DE FALSU CREDITU
Maurizia Moret
Paradiso degli Orchi: tutta la verità.
La Scimmia, Piuma 12, Pag. 666 89 Euro
Non solo uno può, ma deve trovare onorevole tanta maldicenza; specie poi se questa si esprime con i mezzi raffinati di un'esegesi esasperata. Un'esegesi che scortica le parole fino all'osso e oltre, e che se non fa brillare propria la verità, come vorrebbe (e infatti si noti la rima) l'Emanuele Lévinas, almeno riscalda il cuore ed eccita l'animo, perché il pensiero, quando viene fatto rotolare via ad arte, è sempre il più grande degli spettacoli: e nell'interpretazione malevola pettegola diffamatoria di cosa sia o non sia Il Paradiso degli Orchi secondo la Maurizia Moret, il pensiero fa un piacere che non si dice.
Ma veniamo al metodo, verticale, da palombaro: prima di tutto si parte dalla teoria, cioè come è nato Il Paradiso degli Orchi e perché: e ci dice l'autrice di non dare retta, che Pennac non c'entra; e invece: gli orchi sono figura di Cronos, che è il Dio che mangia i suoi figli o, altra tradizione orfica, che li nasconde nel fiume: come a dire che li trattiene in sé, nel suo grembo eterno, fuori dalla storia: l'essere che si intrattiene con gli archetipi, così che Il Paradiso sarebbe un paradiso di paradisiaci: un eden al quadro dove a fare da quadrato e solido non è la nostra realtà transeunte ma quella trascendente del Nirvana: per dirla in soldoni gli Orchi sarebbero una setta di marca affine a quegli ultraplatonici che sono i figli islamici del grande attico: franckisti di nuova generazione: dissolutori della mano sinistra che vogliono minare alla base la nostra percezione della realtà cercando di accelerare l'apocalisse e spingere il mondo alla sua fase terminale: la grande ekpirosis, la conflagrazione finale che purificherà l'uomo nella sua incendiaria estinzione: niente di meno!
E se questa è la teoria, passiamo ai suoi esecutori.
Ci dice la Mauret, con una foga ermeneutica da invasata protestante (e pare di vedere frate Lutero a dare di pomice sulla Lettera ai Romani, a fare rilucere di disperato significato anche i nomi inerti degli amici epistolari del santo Paolo); ci dice la Mauret che basta vedere i nomi di questi redattori (tutti palesemente falsi) per fare quadrare i conti.
Primo di tutti, ovvio, il grande capo Alfredo Ronci, il cui anagramma starebbe tra un sensuoso caldo fornire (fornire cosa?) e un bizzarramente sadomaso colando ferri: un nome che nasconderebbe più di un pizzico di zolfo. E l'altro di capo, in veste femminile, pura e perversa shekinà, quella Giovanna Repetto che sta per ignoto penetrava, cioè quel dio ignoto e penetrante che sobilla nella notte. Poi l'Alessandro Pietrogiacomi, dove Alessandro sta per dominatori di uomini: ma quali uomini? Pietro e Giacomo, ossia il cristianesimo originario sia romano che giudaico domato, sottomesso, redento dal nostro prode. Quindi Adriano Angelini che basta anagrammarlo per saperlo che il suo nome vuole dire dilanierai gonna, con chiaro riferimento alla tunica dei sacerdoti cattolici. Di Mino, maschera e persona del Minotaturo, indicato come Pier Paolo in disprezzo dei sue santi maggiori. Infine Gianfranco Franchi in cui l'adesione a quella blasfema setta di gnostici cripto-islamici che con tanto vigore tradisce l'origine cainita, ossia la setta dei franckisti, è praticamente esplicita.
E arriviamo al pettegolezzo, quello per il quale vale la pena di comprare il libro: le famose feste e cene degli orchi, in cui, afferma con serietà l'autrice, il peggio non è mai trascurato.
E via con le storie di Ronci vestito da grande capro che istiga i giovani alla corruzione dei sensi profittando di un certo suo carisma da ierofante; e la Repetto, ovvio, lì con la frusta. E poi questi Angelini e Franchi, con l'aggiunta di tale Massimiliano Di Mino, vestiti di giallo-rosso, colori della putrefactio e della rinascita nel purpureo, con in capo maschera di lupo inscenano un lupercalia uccidendo un aquila. (Nota bene, dice l'autrice che Massimiliano Di Mino non è parente del Pier Paolo; ma Massimiliano, piuttosto, da quel Massimino Daia che Lattanzio accusò di condanne ingiuste nei confronti dei cristiani, e che pare sia morto a Tarso strangolandosi con le proprie mani per lo schifo di trovarsi in terra paolina); e ancora Pietrogiacomi e Di Mino Pier Paolo vestiti da spartani che muovono guerra al misticismo e alla tirannia (: "spartani qual è il vostro mestiere?").
