggiare la loro reputazione.
In realtà l'arte del più grande parodista della nostra letteratura è una cristallina forma di poesia (meglio ancora del 'riconoscimento' carducciano) e di letteratura.
Pensate un po': dopo ottantatre anni dall'uscita di Antologia Apocrifa, si ride ancora. Di gusto. Come davanti ad un film di Totò. Vorrà pur dire qualcosa.
L'edizione da noi considerata è
Paolo Vita-Finzi
Antologia Apocrifa
A.F.Formìggini editore in Roma - 1927
Fortuna che le sue parodie (altro che scherzi!) sono sopravvissute anche agli orrori della guerra.
Ma chi è stato Paolo Vita Finzi? Diciamo che ha avuto due vive parallele, meno disgiunte di quanto si possa pensare ad una valutazione approssimativa. Nasce a Torino nel 1899 (la famosa e purtroppo sfortunata generazione del '99), dopo la laurea in giurisprudenza e la frequentazione di personaggi come Gobetti e Gramsci, intraprende l'attività giornalistica e dopo aver vinto un concorso per la carriera diplomatica, inizia il suo personale curriculum politico come funzionario del Ministero degli Esteri durante il fascismo. Dovrà fuggire dall'Italia, per approdare in Argentina, nel 1938 dopo l'emanazione delle leggi razziali.
Se dovessi definire il mio credo politico di quel tempo, scrive sempre su Giorni lontani, direi che, influenzato soprattutto dalle lezioni di Luigi Einaudi e dalla lettura degli economisti classici, ero un lib-lab, un liberale leggermente favorevole a moderate riforme sociali.
Alla carriera diplomatica affiancò quella letteraria, più specificatamente quella saggistica, ma un posto a parte occupa la Antologia apocrifa, pubblicata nel 1927 e rieditata con successivi arricchimenti nel 1933, nel '61 e nel '78. Per questa raccolta di parodie di scrittori italiani contemporanei, Vita-Finzi si colloca nella storia della nostra letteratura come il massimo parodista italiano del secolo.
L'edizione che andiamo ad esaminare (e praticamente introvabile) è proprio quella del 1927 (edita da quello che Spadolini nell'introduzione a Giorni lontani, definì editore iconoclasta e ribelle come pochi altri, quell'Angelo Fortunato Formìggini, che dopo l'emanazione delle leggi razziali, salì sulla torre della Ghirlandina a Modena e si lanciò nel vuoto): un carosello di trovate e di prese per i fondelli che, nonostante la difficoltà nostra di collocare storicamente i suoi 'bersagli', rivela una verve ed una precisione illuminante tali da strappare spesso il riso.
Quelle imitazioni caustiche e spiritose – sempre parole di Giovanni Spadolini – in cui spiccava per efficacia e brevità quella di Giovanni Gentile, tratta da una pagina del filosofo nutrita dalle grandi contraddizioni con cui l'inventore dell'attualismo aveva avvolto il suo pensiero. Aggiungerei malizioso: chissà se il 'bersaglio' Gentile non fosse una sorta di ricompensa finziana alla diatriba tra lo stesso Formìggini e l'autore del 'Manifesto degli intellettuali fascisti' che spesso e volentieri mise il bastone in mezzo alle ruote all'attività dell'editore modenese, allora a Roma.
Dice lo stesso Vita-Finzi dell'Antologia: Uno tuttavia dei miei tentativi letterari ebbe qualche successo: la serie delle parodie iniziate sull' "Italia che scrive" con un calco accentuato dello stile di Massimo Bontempelli. A un certo punto, raggiunta la trentina, fu possibile riunire quei pezzi in due volumetti all'insegna di una frase di Carducci "Parodia è riconoscimento della poesia". Vi esprimevo la speranza di poter fornire "un breve compendio critico e satirico, un minuscolo panóptikon lievemente caricaturale della cultura italiana d'oggi.
Si diceva prima che la 'cultura dell'oggi di allora' ci impedisce ai giorni nostri una disamina più attenta dei personaggi presi a bersaglio. Se 'riconosciamo' Marino Moretti, Alfredo Panzini, Ugo Ojetti, Ardengo Soffici, più difficile, a meno di una ricerca storico-letteraria più approfondita, ricordare nomi come Antonio Baldini (un forbito scrittore del tempo che scrisse tra l'altro, una guida di Roma in 6 volumi), Eugenio Giovannetti (giornalista che pubblico un Satyricon, antologia di pezzi satirici su teatro e costume) o Marco Praga (commediografo che era ossessionato dagli aspetti 'adulteri' dei rapporti sentimentali).
