RACCONTI
Enrico Miceli
Pachiderma
Sono le 6 e 58 di mattina. Fuori piove. E' ancora buio, ma non per molto. Il sole sta iniziando a colorare il cielo di giallo intenso. Un giallo intenso che però è sporcato dai nembi scuri che sovrastano ogni cosa. Il vento muove i rami degli alberi che di tanto in tanto toccano i vetri della mia finestra. Io sono a letto. Occhi spalancati. Mal di testa. Saliva pastosa e alito di fogna.
Non sono riuscito a dormire. Non sono riuscito a dormire neanche questa notte. Niente. Non dormo mai. Solo un paio d'ore, forse, quando capita.
Sono le 6 e 58 di mattina. Fuori piove. E' ancora buio, ma non per molto. Il sole sta iniziando a colorare il cielo di giallo intenso. Un giallo intenso che però è sporcato dai nembi scuri che sovrastano ogni cosa. Il vento muove i rami degli alberi che di tanto in tanto toccano i vetri della mia finestra. Io sono a letto. Occhi spalancati. Mal di testa. Saliva pastosa e alito di fogna.
Non sono riuscito a dormire. Non sono riuscito a dormire neanche questa notte. Niente. Non dormo mai. Solo un paio d'ore, forse, quando capita.
Provo di nuovo a chiudere gli occhi. Cerco di rilassarmi un po'. Cerco di non pensare a nulla, solo alla confortevole sensazione del materasso e delle coperte che mi avvolgono per intero. Che avvolgono il mio enorme corpo immobile. Grasso.
Stretto tra i tessuti sprofondo in una meditazione onirica. Il vento si placa. La pioggia rallenta. Io resto con gli occhi chiusi e mi abbandono. Completamente...
Sono le 7 in punto. La sveglia sul mio comodino emana uno stridulo bip elettronico che aumenta di volume ad ogni secondo. E' assordante. La pioggia ha ripreso a scendere rapida. Il vento si è trasformato in una specie di uragano. Gli alberi sembrano voler venire giù. Cerco di spegnere quella stramaledetta sveglia che però continua a modulare una specie d'ultrasuono frenetico che mi ferisce i timpani. E' rimasta programmata da ieri. Era ieri che dovevo alzarmi presto. Non oggi. Il bip elettronico non smette. Anzi, aumenta.
Non riesco a girarmi sul fianco. Provo a rotolare di lato. Niente. Picchio con la mano sul comodino e colpisco in pieno la sveglia. "Così impari". E quella si spegne, ma casca per terra. Chi se ne importa.
Butto via, con una rotazione del braccio che definirei infinita, le coperte che mi avvolgono.
La casa è fredda. Tra mezz'ora si accenderà il riscaldamento. Centralizzato.
Buongiorno a tutti.
Maria, la badante, non è ancora arrivata. Arriverà tra due ore. Maria non è ancora arrivata e a me già scappa di andare in bagno. Ho l'intestino in rivolta. I gas cercano uscita. Devo alzarmi. Devo per forza andare al gabinetto.
Be', che ci vuole. Devo solo sedermi sulla tazza.
Poggio un piede nudo sul pavimento gelato. Poi poggio anche l'altro. Sono viola. I piedi. Già. Viola. Anche questa mattina ho i piedi viola. Viola come confettura di lamponi. Viola, su, fino alle caviglie. Viola scuro, lividi. E sono anche più gonfi del solito. I piedi.
Mi aggrappo con le mani al comodino e cerco con forza di tirarmi su. Lentamente. Len-ta-men-te. La forza di gravità a poco a poco si arrende e mi ritrovo dritto.
Mi fisso nell'armadio a specchio della mia camera. Nudo. O meglio, in mutande. Larghe e slabbrate. Mi fisso. E mi disprezzo. Sono l'uomo lardo.
Duecentotrentacinque chili e quattrocentosessantotto grammi di materia organica gelatinosa insaccata in una pelle bianca e soffice come marshmallows. Occhi neri e testa calva. Non del tutto calva però, bensì con una corona di capelli scuri, radi e sfibrati a tal punto da sembrare il materiale sintetico di un peluche made in China.
