DE FALSU CREDITU
Sara Tella
Le pigne in testa
Edizioni Tratto, Pag. 194 Euro 14,80
Ai tempi di Nesi e Veronesi si diceva, scherzando, che la letteratura italiana era diventata come la settimana enigmistica. Che dire ora che il nostro parco-scrittrici sembra una cantilena vispateresoide? Acquisita ormai la Pulsatilla, approdata dopo l'exploit castelvecchiano, a Bompiani, e archiviato il caso di Giusy Carmilla che pare abbia venduto centocinquantamila copie del suo libello Non è ver che sia la mafia, sorta di paraculismo politico-sociologico dietro la scia del fenomeno Saviano, ora ci tocca prendere in esame questa giovanissima salernitana assurta ai fasti mediatici dopo il tentativo, per fortuna non andato in porto, di accoppare la madre che, 'imboccata' da un editor senza scrupoli (pensiamo noi!) ha dato alla stampa un agile volumetto che riteniamo non tutto farina del suo sacco.
Le pigne in testa è la storia di una sedicenne affetta da Morbo di Huntington giovanile (per carità, tutto è lecito, soprattutto in letteratura, ma titolare un romanzo nel modo in cui è stato fatto, quando la malattia genetica di cui si parla è piuttosto invalidante e terribile, mi sembra davvero il segno dei tempi, e che tempi!) che a dispetto dei grossi problemi e degli handicaps (plurale), soprattutto movimenti involontari, dovuti alla degenerazione della malattia, incorre in una serie di disavventure, anche sentimentali, tale da apparire però viva e significante.
Il vissuto dunque diventa cartina di tornasole di un'analisi fattiva del mondo e degli affetti. Ma sappiamo anche che il vissuto rientra, a sua volta, nell'indagine critica, tale da restituire, attualizzata alla lettura del critico, il prodotto di un'elaborazione personale.
Si sospetta però che la Tella si faccia gioco di tutto, mistificando malattia e il suo contrario (suggestiva, nonché improbabile, la figura di Mariolina Socci, detta 'sorcia' e dio solo sa perché, che con la sua fisicità prorompente ed ambigua, si contrappone all'immobilismo, chiamiamolo così, fisico dell'amica malata) e azzardando 'invasioni di campo' che, come si diceva poc'anzi, inducono il lettore, e in questo caso il critico, a ritenere la materia (e gli azzardi!) al di fuori delle possibilità culturali della scrittrice salernitana.
Pensiamo ai dotti riferimenti a Kant (una sedicenne che sproloquia di filosofia teoretica! Ma dai è difficile mandarla giù!) o all'ermeneutica heideggeriana, per non parlare dell'avanguardia dadaista che la protagonista avverte nella musica di John Cage (ma nemmeno Riccardo Bertoncelli saprebbe pontificare con siffatta lucidità!). Eppure il prodotto ha funzionato, perché ha 'allegramente' ed astutamente mischiato gli idiomi di un linguaggio giovanilistico ridotto all'osso con un intellettualismo da vetrina ad effetto bomba (non funzionò così anche con Franco Battiato e il suo miliardario disco La voce del padrone?).
Rimangono dubbi e perplessità: o siamo noi ad andar dietro al solito carro di Tespi quando la letteratura contemporanea è saltata a piè pari nella carrozza dell'alta velocità Torino-Lione?
Lecito chiederselo.
Le pigne in testa è la storia di una sedicenne affetta da Morbo di Huntington giovanile (per carità, tutto è lecito, soprattutto in letteratura, ma titolare un romanzo nel modo in cui è stato fatto, quando la malattia genetica di cui si parla è piuttosto invalidante e terribile, mi sembra davvero il segno dei tempi, e che tempi!) che a dispetto dei grossi problemi e degli handicaps (plurale), soprattutto movimenti involontari, dovuti alla degenerazione della malattia, incorre in una serie di disavventure, anche sentimentali, tale da apparire però viva e significante.
Il vissuto dunque diventa cartina di tornasole di un'analisi fattiva del mondo e degli affetti. Ma sappiamo anche che il vissuto rientra, a sua volta, nell'indagine critica, tale da restituire, attualizzata alla lettura del critico, il prodotto di un'elaborazione personale.
Si sospetta però che la Tella si faccia gioco di tutto, mistificando malattia e il suo contrario (suggestiva, nonché improbabile, la figura di Mariolina Socci, detta 'sorcia' e dio solo sa perché, che con la sua fisicità prorompente ed ambigua, si contrappone all'immobilismo, chiamiamolo così, fisico dell'amica malata) e azzardando 'invasioni di campo' che, come si diceva poc'anzi, inducono il lettore, e in questo caso il critico, a ritenere la materia (e gli azzardi!) al di fuori delle possibilità culturali della scrittrice salernitana.
Pensiamo ai dotti riferimenti a Kant (una sedicenne che sproloquia di filosofia teoretica! Ma dai è difficile mandarla giù!) o all'ermeneutica heideggeriana, per non parlare dell'avanguardia dadaista che la protagonista avverte nella musica di John Cage (ma nemmeno Riccardo Bertoncelli saprebbe pontificare con siffatta lucidità!). Eppure il prodotto ha funzionato, perché ha 'allegramente' ed astutamente mischiato gli idiomi di un linguaggio giovanilistico ridotto all'osso con un intellettualismo da vetrina ad effetto bomba (non funzionò così anche con Franco Battiato e il suo miliardario disco La voce del padrone?).
Rimangono dubbi e perplessità: o siamo noi ad andar dietro al solito carro di Tespi quando la letteratura contemporanea è saltata a piè pari nella carrozza dell'alta velocità Torino-Lione?
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