CLASSICI
Alfredo Ronci
Le ossessioni di una generazione: 'Il parafossile' di Giorgio Celli,
Spesso mi chiedo cosa voglia dire 'classico' nella letteratura. Mica facile rispondere, al di là della riduzione semplicistica della questione. Sì certo: bellezza stilistica, anticipazione, rappresentazione della realtà vissuta, capacità di attrazione, lucidità e il suo contrario (dannazione), onestà intellettuale. Ma può un classico essere tale anche nella mal riuscita intenzionalità? Cioè può esserlo anche se è parto settimino, incompleto e pure inautentico?
Lo crediamo solo nel caso in cui possa offrire un tentativo nuovo di esporsi da parte dell'autore.
Mi occorre la premessa perché Il parafossile di Giorgio Celli, ahimé scomparso recentemente e figura ormai cara agli italiani più attenti, è appunto un libro mal riuscito ma profondamente 'diverso' e soprattutto classico per una rappresentazione dolorosa e icastica dei tempi.
Pubblicato agli inizi del 1967 cade in una fase delicatissima dal punto di vista culturale: in letteratura già si è cercato di 'rifondare' il romanzo (Gruppo '63, ma in un'intervista a 'La Stampa' del 1994 Celli dichiarava: Facevo parte del Gruppo '63 che ora celebra il suo necrologio) e la società sta per entrare nel tunnel di eventi imprevedibili.
Non è per niente facile parlarne perché il libro offre una serie di spunti ma, paradossalmente, questi stessi ne limitano l'importanza, quasi l'invalidano.
Formato da quindici capitoli Il parafossile affronta questioni allora brucianti, ma che nel corso del tempo hanno perso capacità di attrazione (come si diceva prima, elemento cardine della classicità di un testo): dall'ossessione stilistica, alla tragedia dell'uomo contemporaneo (Celli disse successivamente del suo libro: dell'uomo che crede di essere moderno invece è antico, schiavo delle tendenze primordiali), dalla psicanalisi all'incubo atomico.
L'ossessione stilistica era quasi un tormento dei letterati del tempo, persino autori avversi allo sperimentalismo tentano la carta inusuale della provocazione linguistica e in aggiunta contenutistica (il Calvino di Ti con zero, il Parise del Padrone, lo Zavattini del Non libro), per non parlare di quelli che invece sembrano trovarsi a loro agio nel magma incandescente dell'avanguardia (Marmori, che abbiamo già tratto, D'Agata e Villa, di cui parleremo). Celli aggiunge a tutto ciò le sue conoscenze personali (allora ricercatore biologico, successivamente cattedratico di Tecnica di lotta biologica), e di conseguenza la lingua diventa un coacervo di lemmi e visioni: Colonne vertebrali di filo spinato; mani di leghe metalliche (al cromo? Al manganese?), crani di duro alluminio, unghie di precipitati colloidali sintetici. Legami omopolari, eteropolari. Valenze. La pioggia macula ogni cosa a poco a poco, di ruggine.
Si parlò di linguaggio schizomorfo.
Dunque tenzone voluta? Volontà di disintegrare il reale, di destrutturare pure il romanzo, contestazione del presente o che? In Celli vi erano, come già detto, elementi aggiuntivi e non di poco conto, come per esempio quello della psicanalisi: cos'è la figura onirica del fratello, che compare sistematicamente nel corso dei capitoli, se non una sorta di 'doppelganger', doppio di sé e che peraltro viene pure ucciso? (L'aggressività nutrita nell'infanzia in qualche cortiletto pieno di sole, verso il suo fratello maggiore ha ingenerato nel paziente, signori della giuria, attraverso il metabolismo psicopatologico, si è tradotta, nel nostro paziente, signor giudice, in una interpretazione della storia dove l'omicidio è la sola vena inalienabile categoria politico-biologica).
Si aggiunga la tragedia dell'uomo contemporaneo (moderno nelle intenzioni, vecchio nella sostanza) divorato dall'ansia e dal terrore delle violenze (nel primo capitolo, intitolato 'le mani della storia' il narratore è alternativamente, nelle agghiaccianti visioni, vittima e carnefice).
Tornando a noi: si diceva della malriuscita 'classicità' de Il parafossile: semplicisticamente troppa carne al fuoco ed una ricerca 's-finita' dello sperimentalismo, che vediamo perfettamente coerente negli anni dell'edizione primiera, ma loffa e non pertinente oggidì.
Resta però, e come negarla, la sensazione di un disfacimento dei tempi, anzi, di una pericolosità dei tempi (visioni, sangue, violenza, orrore per la guerra... per chi volesse togliersi uno sfizio, leggere qualche romanzo della prima fase, quella più lisergica, dello scrittore di fantascienza francese Serge Brussolo... curiose convergenze) che in alcuni casi diventa quasi preveggenza.
