CLASSICI
Alfredo Ronci
Novella di guerriglia e dell'orrore: 'Lupa in convento' di Giorgio Scerbanenco.
Scriveva Oreste del Buono nell'introduzione: Un giorno, non molti anni dopo la guerra, quando lavoravo alla Rizzoli di piazza Carlo Erba n.ro 6, la vera Rizzoli del vero Angelo Rizzoli, Giorgio Scerbanenco entrò nella mia stanza e depositò sulla scrivania un mucchietto di fogli in carta gialla.
"Guarda un poco che te ne pare. Non è il mio genere, non so dove pubblicarla, 'sta roba'...
Era veramente 'roba' fuori del comune e per tanti motivi.
Rintracciamoli.
Lo scrittore, che negli anni sessanta lanciò il ciclo di Duca Lamberti, era già conosciuto negli ambienti sin dagli anni quaranta, periodo nel quale sfornò la sua prima serie poliziesca, quella dedicata a Arthur Jelling, impiegato presso la Centrale di Polizia di Boston (ripubblicata per intero da Sellerio).
Lupa in convento è databile 1944: annus horribilis, sia dal punto di vista degli avvenimenti, sia dal punto di vista personale. Scerbanenco era fuggito in Svizzera dopo l'8 settebre del '43 e tornò in Italia dopo il 25 aprile del '45 come fuggiasco, perché le autorità svizzere non permettevano l'uscita dei profughi. Col rimpatrio lo scrittore lasciava dietro di sé non soltanto un periodo di 'distacco' ma anche una fase di disorientamento e fragilità (tutti gli italiani in quel periodo ne avevano una lucida percezione).
La breve novella che trattiamo sembra essere una sorta di rappresentazione dello smarrimento generazionale, perché se è vero, come suggerì sempre del Buono nell'introduzione, che era un racconto sulla guerriglia, è altrettanto vero che i protagonisti della storia non hanno un'identità ideologica (il sospetto, ma solo quello, è che siano gli 'altri italiani', quelli che fuggono dagli alleati).
Chi sono dunque questi militari (... Quello che li guidava era perfino sbarbato ma aveva l'aria allucinata di chi non dorme tranquillo da mesi. Le barbe degli altri erano indescrivibili) che all'improvviso prendono possesso del piccolo convento facendo man bassa dei viveri del magazzino e poi uccidono una suora che aveva tentato di avvertire telefonicamente le autorità? (Ma quali autorità?).
Il capitano, che ordina la provvisoria dislocazione dei suoi uomini in attesa di ripartire, è forse un militare confuso dopo l'armistizio del settembre del '43?
Potremmo semplicemente suggerire: sono persone devastate dalla guerra, vittime di avvenimenti soverchianti e spesso incomprensibili. Ancor più vittima, in questa 'scala gerarchica' dell'orrore e della penitenza, è proprio la protagonista del racconto, Lupa, che ferita gravemente, sarà oggetto di una violenza senza fine che ne decreterà la morte.
Lupa in convento è essenzialmente un racconto di morte. Muore il capitano, che sembra avere la forza, nonostante il lungo peregrinare, per controllare i suoi sottoposti, ma che invece collassa all'improvviso per la stanchezza e ci rimette la pelle. Muore la giovane suora, che tenta di telefonare e di raccontare l'improvvisa 'invasione', a causa di un'azione che ricorda e di molto le rappresaglie di stampo nazista. Muore Lupa, già provata da uno scoppio di una bomba e dalle schegge che le devastano il corpo, la cui fine però è diretta conseguenza dell'ennesima violenza subita ad opera degli stessi soldati che l'hanno ricoverata.
Lupa è l'emblema stessa della sofferenza, di chi patisce la guerra senza capirci poi troppo: se avesse potuto, nonostante le difficoltà, avrebbe continuato a fare il lavoro della prostituta che almeno le garantiva una sussistenza. Sorpresa, insieme a due colleghe che perderanno la vita, da un improvviso bombardamento, si ritrova ostaggio di una compagnia di soldati che alla fine non le risparmia nemmeno, in punto di morte, l'affronto ultimo del corpo.
E' vero, Lupa in convento è un racconto di guerriglia, in un periodo in cui la materia era 'ordinaria amministrazione' di scrittori di altra discendenza: Calvino e Fenoglio in primo luogo. Ma Scerbanenco opera per sottrazione, leva cioè alla storia l'aura del mito, della riconoscibilità. Si è già detto in precedenza che è incerta la matrice ideologica dei personaggi: ma va bene così. Quel che conta è il ritratto per nulla specioso di una condizione al limite dell'animalesco.
Per via diverse, ma con risultati assai simili, Nello Sàito col suo romanzo Maria e i soldati (uscito nel '47 e che noi abbiamo già trattato) fece altrettanto: difficile ritrovare nei due la guerra e la 'resistenza' così come l'abbiamo sempre letta e pensata.
