DE FALSU CREDITU
Giuseppa Scuonnamozzo
Petting di pollo
La Scimmia, Vortex 201, Pag. 2000 Euro 15,00
Adesso non dirò di Plotino e di come abbia, con un lampo interminabile, unito nell'immaginazione dei suoi lettori l'amore nel suo picco e l'estasi: stessa patologia; o meglio medesima morte, si presenti essa grande e divina o, come dicono i francesi, piccola e goduriosa. E poi l'amore che tutto vince del Virgilio, e l'amore sacro e profano del Rinascimento; ma il caso qui della Giuseppa Scuonnamozzo (la carnale, la sensuosa, anch'essa unta, certo, ma non sacramentale) si presta meglio a materia di interesse plutarcheo: e lo sa chi conosce la Scuonnamozzo, e sa come la sua vita sia minutamente parallela a quella di Juana Inèz de la Cruz.
Allora: siamo nel Seicento e parliamo di Santa Juanita, la Fenice del Messico, detta così perché, figlia di un marinaio, a tre anni impara a leggere e scrivere da sola, e in un età robustamente precoce apprende il latino e si esercita su varie pagine di letteratura e filosofia, finché, destino da mostro di natura, viene chiamata alla corte della viceregina come damigella a snocciolare erudizione: e sarà per fuggire a questo destino (e alla ripugnanza per gli uomini) che rifiuta il mestiere di moglie e si fa suora di clausura dedicandosi a un enorme lavoro esegetico, nonché alla compilazione di un prezioso canzoniere (questo continente, l'America, con queste figlie solitarie: Juanita e la Emily Dickinson). Ed infine, merito del compianto Angelo Morino averlo reso noto, anche questo notevole libro di ricette gastronomiche, tratte da un commento a San Girolamo.
Invece: siamo nel Novecento e parliamo di Giuseppa Sconnamuozzo, l'Infelice di Bari centro, detta così perché è figlia di un marinaio scioperatissimo la cui avvenenza fisica gli procurò una spettacolare morte di marca alessandrina via sifilide (i più giovani e belli gli dei li vogliono per sé) e di donna Maria Lapouliche, la celebre contorsionista per la quale dicono perse la testa anche D'Annunzio: e certo infelice perché, sarà stato per l'inevitabile confrontarsi con le tanto cantate bellezze carnali dei genitori, ma a tre anni Giuseppa si rende conto, e da sola, di non assomigliare alla mamma e al babbo: di questa sua acutezza critica, così precoce e sofferta, renderà merito più tardi una zia che la crebbe (la madre non volle mai riconoscerla) in una lettera dal carcere di Lecce nel quale era stata rinchiusa con l'accusa di avere cercato di vendere la ragazza a degli zingari: "è brutta, è brutta!". In effetti Giuseppa è alta come un cane, e anche di viso sembra un mastino; si capisce, quindi, che il fatto di avere le gambe fatte in maniera tale che gli sarebbe potuto passare sotto un grosso maremmano con un ombrello aperto, la faceva assomigliare ad un cane che cavalca un cane.
A Giuseppa Scuonnamozzo gli uomini non la disgustano per niente: però, disperando dell'amore, si fa suora. In convento comincerà a leggere tantissimo: impara il latino, il greco, l'ebraico, ed anche l'albanese (molti malignamente dicono perché convinta, non si sa a quale titolo, che quell'austero popolo fosse in grado di apprezzare la sua femminilità). Studia, studia, e studia; e si impone una rigida ascesi; rigidissima: famosi, ormai, quei digiuni protratti ed estremi che fecero preoccupare spesso per la sua vita.
E famosi, di quei digiuni, gli esiti mistici o li si voglia leggere ora patologicamente, quale sono minutamente appuntati sul suo diario, in cui l'ossessione sessuale si intreccia con quella culinaria: questo ossessioni, nell'esaltazione dell'ascesi, portarono la Giuseppa quasi, novella Porfirio (si ricordino le belle pagine di Leopardi al proposito), al baratro del suicidio: ed è qui che interviene la poesia.
Sì perché anche la Scuonnamozzo, come la Juanita, si fa poetessa: poetessa che parla della passione: dell'estremo limite, estasi e morte, a cui conduce; e, come, seppure in maniera marginale nel caso della suora messicana, nel suo centrale e altissimo, Giuseppa si fa poetessa con un ricettario.
Un ricettario in versi di inestinguibile bellezza, nella sua versificazione barocca e ermetica, dunque popolare, in cui si lega con impalpabile astuzia il cibo al sesso, e questi al loro potenziale liberatorio: interpretare un sogno significa inventarsene un altro: una poesia soltanto potrebbe rendere merito della poesia di Giuseppa Scuonnamozzo, sempre in bilico tra la realtà e la sua trascendenza, tutta viva di anima per avere troppo contemplato lo spirito; una poesia così attenta all'umana debolezza da farsi allegramente, saporitamente umana: unta da un carisma, sì, ma anche dalla cucina e dai suoi oli e sughi. Una poesia che sublima lo scacco umano in umanità verace e, infatti, ecco lo spettacolo tremendo, e per questo sacro, di come questa vergine riesca occultamente a conoscere la passione massiccia della carne e le sue frustrazioni: Ricetta n. 19. "melanzana alla siciliana": Se con lui c'è quello ostacolo/(minuto che glielo vedi col binocolo)/ alla tua voglia così vera, così sana/ offri intera siciliana una grossa melanzana; e ancora, in questo sublime di verità che è il nemico di ogni sublime: Ricetta n. 124, "petting di pollo" (che dà il titolo alla raccolta): non lasciarti ingannare: se ti parla di amore eterno, toccagli subito fra le gambe il perno. Se l'amore non è grosso, meglio allora il pollo e le delizie del suo osso.
