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Il Paradiso degli Orchi
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DE FALSU CREDITU

Sveva Italia

Per chi suona la carampana

Badesica Coboldi Calai Editore/trice , Pag. 119 Euro 11,00
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Purtroppo ha nuociuto alla ristampa di questo racconto lungo (prima edizione Lemasse Carrare, Sotto il Ponte 1977) il successo cosmico di Va' dove ti porta il cuore. Le atmosfere sono simili, sebbene - e senza voler entrare in polemica - la qualità della scrittura e la diegèsi giungono a una tenuta sicura e talvolta stralunata, che il bessèllero della Tamaro non possiede. Eppure Sveva Italia (pseudonimo d'una scrittrice all'epoca fortemente impegnata nel sociale, ora docente di lingua e letteratura americana a Parigi 2eme) ha narrato una storia che possiede più d'un carattere in comune con l'esercizio tamariano, a cominciare dai protagonisti, nonna e nipote, Vlada e Fidèla. L'avùncula, non c'è che dire, è un bel personaggio, interamente scolpito - par di capire - al vero d'una celebre e sfortunata concertista: nata a Neptun, un borghetto di pescatori presso Costanza, sul mar Nero di Romania - poi divenuto, grazie anche al gerovitàl dell'Ana Aslan, una località turistica rinomata nei paesi dell'Est - fu fanciulla prodigio. A dieci anni, difatti, eseguiva a memoria il primo libro del Clavicembalo ben temperato e alcune sonate di Mozart dinanzi a re Carol primo, nel buen retiro di Sinaia. Ma sfortuna volle che, l'anno dopo, la valente cominciasse a risentire dei primi indizi d'un gravissimo male, un tumore all'ipofisi. Per esso, subì tre operazioni - due in patria e l'ultima in Svizzera - e un lungo internamento in una clinica sul Lemano, a spese del governo regio. Cessato il pericolo, ma pure l'interesse della corte, Vlada dove' ricominciare da capo: furono anni bigi, di triboli economici, insegnamento e chaperonnage, passati in una sorta di non voluta bohème nella capitale francese - in quest'aria nacque, probabilmente non voluto, Joseph, il suo unico figlio, e padre di Fidèla. Vi fu tuttavia qualche sprazzo di fortuna. George (Gheorghiu) Enescu, eminente violinista e ottimo compositore, la impose - siamo a metà dei Trenta - come sua partner nell'esecuzione d'un programma che comprendeva la Kreutzer, la sonata di Franck e la Terza di Brahms. Questo inaspettato rilancio le offrì l'occasione di partecipare a un ciclo di concerti nella Salle Pleyel come solista: oltre a concerti di Mozart (K466, K488 - direzione O. Klemperer) eseguì e registrò Beethoven (La Tempesta, la Caccia), Schumann (Variazioni ABEGG, Bunte Blätter), Busoni (sonata op. 36a - al violino, J. Szigeti). E' in quella temperie che conosce Raoul Dufy, e gli dedica la sua unica composizione, quel Duo per piano e saxofon alto che tanto piacerà allo Strawinski "atonale", e che farà dire a von Karajan "immaginava il pubblico il cammino che ella aveva dovuto percorrere per giungere a quel grado di perfezione?"

Ma, ancora una volta, il destino s'accanì su di lei: recrudescenze del vecchio malanno, e un principio d'artrosi, la tennero lontana dal milieu internazionale. Intanto, scoppiava la seconda grande guerra: Vlada, ebrea per parte di madre, riuscì a rifugiarsi in Svizzera col figlio settenne, grazie agli auspici di Ceciliu Codroneu, ex Guardia di Ferro di Codreanu, e ora attaché all'ambasciata rumena presso Berna. Ma Vlada pagherà caro e amaro - con favori dégoutants - il permesso di soggiorno al suo protettore. Sarà questo che, nel 1949, provocherà la fuga in Italia di Joseph, proprio quando sua madre costituirà con un eccelso musicista - battezzato nel testo Alfred Perregaux -, di un quarto di secolo più giovane, un inossidabile duo violino-pianoforte, capace di rivaleggiare con la coppia Menuhin (con problemi d'intonazione) - Gould eseguendo la Fantasia op. 47 di Schönberg.

La rottura col figlio è comunque traumatica per Vlada: cercherà di riconciliarselo in ogni modo, correndogli dietro ogni attimo lasciatole libero dall'attività concertistica - e oltre: dovrebbe suonare il Quinto di Beethoven a Ottawa, ma rassegna, poiché sa che Bianca, la moglie di Joseph (figlia di tramviere milanese), genera colei che sarà Fidèla. Lei vorrebbe essere presente alla nascita - la sostituirà proprio Gould -, e difatti la sera del parto è a Milano. Joseph, però, le vieta qualsiasi contatto con la puerpera. Vlada non può far altro che tornare al suo lavoro, nel quale s'immerge completamente. Ritrova Dufy, mentre questi prepara scene e costumi per L'invito al castello, di Jean Anouilh, e la confidenza con l'anziano pittore l'aiuterà a ritrovare un minimo equilibrio emotivo. Senonché, l'amico muore: l'avvenimento innesca in Vlada delle dinamiche depressive, che la portano a intraprendere un trattamento psicanalitico, dove le viene rivelato d'esser stata molestata durante l'infanzia. Fortunatamente, però, si scopre che ciò non è vero, ma solo un falso ricordo suscitato dall'analisi: purtroppo, la rivelazione accade dopo un tentativo di suicidio, e i conseguenti ricovero e terapia a base di shock insulinici. Sarà Perregaux ad aiutarla ad uscirne, e, grazie alla tenacia di lei, a riportarla sulle scene, con un programma eclettico che compredeva Scarlatti e Schumann, Bach e Sciostakovitch, Respighi e Ghedini.

Dopo la morte precoce (1960) del suo partner, dovuta a una curiosa e ignota ai medici disfunzione del sistema autoimmune - la carriera di Vlada si trascinerà sino all'alba dei Settanta. Fa in tempo (1968) a incidere una serie di composizioni scritte per lei da Berio e dirette da Bruno Maderna (Finalen Liguren, op. 48), dunque si ritira. Ma Fidèla, saputa nel '73 la storia da Joseph - sul letto di morte per un cancro pancreatico - si mette in caccia della nonna (quel che abbiamo riassunto ed integrato, nella finzione è scoperto da lei). Così la incontra, moritura, e il confronto tra nonna e nipote si fa serrato e commovente. Ma altro non dobbiamo dire, se non che raccomandiamo il testo all'attenzione del Lettore.





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