CINEMA E MUSICA
Alfredo Ronci
Natacha Atlas, la nuova Oum Kalthoum? 'Mounqaliba' l'opera ultima.
Qualcuno potrebbe dire che bestemmiamo e gli arabi più conservatori potrebbero giurare che nulla può essere avvicinato a Oum Kalthoum, la più grande cantante egiziana del secolo scorso. Ma tra le due, a parte il momento storico, intercorre una linea comune: innanzi tutto l'amore per le altre culture (la Atlas è nata a Bruxelles, quindi belga, di lingua francofona, la Kalthoum, grazie all'interessamento del poeta Ahmed Rami, studiò per anni la letteratura francese) e soprattutto una tensione vocale che nella Atlas assume anno dopo anno una misura più congeniale al cantato arabo, cantato che nella Kalthoum era insito nella sua propensione naturale alla drammaturgia.
Mondi diversi indubbiamente, ma questo ultimo disco della cantante belga tenta un riavvicinamento che crediamo riuscito, pur non rinunciando l'artista ad un inevitabile confronto col pop occidentale.
Di più, la Atlas ci sorprende col ripescaggio di un classico di Nike Drake, quella River man, che aveva illuminato il suo Five leaves left e che mantiene tutta la sua bellezza e profondità come canto di profonda solitudine ('Voglio vedere l'uomo del fiume, voglio dirgli tutto quello che posso, sull'impossibilità di sentirsi liberi').
E' un momento di grande suggestione: il brano è immediatamente riconoscibile, nonstante sia suonato dalla tipica strumentazione araba (la Atlas nel disco si fa accompagnare da un ensemble di venti musicisti turchi più un orchestra da camera intenta a integrare lo stile occidentale con quello mediorientale) e forse crediamo aggiunga ancora qualcosa di più al triste canto del cantautore inglese.
La Atlas non è nuova a queste contaminazioni (e crediamo che sia il suo unico intento): in Ayeshteni del 2001 oltre ad una bella versione di I put a spell on you di Screamin Jay Hawkins regalò all'immortale Ne me quitte pas una dimensione tutta speciale, uno di quei brani che non smetteresti mai di ascoltare.
In Something dangerous (l'album forse meno convincente proprio perché l'Atlas aveva offerto della sua idea della contaminazione un'eterogeneità troppo vistosa) aveva preziosamente duettato con Sinead O' Connor (Simple heart).
Mounqaliba ha decisamente un incedere diverso, forse, e non vogliamo esagerare, un'idea del tempo diverso: inizia strumentale e ancora strumentalmente per un po' accompagna l'esordio vocale, ma tutto è misurato e piano. I diciotto pezzi che compongono l'album hanno una struttura quasi simile (il miracolo della versione di River man è proprio quello di amalgamarsi perfettamente all'intera materia) e ci accompagnano in un viaggio suggestivo verso terre ed abitudini diversi.
Il contatto continuo e crediamo necessario della Atlas con la cultura occidentale, di cui lei è figlia, nulla toglie alla ricerca delle sue radici: proprio per questo s'intuiva quel contatto con l'inarrivabile Oum Kalthoum. In una dimensione spazio temporale diversa, il canto dell'una e la drammaturgia dell'altra finalmente trovano un sentiero comune.
Mounqaliba è ascolto, senza presunzione, per palati attenti.
Natacha Atlas
Mounqaliba
Six Degrees - 2010
Mondi diversi indubbiamente, ma questo ultimo disco della cantante belga tenta un riavvicinamento che crediamo riuscito, pur non rinunciando l'artista ad un inevitabile confronto col pop occidentale.
Di più, la Atlas ci sorprende col ripescaggio di un classico di Nike Drake, quella River man, che aveva illuminato il suo Five leaves left e che mantiene tutta la sua bellezza e profondità come canto di profonda solitudine ('Voglio vedere l'uomo del fiume, voglio dirgli tutto quello che posso, sull'impossibilità di sentirsi liberi').
E' un momento di grande suggestione: il brano è immediatamente riconoscibile, nonstante sia suonato dalla tipica strumentazione araba (la Atlas nel disco si fa accompagnare da un ensemble di venti musicisti turchi più un orchestra da camera intenta a integrare lo stile occidentale con quello mediorientale) e forse crediamo aggiunga ancora qualcosa di più al triste canto del cantautore inglese.
La Atlas non è nuova a queste contaminazioni (e crediamo che sia il suo unico intento): in Ayeshteni del 2001 oltre ad una bella versione di I put a spell on you di Screamin Jay Hawkins regalò all'immortale Ne me quitte pas una dimensione tutta speciale, uno di quei brani che non smetteresti mai di ascoltare.
In Something dangerous (l'album forse meno convincente proprio perché l'Atlas aveva offerto della sua idea della contaminazione un'eterogeneità troppo vistosa) aveva preziosamente duettato con Sinead O' Connor (Simple heart).
Mounqaliba ha decisamente un incedere diverso, forse, e non vogliamo esagerare, un'idea del tempo diverso: inizia strumentale e ancora strumentalmente per un po' accompagna l'esordio vocale, ma tutto è misurato e piano. I diciotto pezzi che compongono l'album hanno una struttura quasi simile (il miracolo della versione di River man è proprio quello di amalgamarsi perfettamente all'intera materia) e ci accompagnano in un viaggio suggestivo verso terre ed abitudini diversi.
Il contatto continuo e crediamo necessario della Atlas con la cultura occidentale, di cui lei è figlia, nulla toglie alla ricerca delle sue radici: proprio per questo s'intuiva quel contatto con l'inarrivabile Oum Kalthoum. In una dimensione spazio temporale diversa, il canto dell'una e la drammaturgia dell'altra finalmente trovano un sentiero comune.
Mounqaliba è ascolto, senza presunzione, per palati attenti.
Natacha Atlas
Mounqaliba
Six Degrees - 2010
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