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CLASSICI

Alfredo Ronci

Profumi di un tempo che fu: 'Un po' di febbre' di Sandro Penna.

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Scrive il poeta a fine libro: Questa silloge di racconti e foglietti sparsi, che da tempo giacevano in un angolo di casa mia, i pochi amici richiedevano con amorevole sollecitudine alla mia pigrizia, vincendo infine le ritrosie a pubblicare ed anche semplicemente a ripercorrere volti e momenti di una vita che mi apparteneva. Poi mi son detto che, se non altro, queste pagine attestano un rapporto febbrile con la realtà e con il mio lavoro di poeta e le ho sistemate, non secondo un ordine cronologico, poco rilevante, ma una progressiva chiarificazione; per il lettore ovviamente e non per me.

E la chiarificazione non è che lo specchio che restituisce ancora una volta intatta la figura di Penna: perché in questo libro, inusitatamente prosa per il poeta perugino e poi romano, vi ritroviamo luoghi, profumi, sensazioni e impressioni della sua inimitabile poetica.

Semmai, a voler essere pignoli, la sistemazione che è stata data ai 'foglietti sparsi', c'è sembrata una sorta di evoluzione della passione.

Mi spiego meglio: già dal primo raccontino, 'Un giorno in campagna', dove compare la figura dell'indimenticabile e selvaggio Quintilio, lo sguardo del poeta è rivolto essenzialmente alla 'sagoma' del soggetto amato, non alla sua essenzialità. Siamo ancora lontani dal desiderio fisico, ci si limita ad un'occhiata, anche se essa stessa essenziale per l'esaltazione del mondo.

Ecco che Penna, nella storia che da il titolo alla silloge, confessa a se stesso: ripassando il giorno dopo davanti al negozio del parrucchiere, e rivedendo quel ragazzetto come tutti gli altri, sporco ed elementare, capì che la febbre può, dopo tutto, esser utile a far della poesia.

Oppure nel 'Racconto geometrico' dove la celebrazione dello scrittore è per la giovinezza tout-court e non per i dettagli di un eventuale tormento: Pensavo come evidenti siano le ragioni dell'amore che tutti portiamo ai giovani. Essi hanno la vita, che a noi tutti piace. E non hanno altro piacere che di scambiarla con la nostra povera noia.

Diventa più pressante la sofferenza per i giovani corpi nella parte finale del libro, dove il grido di dolore del poeta diventa quasi insopportabile e si trova a fare i conti con la fredda matematica: Sono anni che non tocco un ragazzo se non ho la prova della sua età superiore ai sedici anni.

Oppure dove la percezione della 'diversità' diventa straziante: Due ore e più sempre a camminare e durante le quali ho avuto la forza di non toccarlo, di non fare un ragionamento che la triste legge direbbe poi corruttore.

Non mi si fraintenda: pur se nella linea della poesia di Penna Un po' di febbre, come si diceva poc'anzi, raccoglie una serie di impressioni del mondo: da viaggi (soprattutto il ritorno a Perugia, città di nascita; Milano, metropoli poco amata), da semplici passeggiate, improvvisi accadimenti (come nel meraviglioso 'Sulle rive di una marrana' che narra di un ragazzino che litiga con la madre perché ha fatto il bagno in una pozza d'acqua) e da luoghi che appartengono ad un immaginario sempre più lontano (le osterie).

Penna narratore non può discostarsi dal Penna poeta (come potrebbe?) e la bellezza di questa breve e affascinante antologia sta proprio nella comune sintesi: dove i versi del poeta, nella loro fulminante incisività, nel loro classicismo da frammento greco, esprimevano con pochissimo un mondo interiore smisurato, la prosa non si separa affatto da quell'universo e le due entità si sommano in un compendio misurato e nello stesso tempo lancinante.

Ma nel caso di Penna, le parole degli altri che lo accompagnano possono essere troppe, eccessive ed anche inutili. Ne testimonia la sua confessione in 'Tutte storie': Faccio una poesia quasi religiosa, ma sempre partendo dalla contemplazione di un'«umana figura».

Più elementare di così.





L'edizione da noi considerata è:



Sandro Penna

Un po' di febbre

Garzanti - 1973





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