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Il Paradiso degli Orchi
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CINEMA E MUSICA

Alfredo Ronci

Ma che ti vuoi orchestrare? L'esperimento parzialmente noioso di Peter Gabriel.

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Si è detto di tutto: e vuoi che a qualcuno interessi quel che ha da dire il Paradiso? Ma noi ci proviamo. Su Scratch my back l'ultima 'fatica' di Peter Gabriel e disco di cover si è discusso pure a sproposito. Qualche nostalgico dei Genesis si è industriato a crear l'alibi della fatica. Altri, forse morsi dal morbo berlusconiano del 'lassateme lavora'' ha ipotizzato che le pressioni a cui sono sottoposti certi artisti non fanno bene a nessuno (che? Pressioni? Ma se son dieci anni che l'uomo non fa un disco!). Qualche misericordioso, riconoscendo illimitati meriti all'artista, ha ritenuto che l'operina sia un peccato di presunzione.

Insomma, per noi il problema è altro: è giusto o no che il pop-rock tenti la strada delle sovrastrutture (o sotto strutture dal momento che il disco in questione è a volte sottotono)? Perché Scratch my back ci ricorda certe tentazioni stinghiane, e si sa che quando l'ex Police parte per la tangente con le sue pulsioni intellettualoidi non lo ferma nessuno, o la stanca operazione di qualche anno fa di Joni Mitchell che ripropose i suoi classici con la pompa magna della magniloquenza orchestrale (Travelogue... a 'sto punto, molto meglio i Fleurs di Battiato che almeno avevano il pregio di non spostare di molto il discorso musicale dell'autore).

Qua i giochi cominciano male: Heroes di David Bowie è devitalizzato, quel che era un rokkeggiare leggermente isterico, diventa una nenia pallosa che non si salva nemmeno col suo 'crescendo rossiniano'. Forse è l'impatto, perché il Paul Simon di The boy in the Bubble e soprattutto Flume di Bon Iver, col loro incedere pianistico hanno un loro perché. Di punto in bianco poi t'arriva pure il capolavoro: la riedizione di Listening Wind dei Talkin Heads, completamente stravolta, è superba quanto l'originale. Ma sono davvero bagliori improvvisi nella tempesta più oscura (cattiverie, perché anche The power of the heart di loureediana memoria brilla di sapienza minimale), perché il resto sfugge a qualsiasi catalogazione pop e la musica è stretta e soffocata da questa incombenza orchestrale che disarma e infastidisce non poco. Pure il Randy Newman di I thinks i'ts going to rain today lui che con l'orchestra ci mangia il pane quotidiano, e ormai è diventato autore hollywoodiano di colonne sonore, stenta a decollare e a scrollarsi di dosso una noia mortale.

In fondo non potevano mancare i Radiohead (chi è ormai che non li canta? Pure al Grande Fratello mettevano la loro musica di sottofondo per svegliare i 'ragazzi'): ma qui la loro Street Spirit diventa un refolo di vento alla Satie.

Insomma un Peter Gabriel che in parte delude (dico in parte perché sfido di questi tempi a proporre, in un disco solo, due capolavori: perché i Talking heads e appunto i Radiohead dell'ex Genesis sono semplicemente superbi). Sì in parte delude, ma gli aficionados nella voce ormai familiare e nel canto irregolare troveranno di che deliziarsi.

Noi un po' meno, ma possiamo anche accontentarci.





Peter Gabriel

Scratch my back

Virgin, 2010





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