RACCONTI
Fabio Granella
Punti di vista.
<> disse l'uomo biondo all'amico. L'altro non rispose, continuando ad annuire con tristezza.
<> continuò allora l'uomo biondo.
Camminavano lentamente spalla a spalla, come se avessero voluto proteggersi l'un l'altro dalla pioggia e dal vento che gli piombavano addosso in continuazione. Le strade erano deserte e tutta la città era avvolta da una cupo grigiore tipico delle piogge invernali, e l'uomo biondo pensò che forse il mondo era finito.
<> disse. L'altro si alzò il bavero dell'impermeabile scuro e sospirò.
<> disse.
<> replicò l'altro.
Attraversarono la strada con disinvoltura come se stessero passeggiando in un parco, evitando le innumerevoli pozzanghere che si erano formate qua e là. Lo scroscio della pioggia battente era l'unica cosa che riuscivano a sentire intorno a loro.
<> chiese l'uomo biondo. L'altro si pulì il volto imperlato d'acqua e si guardò intorno attentamente.
<> rispose dopo un po'. Raggiunsero il marciapiede sul lato opposto e lo seguirono verso est. A guardarli sembrava che non si rendessero conto del temporale che imperversava sopra le loro teste. Costeggiarono serrande di negozi e portoni, che si alternavano gli uni con gli altri. Un bagliore illuminò il cielo di azzurro per un istante. Ci fu un boato, ma nessuno dei due gli diede peso. L'uomo biondo stava ripensando a Dollaro, e a quando la prima volta a casa di Mary gli era saltato addosso leccandolo con la sua lunga lingua rossa. Era così grande che per poco non lo fece cadere a terra, quella volta.
<> borbottò tra sé e sé.
<> commentò l'altro.
<> disse l'uomo biondo.
All'altezza della vecchia chiesa lasciarono il viale principale e si infilarono in una piccola stradina sulla destra, una traversa in discesa stretta tra file di palazzi.
<> domandò l'uomo biondo.
L'altro si strinse nelle spalle.
<>
L'uomo biondo inspirò a fondo l'aria fredda, e si sforzò di rivedere tutta la scena così come l'aveva vista due mattine prima, quando Mary gli aveva telefonato in lacrime implorandolo di raggiungerla. In un primo momento aveva pensato a qualcosa come un'aggressione. Più tardi avrebbe scoperto di aver pensato quasi bene: l'aggressione c'era stata, ma non su di lei, bensì su Dollaro, quel simpatico dalmata che lui le aveva regalato insieme all'anello di fidanzamento tre anni prima.
Per tutte le ore precedenti a quella si era sforzato di ricordare la scena nei minimi dettagli senza riuscirci, ma in quel momento gli comparve perfetta e nitida come una fotografia, e senza il minimo sforzo. Dollaro se ne stava con la lingua a penzoloni, la stessa lingua che aveva leccato tante volte lui e altrettante lei, con una corda di canapa saldamente stretta attorno al collo e fissata all'estremità al ramo di un albero in giardino. Il suo corpo maculato penzolava sotto l'ombra del grande noce come un cencio o un fantoccio di pezza, e i singhiozzi di Mary inginocchiata sull'erba rendevano il tutto ancora più macabro e raccapricciante. Le parole dell'altro dissolsero quell'immagine in un istante.
<>
L'uomo biondo scosse la testa. Non aveva scoperto un accidente. Lui (come anche la squadra mobile inviata sul posto dai vicini qualche minuto dopo il suo arrivo), aveva tempestato di domande Mary al punto di esasperarla e anche dopo, finchè lei stremata e affranta gli aveva urlato in faccia il suo ultimo "Non lo so!" seguito dalla colorita espressione che si usa solitamente per mandare al diavolo qualcuno. Aveva provato anche a parlare con i vicini, ma niente. Buchi nell'acqua da tutte le parti. Le conclusioni alle quali stava giungendo la polizia erano che Dollaro fosse stato vittima di un gruppo di teppistelli di passaggio.
<> interrogò l'altro.
<>
<>
<>
La pioggia diminuì gradualmente, ma quando se la lasciarono alle spalle infilandosi in un portone, ancora cadeva dal cielo con una certa regolarità.
L'androne nel quale si trovavano era vecchio e puzzava di straccio sporco e cenere di sigaretta. Delle tre luci al neon sopra le loro teste due erano fulminate e la terza si accendeva e si spegneva ritmicamente. Alla loro sinistra una fila di cassette postali era abbarbicata su un muro verdastro e scrostato. L'uomo biondo ci avvicinò il volto chinando leggermente la testa, e domandò:
<>
<>
Passò in rassegna una cassetta dietro l'altra strizzando gli occhi per la poca luce e leggendo i cognomi riportati sulle targhette ingiallite dal tempo, mentre l'amico scrutava la strada all'esterno dei vetri inzaccherati d'acqua del portone.
<> disse l'uomo biondo picchiettando l'indice su una delle cassette. L'altro tirò fuori dalla tasca interna dell'impermeabile un pacchetto di sigarette ancora avvolto dal cellophane, lo scartò infilandosi la carta nella tasca e tirò fuori una sigaretta. L'accese quando insieme cominciarono a salire la prima rampa di scale. L'uomo biondo era in testa. Sentiva le sue scarpe da ginnastica scricchiolare sul marmo per colpa dell'acqua. Nessuno dei due parlò più. Salirono lentamente un gradino dietro l'altro fino al primo pianerottolo, dove l'uomo che chiudeva la fila indiana controllò i numeri riportati sugli stipiti delle porte e fece cenno all'uomo biondo di proseguire. A metà della seconda rampa tutte le scale si illuminarono di un azzurro elettrico, e un secondo boato fece vibrare il vetro di qualche finestra sopra di loro. Raggiunsero il secondo piano gocciolando acqua, e stavolta bastò un'occhiata per intercettare l'appartamento.