Ci vogliono due ante d'armadio per contenere per intero la mia figura. Sono un groviglio di pieghe ordinate, l'una sull'altra. In poche parole: sono un pachiderma.
Spingo il piede destro in avanti. Bene. Ora faccio lo stesso col sinistro. Tutto molto bene. Nuovamente il destro. Poi ancora il sinistro. Poi ancora il destro. Spero nel frattempo di non farmela addosso. Per fortuna ho il bagno in camera. Muovo quindi in avanti il sinistro.
Oggi ho una giornata pienissima. Devo uscire. Ordini del medico. E lui mi controlla, perchè abita nel mio palazzo. Posso scendere giù usando l'ascensore, ha detto, ma devo fare almeno mille passi. E anche in strada muoverò prima il destro. Poi il sinistro. Poi di nuovo il destro. Il sinistro. Il destro. Per mille volte. E piove. E continuerà a piovere anche più tardi.
Nella stanza c'è odore di chiuso, ora riesco a sentirlo.
Faccio un altro passo verso la mia meta. Ho una fitta lancinante che mi taglia in due lo stomaco, dal fianco destro fino all'ombelico. Andrà via. Ora andrà via. Ok. E' andata via. E faccio un altro passo verso l'enorme tazza in ceramica bianca. E subito dopo un momento di pausa.
Dopo i miei mille passi dovrò tornare su. Grazie a dio c'è l'ascensore. E, con l'aiuto di Maria, dovrò infilarmi nella vasca da bagno. La mia enorme vasca da bagno costruita su misura. Tremila euro e gli operai in casa per due settimane.
Poi, naturalmente, sempre con l'aiuto di Maria, dovrò uscire dalla vasca. E non sarà per nulla semplice.
Riprendo a camminare e porto in avanti il piede destro. La porta non è poi così lontana. Una flatulenza sibila in silenzio camuffando l'odore di muffa. Tanto in casa non c'è nessuno, quindi non c'è motivo di imbarazzarsi.
La luce del giorno finalmente si è fatta avanti. Il cielo è ancora grigio ma in casa entrano un po' di raggi solari, sia pure pallidi e freddi. Questi raggi mi mettono allegria, tutto sommato.
Entro in bagno.
Oggi è mercoledì. All'ora di pranzo mi tocca un brodo vegetale. Carote e patate lesse o roba così...
Non è male. Il brodo. Però dopo i mille passi generalmente sono così affamato che mangerei un maiale intero. Be', forse scarterei le frattaglie. Sì, mangerei un maiale intero escluse le frattaglie. Ben cotto. Succulento. Morbido. Saporito.
Ma non posso. Ordini del medico. E lui mi controlla, perchè abita nel mio palazzo.
Entro in bagno muovendomi come meglio posso. Ora mi aiuto anche con le braccia. Mi aggrappo una volta alla porta, pausa, una volta alla parete, pausa, un'altra volta al lavandino. Pausa.
Mi domando quanti passi avrò fatto fino ad ora. Mi domando se posso sottrarli dai mille che mi aspettano. Se sono cumulabili. Mi domando se... e mentre mi domando ho un'altra fitta... ora passa, ora passa anche questa. Lo stomaco mi sembra sia stato accoltellato. E' lancinante. Non passa. E' come la lama di un coltello che ruota dopo aver penetrato il ventre. Non passa.
Cerco di muovere un passo verso la tazza, bianca. Porto avanti il destro. La fitta non passa.
Porto avanti il sinistro.
Porto avanti il destro e mi appoggio alla parete.
Niente da fare. La fitta non passa.
Porto avanti il sinistro... poi...
Casco giù. Di peso. Sì. Di peso.
Mi risveglio che sono steso su pavimento del bagno e ho mal di testa. E c'è Maria che sta cercando di sollevarmi. C'è anche il medico. Cercano di sollevarmi. Insieme. E io ho mal di testa.
