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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Guido Zingari

Ontologia del rifiuto

Le Nubi, Pag. 135 Euro 14,00
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...attonito specchio di me...

Vittorio SERENI



Chi ricorda le riprese cinematografiche del festival di Woodstock, rammenterà i giovani tuffarsi nella mota che affliggeva l'intera spianata dopo un fortunale. Eppure, quei ragazzi erano stati educati alla pulizia, all'igiene, anzi, alla sterilizzazione: e nel mar di palta, spesso nudi e crudi, scivolavano, riuscendone patinati di fanghiglia marroncina, fecale. Schizzati e, c'è da presumere, felici.

E veniamo a noi. Perché Pasolini? Perché non solo ha posto dei problemi sui quali ancor oggi ci arrovelliamo. Ma soprattutto per il modo in cui li ha posti - attraverso una retorica che strappasse ai dominatori (p)arte del controllo sul linguaggio, ovvero una forma di potere. Questo non gli hanno perdonato gli epuloni, in ciò traggono speranza i lazzari.

Il lavoro di Zingari - docente di filosofia del linguaggio in Tor Vergata: uno del mestiere, dunque - scandaglia un preciso e necessario aspetto della riflessione pasolinista, e lo connette alle fonti della speculazione oltremontana - Heidegger, Foucault, Jankelevitch, Barthes - per depurarlo dalle scorie italiote e assieme confermarlo interprete d'una passione civile avvertita d' un lascito ben complesso, erede del pensiero antagonista che ibrida il ribaltamento sinistrorso con la continuità della tradizione, e si situa nel cuore della legge per instaurarvi la legge del cuore adolescente (come quegli eretici, per cui la chiesa di Roma doveva diventare chiesa di Amor).

Abbiamo dunque da Zingari il rifiuto in ogni sua declinata finezza d'analisi: essere ed essenza di ciò che viene definito rifiuto, e significato che tale concetto riveste nelle sue pratiche quotidiane; sua doppiezza di oggetto rifiutato e di pratica di rigetto; come antitesi alla normalità-mediocrità, dunque potenza del rifiutare-disubbidire; paradosso del rifiutato, che per essere sé deve appartenere al rifiuto, ovvero al non essere sé; rifiuto di sé come prodromo per accettare l'altro, per voler essere altro; chiasmo ragione della violenza, violenza della ragione; rifiuto come rifiuto di vedere - "la menzogna in questa storia è l'inizio, il fine e la fine"; recupero del "trash" come antidoto alla falsificazione e cioè demerdizzazione della cultura; infanzia, rifiuto e dismissione (deiezione).

E qui ripigliamo l'esordio: nientepopòdimenoche T.W. Adorno parlava di bambini affascinati dai rifiuti, dalla putrefazione, dalle parole sconce che ne sono l'equivalente linguistico. Attraverso Benjamin che legge Charles de Foucauld, il piccolo sudicione diviene un ribelle: "le mani lavate sono la metafora dell'atto di sottomissione dei sudditi meschini al potere". (p. 30) Ed ecco l'avvertimento dei giovani rockettari: (cfr. 111) rifiutiamo "una società falsamente pura, innocente, che coltiva al suo interno l'orrore". (p. 38) Che è l'opposizione sulla quale si chiude il testo del filosofo: "il rifiuto è il rifiuto di tutte queste mistificazioni e falsità inaccettabili e costruite ad arte, lasciando alla vita, alla gioia e alla verità, i loro resti e le loro ragioni", insidiate e svalutate da "una società impura (che)(...) ha bisogno (...) di instaurare ed imporre (...) il rifiuto del rifiuto e uno stato forte, totale, di controllo, di ordine e di purezza". (p. 122)

Entro questo cammino nel "mondo immondo", Pasolini ha un duplice ruolo: per il borghese rappresenta (come Wilde) "il corifeo della depravazione e una figura ributtante e pericolosa di intellettuale. (...) Egli si era macchiato e nutrito di rifiuti, fino a diventare egli stesso un esecrabile rifiuto". (p. 49) Per l'Autore, e credo per chiunque sappia riconoscere il valore, è un Poeta che sui rifiuti e sul rifiuto (cfr. p. 88) conduce una danza di versi aggraziati quanto disperati, (p. 48 e passim) ed elabora un immaginario che, da Che cosa sono le nuvole a Salò, comprende l'importanza strategica del rifiuto, nelle diverse accezioni e prassi suddette. Se posso quindi aggiungere un'osservazione, mi pare si potrebbero rileggere alcune "sgrammaticature" - i poveri trucchi di scenografia, ad esempio il volo del Demone ne Il fiore - come una scelta antiestetica, così come Arbasino smarona per non tener conto del "buongusto" medioborghese. E ne Le mura di Sana'a si potrebbe intuire un'efficace messa in scena dei danni che può causare chi nella fioritura architettonica sbalorditiva di quella città vide solo casupole di fango (il sudicio, lo sporco, il rifiuto d'un'epoca precedente), e nei palazzotti "cemento e bandoni" - ma con le tazze del cesso lustre - il trionfo del pratico, dell'igienico, dunque del bello. A scanso di equivoci, dirò che niente mi fa più felice di un gabinetto pulito e funzionante: ma non spaccherei la cappella Sistina per erigerlo. E neppure ne farei il metro per giudicare dell'umanità del tale o del talaltro.

Giunti al fine di questo saggio breve e denso, che al rigore filosofico unisce un afflato poetico, (p. XI) e rilegge da un punto di vista insolito un'Opera quant'altre mai interpretata - e che sopporta quant'altre mai interpretazioni -, non si può non dirne che bene. Non fosse altro perché dice quel che ha da dire nel modo più chiaro possibile, ed in una veste grafica che è elegante e pratica senza essere inutilmente fichetta. Però: leggo a p. XIII (e a p. 124 per sovramercato) di Pasolini come del "poeta di Casarsa". Vorrei ricordare che Pasolini è nato (sia pure per caso) a Bologna - a meno che la preposizione non indichi un rapporto di origine o provenienza, bensì di argomento: allora "il poeta di Casarsa" sarebbe il lirico che ha verseggiato togliendo a oggetto la cittadina in questione. Ma, come si vede, l'uso fa confondere.



di Giulio Lascàris


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Diceva Cechov: Una brava persona si vergogna anche davanti a un cane. Perfetto. Ora mi chiedo: cosa dovremmo fare di fronte a Berlusconi? Il problema è assai più delicato di quel che si possa pensare: ad essere sincero non mi va giù che ogni aspetto della mia vita culturale sia segnato da quest'uomo per nulla provvidenziale, ma il ventennio (ormai ci siamo) che ha contraddistinto la sua 'azione' per certi versi è paragonabile a quello vissuto dai nostri nonni e nostri padri (dipende dalla vostra età) quando Mussolini era il Duce.

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