L'edizione da noi considerata è:
Giorgio Scerbanenco
Lupa in convento
Edizioni La Vita Felice - 1995
"Guarda un poco che te ne pare. Non è il mio genere, non so dove pubblicarla, 'sta roba'...
Era veramente 'roba' fuori del comune e per tanti motivi.
Rintracciamoli.
Lo scrittore, che negli anni sessanta lanciò il ciclo di Duca Lamberti, era già conosciuto negli ambienti sin dagli anni quaranta, periodo nel quale sfornò la sua prima serie poliziesca, quella dedicata a Arthur Jelling, impiegato presso la Centrale di Polizia di Boston (ripubblicata per intero da Sellerio).
Lupa in convento è databile 1944: annus horribilis, sia dal punto di vista degli avvenimenti, sia dal punto di vista personale. Scerbanenco era fuggito in Svizzera dopo l'8 settebre del '43 e tornò in Italia dopo il 25 aprile del '45 come fuggiasco, perché le autorità svizzere non permettevano l'uscita dei profughi. Col rimpatrio lo scrittore lasciava dietro di sé non soltanto un periodo di 'distacco' ma anche una fase di disorientamento e fragilità (tutti gli italiani in quel periodo ne avevano una lucida percezione).
La breve novella che trattiamo sembra essere una sorta di rappresentazione dello smarrimento generazionale, perché se è vero, come suggerì sempre del Buono nell'introduzione, che era un racconto sulla guerriglia, è altrettanto vero che i protagonisti della storia non hanno un'identità ideologica (il sospetto, ma solo quello, è che siano gli 'altri italiani', quelli che fuggono dagli alleati).
Chi sono dunque questi militari (... Quello che li guidava era perfino sbarbato ma aveva l'aria allucinata di chi non dorme tranquillo da mesi. Le barbe degli altri erano indescrivibili) che all'improvviso prendono possesso del piccolo convento facendo man bassa dei viveri del magazzino e poi uccidono una suora che aveva tentato di avvertire telefonicamente le autorità? (Ma quali autorità?).
Il capitano, che ordina la provvisoria dislocazione dei suoi uomini in attesa di ripartire, è forse un militare confuso dopo l'armistizio del settembre del '43?
Potremmo semplicemente suggerire: sono persone devastate dalla guerra, vittime di avvenimenti soverchianti e spesso incomprensibili. Ancor più vittima, in questa 'scala gerarchica' dell'orrore e della penitenza, è proprio la protagonista del racconto, Lupa, che ferita gravemente, sarà oggetto di una violenza senza fine che ne decreterà la morte.
Lupa in convento è essenzialmente un racconto di morte. Muore il capitano, che sembra avere la forza, nonostante il lungo peregrinare, per controllare i suoi sottoposti, ma che invece collassa all'improvviso per la stanchezza e ci rimette la pelle. Muore la giovane suora, che tenta di telefonare e di raccontare l'improvvisa 'invasione', a causa di un'azione che ricorda e di molto le rappresaglie di stampo nazista. Muore Lupa, già provata da uno scoppio di una bomba e dalle schegge che le devastano il corpo, la cui fine però è diretta conseguenza dell'ennesima violenza subita ad opera degli stessi soldati che l'hanno ricoverata.
Lupa è l'emblema stessa della sofferenza, di chi patisce la guerra senza capirci poi troppo: se avesse potuto, nonostante le difficoltà, avrebbe continuato a fare il lavoro della prostituta che almeno le garantiva una sussistenza. Sorpresa, insieme a due colleghe che perderanno la vita, da un improvviso bombardamento, si ritrova ostaggio di una compagnia di soldati che alla fine non le risparmia nemmeno, in punto di morte, l'affronto ultimo del corpo.
E' vero, Lupa in convento è un racconto di guerriglia, in un periodo in cui la materia era 'ordinaria amministrazione' di scrittori di altra discendenza: Calvino e Fenoglio in primo luogo. Ma Scerbanenco opera per sottrazione, leva cioè alla storia l'aura del mito, della riconoscibilità. Si è già detto in precedenza che è incerta la matrice ideologica dei personaggi: ma va bene così. Quel che conta è il ritratto per nulla specioso di una condizione al limite dell'animalesco.
Per via diverse, ma con risultati assai simili, Nello Sàito col suo romanzo Maria e i soldati (uscito nel '47 e che noi abbiamo già trattato) fece altrettanto: difficile ritrovare nei due la guerra e la 'resistenza' così come l'abbiamo sempre letta e pensata.
L'edizione da noi considerata è:
Giorgio Scerbanenco
Lupa in convento
Edizioni La Vita Felice - 1995
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