Nel bagno c'è puzza di escrementi. Maria e il medico mi smuovono come possono, pian piano, e mi trascinano verso la vasca.
Non ho più la fitta. E in bagno c'è puzza di escrementi. Un tanfo nauseabondo.
E mi trascinano fino alla vasca. E mi sento scivolare sul pavimento. Umido.
Il medico, non so come, forse con l'aiuto di Maria, mi solleva di forza e mi ritrovo nella mia enorme vasca di ceramica bianca.
Poi il getto d'acqua fredda mi sveglia completamente.
"Va tutto bene" mi dice il medico, mentre con la doccia in mano mi inonda d'acqua, prima gelata. Poi tiepida. Maria mi strofina il sapone dappertutto.
Non ce l'ho fatta ad arrivare in bagno.
"Cos'è successo?" chiedo.
Sono caduto. Mi rispondono in coro. E mi sono sporcato.
Capisco.
Quando hanno finito di strofinare mi aiutano a sollevarmi e io con fatica esco dalla vasca. Mi avvolgono in un asciugamano simile ad un telo da mare.
Maria mi asciuga i pochi capelli con un altro asciugamano. Più piccolo. E poi col phon.
Poi il medico mi dice: "Per oggi è meglio che stai a letto. I mille passi li fai domani. Ora è meglio se vai a riposare". E mi dà una pacca gentile sulla spalla.
Fuori piove. Il vento però sembra essere diminuito.
Sto avvolto nelle mie coperte e non mi muovo. Qualcuno ha raccolto e messo sul comodino la sveglia digitale che ora segna le 10 e 03.
Sto immobile. In silenzio. Avvolto nelle mie coperte. Come una larva. Immobile. In silenzio.
Ho gli occhi spalancati.
Resto sveglio. E mi ascolto respirare. Per tutto il tempo.
Enrico Miceli
Nato il 31/10/1980. Ha pubblicato qua e là alcune storie: 'Formiche Rosse' (sulla rivista 'Linus'), 'Ognuno per sé' (con Terre di Mezzo editore), 'Il Candidato alla Circoscrizione' (sulla rivista 'Colla') e altre.
Il suo romanzo d'esordio si intitola Humus (Castelvecchi editore).
Non sono riuscito a dormire. Non sono riuscito a dormire neanche questa notte. Niente. Non dormo mai. Solo un paio d'ore, forse, quando capita.
Sono le 6 e 58 di mattina. Fuori piove. E' ancora buio, ma non per molto. Il sole sta iniziando a colorare il cielo di giallo intenso. Un giallo intenso che però è sporcato dai nembi scuri che sovrastano ogni cosa. Il vento muove i rami degli alberi che di tanto in tanto toccano i vetri della mia finestra. Io sono a letto. Occhi spalancati. Mal di testa. Saliva pastosa e alito di fogna.
Non sono riuscito a dormire. Non sono riuscito a dormire neanche questa notte. Niente. Non dormo mai. Solo un paio d'ore, forse, quando capita.
Provo di nuovo a chiudere gli occhi. Cerco di rilassarmi un po'. Cerco di non pensare a nulla, solo alla confortevole sensazione del materasso e delle coperte che mi avvolgono per intero. Che avvolgono il mio enorme corpo immobile. Grasso.
Stretto tra i tessuti sprofondo in una meditazione onirica. Il vento si placa. La pioggia rallenta. Io resto con gli occhi chiusi e mi abbandono. Completamente...
Sono le 7 in punto. La sveglia sul mio comodino emana uno stridulo bip elettronico che aumenta di volume ad ogni secondo. E' assordante. La pioggia ha ripreso a scendere rapida. Il vento si è trasformato in una specie di uragano. Gli alberi sembrano voler venire giù. Cerco di spegnere quella stramaledetta sveglia che però continua a modulare una specie d'ultrasuono frenetico che mi ferisce i timpani. E' rimasta programmata da ieri. Era ieri che dovevo alzarmi presto. Non oggi. Il bip elettronico non smette. Anzi, aumenta.