E di qui si segue con orge, messe pagane, sesso fino a provarne pena, fatica e rabbia; e questo solo per citare le accuse più garbate.
Per il resto cosa dire? Il libro è divertente, e vale veramente la pena di leggerlo. Specie poi per chi, con noi, voglia essere orco e dire Orco sum: orchici nihil a me alienum puto.
Ma veniamo al metodo, verticale, da palombaro: prima di tutto si parte dalla teoria, cioè come è nato Il Paradiso degli Orchi e perché: e ci dice l'autrice di non dare retta, che Pennac non c'entra; e invece: gli orchi sono figura di Cronos, che è il Dio che mangia i suoi figli o, altra tradizione orfica, che li nasconde nel fiume: come a dire che li trattiene in sé, nel suo grembo eterno, fuori dalla storia: l'essere che si intrattiene con gli archetipi, così che Il Paradiso sarebbe un paradiso di paradisiaci: un eden al quadro dove a fare da quadrato e solido non è la nostra realtà transeunte ma quella trascendente del Nirvana: per dirla in soldoni gli Orchi sarebbero una setta di marca affine a quegli ultraplatonici che sono i figli islamici del grande attico: franckisti di nuova generazione: dissolutori della mano sinistra che vogliono minare alla base la nostra percezione della realtà cercando di accelerare l'apocalisse e spingere il mondo alla sua fase terminale: la grande ekpirosis, la conflagrazione finale che purificherà l'uomo nella sua incendiaria estinzione: niente di meno!
E se questa è la teoria, passiamo ai suoi esecutori.
Ci dice la Mauret, con una foga ermeneutica da invasata protestante (e pare di vedere frate Lutero a dare di pomice sulla Lettera ai Romani, a fare rilucere di disperato significato anche i nomi inerti degli amici epistolari del santo Paolo); ci dice la Mauret che basta vedere i nomi di questi redattori (tutti palesemente falsi) per fare quadrare i conti.
Primo di tutti, ovvio, il grande capo Alfredo Ronci, il cui anagramma starebbe tra un sensuoso caldo fornire (fornire cosa?) e un bizzarramente sadomaso colando ferri: un nome che nasconderebbe più di un pizzico di zolfo. E l'altro di capo, in veste femminile, pura e perversa shekinà, quella Giovanna Repetto che sta per ignoto penetrava, cioè quel dio ignoto e penetrante che sobilla nella notte. Poi l'Alessandro Pietrogiacomi, dove Alessandro sta per dominatori di uomini: ma quali uomini? Pietro e Giacomo, ossia il cristianesimo originario sia romano che giudaico domato, sottomesso, redento dal nostro prode. Quindi Adriano Angelini che basta anagrammarlo per saperlo che il suo nome vuole dire dilanierai gonna, con chiaro riferimento alla tunica dei sacerdoti cattolici. Di Mino, maschera e persona del Minotaturo, indicato come Pier Paolo in disprezzo dei sue santi maggiori. Infine Gianfranco Franchi in cui l'adesione a quella blasfema setta di gnostici cripto-islamici che con tanto vigore tradisce l'origine cainita, ossia la setta dei franckisti, è praticamente esplicita.
E arriviamo al pettegolezzo, quello per il quale vale la pena di comprare il libro: le famose feste e cene degli orchi, in cui, afferma con serietà l'autrice, il peggio non è mai trascurato.
E via con le storie di Ronci vestito da grande capro che istiga i giovani alla corruzione dei sensi profittando di un certo suo carisma da ierofante; e la Repetto, ovvio, lì con la frusta. E poi questi Angelini e Franchi, con l'aggiunta di tale Massimiliano Di Mino, vestiti di giallo-rosso, colori della putrefactio e della rinascita nel purpureo, con in capo maschera di lupo inscenano un lupercalia uccidendo un aquila. (Nota bene, dice l'autrice che Massimiliano Di Mino non è parente del Pier Paolo; ma Massimiliano, piuttosto, da quel Massimino Daia che Lattanzio accusò di condanne ingiuste nei confronti dei cristiani, e che pare sia morto a Tarso strangolandosi con le proprie mani per lo schifo di trovarsi in terra paolina); e ancora Pietrogiacomi e Di Mino Pier Paolo vestiti da spartani che muovono guerra al misticismo e alla tirannia (: "spartani qual è il vostro mestiere?").
E di qui si segue con orge, messe pagane, sesso fino a provarne pena, fatica e rabbia; e questo solo per citare le accuse più garbate.
Per il resto cosa dire? Il libro è divertente, e vale veramente la pena di leggerlo. Specie poi per chi, con noi, voglia essere orco e dire Orco sum: orchici nihil a me alienum puto.
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