Leggete signori questo capolavoro di mistica rinascimentale in cui la trascendenza è un mezzo per la realtà, e la realtà, terreno grasso del cibo e grosso del sesso, un modo per la poesia.
Allora: siamo nel Seicento e parliamo di Santa Juanita, la Fenice del Messico, detta così perché, figlia di un marinaio, a tre anni impara a leggere e scrivere da sola, e in un età robustamente precoce apprende il latino e si esercita su varie pagine di letteratura e filosofia, finché, destino da mostro di natura, viene chiamata alla corte della viceregina come damigella a snocciolare erudizione: e sarà per fuggire a questo destino (e alla ripugnanza per gli uomini) che rifiuta il mestiere di moglie e si fa suora di clausura dedicandosi a un enorme lavoro esegetico, nonché alla compilazione di un prezioso canzoniere (questo continente, l'America, con queste figlie solitarie: Juanita e la Emily Dickinson). Ed infine, merito del compianto Angelo Morino averlo reso noto, anche questo notevole libro di ricette gastronomiche, tratte da un commento a San Girolamo.
Invece: siamo nel Novecento e parliamo di Giuseppa Sconnamuozzo, l'Infelice di Bari centro, detta così perché è figlia di un marinaio scioperatissimo la cui avvenenza fisica gli procurò una spettacolare morte di marca alessandrina via sifilide (i più giovani e belli gli dei li vogliono per sé) e di donna Maria Lapouliche, la celebre contorsionista per la quale dicono perse la testa anche D'Annunzio: e certo infelice perché, sarà stato per l'inevitabile confrontarsi con le tanto cantate bellezze carnali dei genitori, ma a tre anni Giuseppa si rende conto, e da sola, di non assomigliare alla mamma e al babbo: di questa sua acutezza critica, così precoce e sofferta, renderà merito più tardi una zia che la crebbe (la madre non volle mai riconoscerla) in una lettera dal carcere di Lecce nel quale era stata rinchiusa con l'accusa di avere cercato di vendere la ragazza a degli zingari: "è brutta, è brutta!". In effetti Giuseppa è alta come un cane, e anche di viso sembra un mastino; si capisce, quindi, che il fatto di avere le gambe fatte in maniera tale che gli sarebbe potuto passare sotto un grosso maremmano con un ombrello aperto, la faceva assomigliare ad un cane che cavalca un cane.
A Giuseppa Scuonnamozzo gli uomini non la disgustano per niente: però, disperando dell'amore, si fa suora. In convento comincerà a leggere tantissimo: impara il latino, il greco, l'ebraico, ed anche l'albanese (molti malignamente dicono perché convinta, non si sa a quale titolo, che quell'austero popolo fosse in grado di apprezzare la sua femminilità). Studia, studia, e studia; e si impone una rigida ascesi; rigidissima: famosi, ormai, quei digiuni protratti ed estremi che fecero preoccupare spesso per la sua vita.
E famosi, di quei digiuni, gli esiti mistici o li si voglia leggere ora patologicamente, quale sono minutamente appuntati sul suo diario, in cui l'ossessione sessuale si intreccia con quella culinaria: questo ossessioni, nell'esaltazione dell'ascesi, portarono la Giuseppa quasi, novella Porfirio (si ricordino le belle pagine di Leopardi al proposito), al baratro del suicidio: ed è qui che interviene la poesia.
Sì perché anche la Scuonnamozzo, come la Juanita, si fa poetessa: poetessa che parla della passione: dell'estremo limite, estasi e morte, a cui conduce; e, come, seppure in maniera marginale nel caso della suora messicana, nel suo centrale e altissimo, Giuseppa si fa poetessa con un ricettario.
Un ricettario in versi di inestinguibile bellezza, nella sua versificazione barocca e ermetica, dunque popolare, in cui si lega con impalpabile astuzia il cibo al sesso, e questi al loro potenziale liberatorio: interpretare un sogno significa inventarsene un altro: una poesia soltanto potrebbe rendere merito della poesia di Giuseppa Scuonnamozzo, sempre in bilico tra la realtà e la sua trascendenza, tutta viva di anima per avere troppo contemplato lo spirito; una poesia così attenta all'umana debolezza da farsi allegramente, saporitamente umana: unta da un carisma, sì, ma anche dalla cucina e dai suoi oli e sughi. Una poesia che sublima lo scacco umano in umanità verace e, infatti, ecco lo spettacolo tremendo, e per questo sacro, di come questa vergine riesca occultamente a conoscere la passione massiccia della carne e le sue frustrazioni: Ricetta n. 19. "melanzana alla siciliana": Se con lui c'è quello ostacolo/(minuto che glielo vedi col binocolo)/ alla tua voglia così vera, così sana/ offri intera siciliana una grossa melanzana; e ancora, in questo sublime di verità che è il nemico di ogni sublime: Ricetta n. 124, "petting di pollo" (che dà il titolo alla raccolta): non lasciarti ingannare: se ti parla di amore eterno, toccagli subito fra le gambe il perno. Se l'amore non è grosso, meglio allora il pollo e le delizie del suo osso.
Leggete signori questo capolavoro di mistica rinascimentale in cui la trascendenza è un mezzo per la realtà, e la realtà, terreno grasso del cibo e grosso del sesso, un modo per la poesia.
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