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CINEMA E MUSICA

Alfredo Ronci

'Nella terra dei pinguini' il disco più pattipravesco della 'divina'.

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A Sanremo ha fatto pena (come pena fece nel 2009 con 'E io verrò un giorno là). Ci si chiede: come può un'artista con quasi quarant'anni di carriera alle spalle cantare a quel modo? Passi l'abbassamento di voce, ma l'intonazione? Nella seconda serata ha sbagliato completamente l'entrata della strofa successiva al ritornello: quasi agghiacciante. Considerando che da giovane ha studiato conservatorio, le cose son due: o era fatta o ha dimenticato le nozioni più spicce di musica e canto. Propendo per la seconda ipotesi perché la prima appartiene al 'mito' della cantante che, diciamocela tutta, è meno alternativa o 'sovversiva' di quanto si possa credere.

Mettendo da parte la figuraccia sanremese parliamo del disco. Preceduto dal singolo, trasmesso già da tempo dalle radio nazionali, 'Unisono', scritto dal cantante dei Negroamaro (dice di lui la Pravo nelle note di copertina: ringrazio questo disco per avermi fatto incontrare Giuliano Sangiorgi e la sua anima che si è subito stretta alla mia), il lavoro è perfettamente riuscito.

Certo, in sala di registrazione tutti i miracoli sono possibili, compresi quelli di dare un'accordatura allo strumento, ma la sostanza del mio assunto è di tutt'altra natura: tralascia cioè l'aspetto più carente della 'divina' (assai poco divina, anche se in alcuni brani la voce riesce in qualche slancio, lontano però dall'impostazione da contralto di anni fa) per soffermarsi sulla capacità interpretativa dell'artista che è cosa diversa dalla semplice emissione.

Il disco, come inteso nel titolo, è assai pattipravesco: intendendosi con ciò un'impostazione classica della cantante che ha fatto la sua fortuna. In passato le ha provate di tutte (persino un brutto omaggio a Dalida, Spero che ti piaccia... pour toi, espresso in un francese da far rizzare i peli anche ad uno sphinx, gatto notoriamente senza pelo): qui siamo in un setting ideale per l'artista. Lo stesso titolo sanremese è perfetto nella scansione 'sentimentale (Nella terra dei pinguini si chiude con la riproposizione de 'Il vento e le rose' ma nella versione con Morgan che non abbiamo potuto ascoltare a Sanremo per i motivi che si sanno). Il già citato 'Unisono' o 'Cielo' secondo brano scritto sempre da Sangiorgi sono costruiti ad hoc per il registro teatrale, sofisticastamente pop, della Pravo che apre perfettamente anche con 'La vita è qui'.

Era almeno un decennio che la cantante non si esprimeva a certi livelli. L'ultimo disco riuscito era stato Notti, guai e libertà (1998) ma con l'amichevole apporto di un gruppo sostanzioso di talentosi scrittori indigeni (Battiato, Fossati, Ruggeri...), mentre aveva raggiunto il punto più basso con Nic-Unic.

Nella terra dei pinguini è pattipravesco soprattutto per noi (nonostante tutto) fans: per quell'aura di irriducibile elan che la cantante si porta dietro fin dai tempi del suo esordio. E' pattipravesco nella rilettura di un modo di porgersi unico nei confronti dell'ascoltatore. E' pattipravesco perché il canto, al di là del declino, è la summa di una drammaticità esemplare.

Chi segue la Patty da decenni rimarrà contento: rimane lo sgomento per l'incapacità assoluta della stessa, una volta sul palco, di ricordarsi di ciò che è stata. Quasi un insulto.

Ma cose si dice? Del senno di poi son piene le fosse...





Patty Pravo

Nella terra dei pinguini

Carosello Records - 2011



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