Non riesco a girarmi sul fianco. Provo a rotolare di lato. Niente. Picchio con la mano sul comodino e colpisco in pieno la sveglia. "Così impari". E quella si spegne, ma casca per terra. Chi se ne importa.
Butto via, con una rotazione del braccio che definirei infinita, le coperte che mi avvolgono.
La casa è fredda. Tra mezz'ora si accenderà il riscaldamento. Centralizzato.
Buongiorno a tutti.
Maria, la badante, non è ancora arrivata. Arriverà tra due ore. Maria non è ancora arrivata e a me già scappa di andare in bagno. Ho l'intestino in rivolta. I gas cercano uscita. Devo alzarmi. Devo per forza andare al gabinetto.
Be', che ci vuole. Devo solo sedermi sulla tazza.
Poggio un piede nudo sul pavimento gelato. Poi poggio anche l'altro. Sono viola. I piedi. Già. Viola. Anche questa mattina ho i piedi viola. Viola come confettura di lamponi. Viola, su, fino alle caviglie. Viola scuro, lividi. E sono anche più gonfi del solito. I piedi.
Mi aggrappo con le mani al comodino e cerco con forza di tirarmi su. Lentamente. Len-ta-men-te. La forza di gravità a poco a poco si arrende e mi ritrovo dritto.
Mi fisso nell'armadio a specchio della mia camera. Nudo. O meglio, in mutande. Larghe e slabbrate. Mi fisso. E mi disprezzo. Sono l'uomo lardo.
Duecentotrentacinque chili e quattrocentosessantotto grammi di materia organica gelatinosa insaccata in una pelle bianca e soffice come marshmallows. Occhi neri e testa calva. Non del tutto calva però, bensì con una corona di capelli scuri, radi e sfibrati a tal punto da sembrare il materiale sintetico di un peluche made in China.
Ci vogliono due ante d'armadio per contenere per intero la mia figura. Sono un groviglio di pieghe ordinate, l'una sull'altra. In poche parole: sono un pachiderma.
Spingo il piede destro in avanti. Bene. Ora faccio lo stesso col sinistro. Tutto molto bene. Nuovamente il destro. Poi ancora il sinistro. Poi ancora il destro. Spero nel frattempo di non farmela addosso. Per fortuna ho il bagno in camera. Muovo quindi in avanti il sinistro.
Oggi ho una giornata pienissima. Devo uscire. Ordini del medico. E lui mi controlla, perchè abita nel mio palazzo. Posso scendere giù usando l'ascensore, ha detto, ma devo fare almeno mille passi. E anche in strada muoverò prima il destro. Poi il sinistro. Poi di nuovo il destro. Il sinistro. Il destro. Per mille volte. E piove. E continuerà a piovere anche più tardi.
Nella stanza c'è odore di chiuso, ora riesco a sentirlo.
Faccio un altro passo verso la mia meta. Ho una fitta lancinante che mi taglia in due lo stomaco, dal fianco destro fino all'ombelico. Andrà via. Ora andrà via. Ok. E' andata via. E faccio un altro passo verso l'enorme tazza in ceramica bianca. E subito dopo un momento di pausa.
Dopo i miei mille passi dovrò tornare su. Grazie a dio c'è l'ascensore. E, con l'aiuto di Maria, dovrò infilarmi nella vasca da bagno. La mia enorme vasca da bagno costruita su misura. Tremila euro e gli operai in casa per due settimane.
Poi, naturalmente, sempre con l'aiuto di Maria, dovrò uscire dalla vasca. E non sarà per nulla semplice.
Riprendo a camminare e porto in avanti il piede destro. La porta non è poi così lontana. Una flatulenza sibila in silenzio camuffando l'odore di muffa. Tanto in casa non c'è nessuno, quindi non c'è motivo di imbarazzarsi.
La luce del giorno finalmente si è fatta avanti. Il cielo è ancora grigio ma in casa entrano un po' di raggi solari, sia pure pallidi e freddi. Questi raggi mi mettono allegria, tutto sommato.
