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INTERVISTE

Pier Francesco Grasselli

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In due anni due romanzi: prima "L'ultimo cuba libre" e adesso "All'inferno ci vado in Porsche". E' d'obbligo chiedersi cosa hai fatto prima.



Ho cominciato a scrivere a quindici anni. All'epoca ero appassionato di romanzi dell'orrore: Clive Barker. Stephen King... Scrivevo un racconto al mese. All'inizio erano storie di poche pagine, e man mano si facevano sempre più lunghe. Dopo il diploma, ho cominciato con i primi tentativi di scrivere un romanzo. Ho cominciato a mandare manoscritti agli editori ricevendo in cambio un sacco di lettere di rifiuto. Nel frattempo scrivevo per alcuni quotidiani e riviste. Ma il mio obiettivo è sempre stato scrivere narrativa, così ho tenuto duro, continuando a provare e a mandare manoscritti agli editori. Solo una decina d'anni più tardi, dopo quasi un centinaio di lettere di rifiuto, mi è arrivata la fatidica telefonata della Mursia. "Il suo romanzo ci piace... e lo pubblichiamo" mi ha detto una voce femminile. Non dimenticherò mai quel momento. Per poco non svenivo secco.



La tua è una generazione di svuotati e senza prospettive, persi perennemente tra feste ed esperienze "illecite". La domanda è provocatoria: descrivi bene questa gente perché ne fai parte?



Beh, questi ragazzi io li ho conosciuti, li ho frequentati e ho parlato con loro. Ho intervistato ragazzi che sono usciti dal tunnel della droga, e altri che "ci sono rimasti in mezzo". Avendo meno di trent'anni ed essendo emiliano, ho vissuto i locali notturni dell'Emilia e della Riviera Romagnola, oltre che quelli di Cortina D'Ampezzo, e quindi "ne ho viste tante". Ragazzi che arrivano al punto di affittare la Ferrari o la Lamborghini per fare l'ingresso trionfale in discoteca. Giovani rampolli che si sono ammazzati schiantandosi con la BMW "del papi" una settimana dopo aver preso la patente. Ragazze che vanno a letto con qualcuno per un tiro di coca. Ragazzi che dicono: "Se non mi ubriaco fino a star male, non mi diverto". Tradimenti. Relazioni sentimentali vissute con superficialità ed egoismo. Ne ho viste tante e mi è venuta voglia di fotografare questo mondo nelle pagine di un romanzo – anzi di due, adesso – descrivendolo così com'è, senza fronzoli, senza edulcorare la pillola, tanto che molti critici e molti lettori "vecchio stampo" si sono indignati. Ma li hanno letti. E – soprattutto - molti giovani si sono riconosciuti nei personaggi di L'Ultimo Cuba Libre e di All'inferno ci vado in Porsche. Se faccio parte anch'io di questa gente? Forse in parte. Di sicuro c'è che sono contro ogni tipo di droga perché la vita va vissuta da svegli: stordirsi vuol dire non avere "le palle" di affrontarla.



"Il sorpasso", il film del 1962 di Dino Risi, uno degli affreschi cinematografici più rappresentativi dell'Italia del boom economico, mostrava una generazione alle prese con i primi stimoli del vivere pericolosamente. Credi che ha rappresentato l'inizio dell'ubriacatura attuale?



Credo di sì. Tra l'altro si tratta di un autentico capolavoro, secondo me. Ma credo che gli stimoli siano stati tantissimi: i messaggi trasmessi da televisione, cinema e letteratura, la sessualità diventata ormai una pratica rutinaria e svuotata del suo valore morale, la velocità della comunicazione dalla comparsa di Internet... tutti questi fattori fanno sì che questi giovani sperimentino tutto troppo presto e si sentano come "anestetizzati" nei confronti della vita, finendo per andare alla ricerca di esperienze sempre più violente per "darsi la scossa", o più semplicemente per "provare qualche cosa". Ecco perché io la chiamo "Speed Generation".



Milan Kundera, in un suo famoso libro, "La lentezza", esaltava gli aspetti più "rallentati" del vivere quotidiano. Tu invece esalti la velocità al limite del consentito. Ma c'è qualcosa che sta in mezzo?



È necessario trovare il giusto equilibrio tra la lentezza di Kundera e la velocità spasmodica della Speed Generation. Kundera è un grande scrittore e un grande filosofo, ma la differenza tra la nostra epoca e la sua è abissale e la sua filosofia di vita oggi è secondo me difficilmente applicabile.



Non è che limitandoti a scrivere di una generazione perduta, quando il fatto è acquisito e digerito, rimani senza argomenti e ti troverai di fronte all'ossessione del foglio bianco, terrore di tutti gli scrittori?



Beh, sono un tipo abbastanza versatile. Il prossimo romanzo che uscirà, l'ho già scritto e lo sto correggendo proprio in questo periodo. Si tratta di un romanzo meno "maledetto" e meno "pulp" dei due che sono già usciti, ma parla anche quello dei giovani e del loro mondo: l'amicizia tra due ragazzi, i sogni, i dubbi, le insicurezze e, ovviamente, le ragazze. Del resto, si dice che ciascuno scrive di ciò che conosce, di ciò che ha sperimentato sulla propria pelle...



Domanda provocatoria: sbirciando sul tuo sito, ci si accorge che spesso ti fai fotografare, in occasioni di eventi, con personaggi famosi e anche un po' sfigati. Credi che sia necessario per raggiungere una certa notorietà?



Credo che nel lavoro di scrittore fai successo se sai scrivere e se riesci a "incollare gli occhi del lettore alle pagine", punto. Per rispondere alla domanda, trovo che cose come le foto con i personaggi dello spettacolo e dei reality possano essere divertenti, ma solo a patto che uno non si prenda troppo sul serio e ci metta la giusta dose di autoironia. E se è per quello, io non mi prendo MAI sul serio...



I tuoi trent'anni ti legano a qualche scrittore contemporaneo?



Certo. Primi fra tutti gli americani. Mi piace la scrittura secca e diretta di Hemingay e di Bukowski, il ritmo di Bret Easton Ellis, la capacità di coinvolgere d Jay McInerney, la passione di John Fante, la precisione "extra dry" di Carver. Massimo rispetto anche per gli italiani, s'intende. Brizzi, Nove, Tondelli... l'elenco sarebbe lungo.







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