Ma riusciamo perfettamente a 'navigare' nel falso quando Vita-Finzi fa la parodia di D'Annunzio (s'inventa che il Vate abbia saputo dell'esistenza di un'Antologia novissima della fallace modernità e per questo concede un suo tributo sfuggito al mio poema paradisiaco liber beatitudinis): E bagnerà quel bianco latte il seno/anima, e scenderà lunghesso i fianchi/come s'infiltra tacito un veleno;/ e scenderà quel latte ai tuoi ginocchi – così tondi i ginocchi, e così bianchi! – al suono lene dei miei versi stanchi,/anima: e che il tuo cor non ne trabocchi!/ E scenderà quel latte ai tuoi ginocchi.
Esilarante è l'incipit alla parodia di Pirandello che riprende la base di Uno nessuno e centomila: Un brufolino... Che cos'è, in fondo, un brufolino? Un'escrescenza minuscola: un puntino rosso con un puntino bianco in cima. Cosa, davvero, da non preoccuparsene più di tanto.
Né, in circostanze normali, il prof. Saro Lapàpera si sarebbe preoccupato minimamente di quel bitorzolino sul naso della sua fidanzata Tuzza.
Altrettanto gustoso è l'attacco alla parodia di Gentile, citato dallo Spadolini nell'introduzione a Giorni lontani: Quando l'Io dice: Io sono non-Io, o semplicemente Io sono, il suo essere è realizzazione di sé. Egli non è preoccupato del pensiero in cui si specchia sdoppiandosi e ripiegandosi sopra di sé: ma nel pensiero è il processo appunto della sua realtà: perché l'Io è Io, quello che è, in tutta la sua realtà in quanto è coscienza di sé...
Di un vezzo spassosissimo l'imitazione della Annie Vivanti (tra l'altro anch'essa vittima della politica fascista, in quanto 'segnalata' dal regime dopo la svolta anglofoba agli inizi del '40) che ricorda certe pagine 'graziose' della Invernizio: La bionda testina d'arcangioletto reclinata sulla tenera spalla, aerea nella sua vesticciuola azzurra, glauco-occhiuta e dolce-ridente, Vivien suonava, circonfusa d'un nimbo rutilante dal grande sole del West...
Fa pari quasi con la parodia del Pascoli (non contenuta nella presente edizione, ma nelle successive aggiunte e tanto amata da Guido Almansi che la riportava nel suo volume Quasi falso) che 'riproducendo' Le ciaramelle del poeta romagnolo (Udii tra il sonno le ciaramelle,/ho udito un suono di ninne nanne./Ci sono in cielo tutte le stelle,/ci sono i lumi nelle capanne/ Sono venute dai monti oscuri/le ciaramelle senza dir niente;/hanno destata ne' suoi tuguri/tutta la buona povera gente.) così argutamente celiava: Oggi ho impastato le caramelle,/le caramelle d'erba trastulla:/gocce di miele, raggi di stelle,/lievi che sembran fatte di nulla./Colto ho le bacche sulla pendice/presso la Torre, sul rivo a specchio,/tratto ho la scorza dalla myricae/nei praticelli di Castelvecchio.
I primi del Novecento furono per la nostra letteratura un fermento continuo: pensiamo al movimento futurista, ma anche alla spallata che Bontempelli, con La via intensa, da alla struttura-romanzo (tra l'altro, e mettiamoci un forse, ereditata dalla verve di Vittorio Imbriani, sorta di letterato-terremoto del nostro fine ottocento, che se la prendeva un po' con tutti i generi).
Paolo Vita-Finzi non ha mai creduto alla possibilità che i suoi 'divertissements' potessero assumere significati diversi da quelli che lui stesso aveva pensato. Anzi, era piuttosto critico con quegli autori che, riprendendo un'osservazione di Erich Hoffer ('riverniciata' inseguito da Somerset Maugham) hanno il privilegio di essere scandalosamente stupidi senza danneggiare la loro reputazione.
In realtà l'arte del più grande parodista della nostra letteratura è una cristallina forma di poesia (meglio ancora del 'riconoscimento' carducciano) e di letteratura.
Pensate un po': dopo ottantatre anni dall'uscita di Antologia Apocrifa, si ride ancora. Di gusto. Come davanti ad un film di Totò. Vorrà pur dire qualcosa.
L'edizione da noi considerata è
Paolo Vita-Finzi
Antologia Apocrifa
A.F.Formìggini editore in Roma - 1927
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