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Il Paradiso degli Orchi
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CINEMA E MUSICA

Alfredo Ronci

Luci e soprattutto ombre nella disperazione di Brendan Perry: dopo nove anni arriva 'Ark'.

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Eh sì, abbiamo dovuto aspettare ben nove anni per avere il seguito di Eye of the hunter, lo splendido lavoro solista dell'ex cantante dei Dead can dance. Lavoro che a qualcuno aveva fatto gridare al miracolo per quella sorta di 'intuizione' buckleyana che si credeva definitivamente perduta (l'anno prima, esattamente nel 2000, Brendan Perry aveva già mostrato la sua venerazione per lo sfortunato artista, partecipando al disco Tribute to Tim Buckley e convincendo col rifacimento di un classico: Dream letter).

Dice lo stesso Perry di questo Ark: è stato un grosso sforzo indipendente da parte mia, ho scritto, composto, registrato e prodotto tutte le parti del disco. Un modo di lavorare molto simile a quello di un artigiano che supervisiona il tutto dall'inizio alla fine.

Non ci convince invece quando afferma che il progetto, pur mostrando un pessimismo di fondo, alla fine mostra la classica lucina in fondo al tunnel.

In questi solchi, in alcuni momenti, c'è una profonda disperazione, quasi un distacco dalle vicissitudini del mondo anche se il faro che illumina la copertina, sembrerebbe indicare una via di salvezza.

L'inizio 'Babylon', con quel suo incedere epico che farebbe la felicità di John Milius in un film alla Conan, già mostra in fieri i contenuti dell'opera, soprattutto il tema fondamentale dell'inutilità della guerra, il costo di vite umane, e la ricchezza di chi vi specula: Figlie e figli d'America, si decidono le vostre vite per i signori della guerra d'America, non certo per il vostro bene, o il mio.

Concetto che torna paro paro anche nel secondo brano, lo splendido 'The Bogus man' (percussioni arabeggianti che crescono piano piano. A quando un duo con Natacha Atlas?): Per i tanti figli delle madri che combattono le vostre guerre altrettanti uomini ricchi che possono raccogliere i frutti.

Ma sono i temi esistenziali, ancor più che quelli politici, a segnare il passo di Ark, come in 'Wintersun': Molti giorni sono arrivati e passati, dal giorno in cui sono nato e l'autunno della vita è finalmente arrivato con la promessa di spine d'inverno.

E il drammatico tappeto sonoro di 'Inferno' in qualche modo completa la sensazione di isolamento dell'autore: Guardo la Tv, è il mio mondo, cattura la mia mente tra queste mura, più vedo e meno mi preoccupo delle persone che sono fuori.

Come si diceva, il faro in copertina sembra indicare una via di salvezza, ma le parole di 'The devil and the deep blue sea' sembrano suggerire qualcos'altro: Che cosa pensi di fare quando arriva la pioggia, hai intenzione di navigare su acque agitate come Noè?. Come pensi di nutrire i tuoi piccoli orfani quando ormai non ci sono più pesci nel mare?

Il lume della speranza (e probabilmente della ragione) lo si coglie nell'ultimo brano 'Crescent', ma più che una parvenza di aspettativa, ci sembra un sentito legame alle proprie origini 'umane': E mi accorgo che la vita è importante per me, soprattutto per come amo il selvaggio sogno terrestre.

Ark non è certamente un disco estivo, semmai una definizione del genere abbia senso, ma il risultato di un grosso lavoro analitico del musicista. L'apparente uniformità dei brani, un tappeto sonoro a volte ritmico, a volte ancestrale, su un lavoro costante di tastiere, lo rende a tratti monotono. Ma la voce di Brendan Perry è davvero suggestiva (azzardato ci sembra come qualcuno ha fatto, anche se capiamo le intenzioni, il paragone col cantante dei Blue Nile, ancor di più vedere una propensione 'sinatriana' all'emissione) e regala emozioni forti.

Chissà se fra nove anni ascolteremo il terzo capitolo della 'saga'?



Brendan Perry

Ark

101 distribution - 2010



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