Entro in bagno.
Oggi è mercoledì. All'ora di pranzo mi tocca un brodo vegetale. Carote e patate lesse o roba così...
Non è male. Il brodo. Però dopo i mille passi generalmente sono così affamato che mangerei un maiale intero. Be', forse scarterei le frattaglie. Sì, mangerei un maiale intero escluse le frattaglie. Ben cotto. Succulento. Morbido. Saporito.
Ma non posso. Ordini del medico. E lui mi controlla, perchè abita nel mio palazzo.
Entro in bagno muovendomi come meglio posso. Ora mi aiuto anche con le braccia. Mi aggrappo una volta alla porta, pausa, una volta alla parete, pausa, un'altra volta al lavandino. Pausa.
Mi domando quanti passi avrò fatto fino ad ora. Mi domando se posso sottrarli dai mille che mi aspettano. Se sono cumulabili. Mi domando se... e mentre mi domando ho un'altra fitta... ora passa, ora passa anche questa. Lo stomaco mi sembra sia stato accoltellato. E' lancinante. Non passa. E' come la lama di un coltello che ruota dopo aver penetrato il ventre. Non passa.
Cerco di muovere un passo verso la tazza, bianca. Porto avanti il destro. La fitta non passa.
Porto avanti il sinistro.
Porto avanti il destro e mi appoggio alla parete.
Niente da fare. La fitta non passa.
Porto avanti il sinistro... poi...
Casco giù. Di peso. Sì. Di peso.
Mi risveglio che sono steso su pavimento del bagno e ho mal di testa. E c'è Maria che sta cercando di sollevarmi. C'è anche il medico. Cercano di sollevarmi. Insieme. E io ho mal di testa.
Nel bagno c'è puzza di escrementi. Maria e il medico mi smuovono come possono, pian piano, e mi trascinano verso la vasca.
Non ho più la fitta. E in bagno c'è puzza di escrementi. Un tanfo nauseabondo.
E mi trascinano fino alla vasca. E mi sento scivolare sul pavimento. Umido.
Il medico, non so come, forse con l'aiuto di Maria, mi solleva di forza e mi ritrovo nella mia enorme vasca di ceramica bianca.
Poi il getto d'acqua fredda mi sveglia completamente.
"Va tutto bene" mi dice il medico, mentre con la doccia in mano mi inonda d'acqua, prima gelata. Poi tiepida. Maria mi strofina il sapone dappertutto.
Non ce l'ho fatta ad arrivare in bagno.
"Cos'è successo?" chiedo.
Sono caduto. Mi rispondono in coro. E mi sono sporcato.
Capisco.
Quando hanno finito di strofinare mi aiutano a sollevarmi e io con fatica esco dalla vasca. Mi avvolgono in un asciugamano simile ad un telo da mare.
Maria mi asciuga i pochi capelli con un altro asciugamano. Più piccolo. E poi col phon.
Poi il medico mi dice: "Per oggi è meglio che stai a letto. I mille passi li fai domani. Ora è meglio se vai a riposare". E mi dà una pacca gentile sulla spalla.
Fuori piove. Il vento però sembra essere diminuito.
Sto avvolto nelle mie coperte e non mi muovo. Qualcuno ha raccolto e messo sul comodino la sveglia digitale che ora segna le 10 e 03.
Sto immobile. In silenzio. Avvolto nelle mie coperte. Come una larva. Immobile. In silenzio.
Ho gli occhi spalancati.
Resto sveglio. E mi ascolto respirare. Per tutto il tempo.
Enrico Miceli
Nato il 31/10/1980. Ha pubblicato qua e là alcune storie: 'Formiche Rosse' (sulla rivista 'Linus'), 'Ognuno per sé' (con Terre di Mezzo editore), 'Il Candidato alla Circoscrizione' (sulla rivista 'Colla') e altre.
Il suo romanzo d'esordio si intitola Humus (Castelvecchi editore).
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