L'edizione da noi considerata è:
Giorgio Celli
Il parafossile
Feltrinelli – Le comete - 1967
Lo crediamo solo nel caso in cui possa offrire un tentativo nuovo di esporsi da parte dell'autore.
Mi occorre la premessa perché Il parafossile di Giorgio Celli, ahimé scomparso recentemente e figura ormai cara agli italiani più attenti, è appunto un libro mal riuscito ma profondamente 'diverso' e soprattutto classico per una rappresentazione dolorosa e icastica dei tempi.
Pubblicato agli inizi del 1967 cade in una fase delicatissima dal punto di vista culturale: in letteratura già si è cercato di 'rifondare' il romanzo (Gruppo '63, ma in un'intervista a 'La Stampa' del 1994 Celli dichiarava: Facevo parte del Gruppo '63 che ora celebra il suo necrologio) e la società sta per entrare nel tunnel di eventi imprevedibili.
Non è per niente facile parlarne perché il libro offre una serie di spunti ma, paradossalmente, questi stessi ne limitano l'importanza, quasi l'invalidano.
Formato da quindici capitoli Il parafossile affronta questioni allora brucianti, ma che nel corso del tempo hanno perso capacità di attrazione (come si diceva prima, elemento cardine della classicità di un testo): dall'ossessione stilistica, alla tragedia dell'uomo contemporaneo (Celli disse successivamente del suo libro: dell'uomo che crede di essere moderno invece è antico, schiavo delle tendenze primordiali), dalla psicanalisi all'incubo atomico.
L'ossessione stilistica era quasi un tormento dei letterati del tempo, persino autori avversi allo sperimentalismo tentano la carta inusuale della provocazione linguistica e in aggiunta contenutistica (il Calvino di Ti con zero, il Parise del Padrone, lo Zavattini del Non libro), per non parlare di quelli che invece sembrano trovarsi a loro agio nel magma incandescente dell'avanguardia (Marmori, che abbiamo già tratto, D'Agata e Villa, di cui parleremo). Celli aggiunge a tutto ciò le sue conoscenze personali (allora ricercatore biologico, successivamente cattedratico di Tecnica di lotta biologica), e di conseguenza la lingua diventa un coacervo di lemmi e visioni: Colonne vertebrali di filo spinato; mani di leghe metalliche (al cromo? Al manganese?), crani di duro alluminio, unghie di precipitati colloidali sintetici. Legami omopolari, eteropolari. Valenze. La pioggia macula ogni cosa a poco a poco, di ruggine.
Si parlò di linguaggio schizomorfo.
Dunque tenzone voluta? Volontà di disintegrare il reale, di destrutturare pure il romanzo, contestazione del presente o che? In Celli vi erano, come già detto, elementi aggiuntivi e non di poco conto, come per esempio quello della psicanalisi: cos'è la figura onirica del fratello, che compare sistematicamente nel corso dei capitoli, se non una sorta di 'doppelganger', doppio di sé e che peraltro viene pure ucciso? (L'aggressività nutrita nell'infanzia in qualche cortiletto pieno di sole, verso il suo fratello maggiore ha ingenerato nel paziente, signori della giuria, attraverso il metabolismo psicopatologico, si è tradotta, nel nostro paziente, signor giudice, in una interpretazione della storia dove l'omicidio è la sola vena inalienabile categoria politico-biologica).
Si aggiunga la tragedia dell'uomo contemporaneo (moderno nelle intenzioni, vecchio nella sostanza) divorato dall'ansia e dal terrore delle violenze (nel primo capitolo, intitolato 'le mani della storia' il narratore è alternativamente, nelle agghiaccianti visioni, vittima e carnefice).
Tornando a noi: si diceva della malriuscita 'classicità' de Il parafossile: semplicisticamente troppa carne al fuoco ed una ricerca 's-finita' dello sperimentalismo, che vediamo perfettamente coerente negli anni dell'edizione primiera, ma loffa e non pertinente oggidì.
Resta però, e come negarla, la sensazione di un disfacimento dei tempi, anzi, di una pericolosità dei tempi (visioni, sangue, violenza, orrore per la guerra... per chi volesse togliersi uno sfizio, leggere qualche romanzo della prima fase, quella più lisergica, dello scrittore di fantascienza francese Serge Brussolo... curiose convergenze) che in alcuni casi diventa quasi preveggenza.
L'edizione da noi considerata è:
Giorgio Celli
Il parafossile
Feltrinelli – Le comete - 1967
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