L'uomo biondo lo indicò con due dita e si avvicinò con larghi passi, tentando di equilibrare alla meglio il peso del suo corpo per affievolire quel fastidioso scricchiolio. L'altro uomo soffiò fuori una nuvola di fumo denso e gettò la sigaretta in un po' d'acqua che s'era formata sul pavimento, dopodiché presero entrambi posizione di fronte alla porte. L'uomo biondo bussò energicamente tre volte, poi unì le mani all'altezza del ventre e attese paziente la risposta, che arrivò sordamente pochi secondi dopo. Una voce rauca gli chiese chi fosse.
Venti minuti prima di rispondere a quei tre colpi sulla porta, il signor Marco La Rosa se ne stava sprofondato nel suo divano viola in una stanza buia di fronte ad un televisore, con le spalle rivolte alla finestra e al temporale. Il primo tuono gli aveva fatto perdere la battuta detta da Clint Eastwood a un gruppo di uomini di colore armati all'interno di una tavola calda, cosicché dopo aver imprecato aveva dovuto alzare il volume di un paio di tacche. A metà del primo tempo si era alzato ed aveva attraversato la cucina dove sua moglie Michela stava friggendo qualcosa, diretto verso il bagno. Passò alle spalle di sua moglie, le accarezzò i fianchi e le sussurrò qualcosa all'orecchio, qualcosa che la fece intenerire e sorridere imbarazzata come la timida ragazzina di campagna che un tempo era stata prima di conoscere lui. Si diedero un tenero bacio da adolescenti, poi lui proseguì verso il bagno dal quale ne uscì cinque minuti dopo accompagnato dallo scroscio dell'acqua del water.
<> gli disse Michela continuando a tagliuzzare qualcosa per poi gettare il tutto nella padella sul fuoco. Il signor La Rosa ritornò sui propri passi e disse:
<>
<> gli sorrise lei. Lui si fermò sulla soglia della porta e si voltò a guardarla. <> le sorrise lui, strizzandole l'occhio. Dopodiché ritornò alla sua poltrona viola e alla sua televisione, aspettando con una certa trepidazione che quel profumo d'aglio che aveva sentito in cucina si trasformasse presto in una vagonata di sugo con il quale innaffiare gli spaghetti. Poco dopo un secondo tuono scoppiò fuori dalla finestra, ma stavolta non coprì il volume del televisore, e il signor La Rosa ne fu soddisfatto. Continuò a seguire il film assentandosi dalla realtà, finchè qualcuno bussò. Nonostante lui fosse il più vicino dei due alla porta d'ingresso, fu Michela ad udire per prima i colpi.
<> lo informò. Il signor La Rosa borbottò qualcosa tra sé e sé ed abbassò il volume.
<> domandò con voce rauca pochi secondi dopo.
<>
Non fu tanto la risposta in sé ad avergli provocato quel leggero brivido lungo la schiena, quanto il modo di pronunciare quella parola, "amici", una risposta meccanica priva di enfasi o di spessore, come se ad averla pronunciata fosse stata una macchina o uno di quei robot che aveva visto la sera prima in un film con Will Smith.
<> domandò allora. Ora il cuore aveva preso a battergli più forte. Si sentì agitato. Sua moglie smise di tagliuzzare e restò in ascolto, incuriosita.
<> disse la voce. Ora sembrava parlare con un tono amichevole, quasi rassicurante, come se avesse voluto sottolineare tutti i benefici che lui avrebbe ricevuto seguendo quella specie di consiglio. Questo lo fece tranquillizzare abbastanza da alzarsi in piedi, barcollare verso la porta e togliere il chiavistello. Quando fu sul punto di spalancarla si bloccò, forse frenato da un sano istinto di sopravvivenza, e l'aprì in uno spiraglio sbirciando fuori. In piedi a pochi centimetri dai suoi occhi vedeva indistintamente una figura scura e uno spicchio di faccia giovane che sembrava non appartenere a nessuno di sua conoscenza.
<> domandò di nuovo, confuso.
L'uomo si grattò i capelli biondi e con fare disinvolto e sicuro allungò la scarpa infilandola nella fessura della porta, e fece cenno all'amico. L'altro uomo si sistemò l'impermeabile sulle spalle, indietreggiò, e poi con un scatto incredibilmente veloce allungò la gamba e la lanciò con forza contro la porta, spalancandola in un sordo tonfo. Il signor La Rosa, benché pesasse la bellezza di ottantatre chili, fu colto di sorpresa e venne sbalzato a un metro di distanza, incespicando sui suoi passi nel tentativo di non cadere. Urtò contro il tavolino di mogano pieno di cornici, e alcune di esse caddero a terra e lui le calpestò involontariamente sentendo il sordo rumore del vetro rotto sotto i propri piedi. Si sostenne al tavolo con le mani e la schiena, e di fronte ai suoi occhi vide due uomini in impermeabile scuro venirgli incontro e richiudersi la porta alle spalle. La signora Michela, che aveva assistito alla scena, restò pietrificata a guardare, come se stesse assistendo alla scena di un film, rapita. Quando il signor La Rosa si rese conto della situazione, e le urlò di correre in camera sua, si risvegliò dal suo stupore e, visti i due uomini in nero, lanciò una serie di gridi strozzati reggendosi le guance con le sottili mani bianche.
<>
<> le urlò di nuovo il marito. Ma lei continuò ad urlare terrorizzata.
L'uomo biondo la ammonì con uno sguardo severo.
<> le ordinò. Ma la signora Michela non riusciva, non poteva, era troppo spaventata per trattenere tutta la paura che improvvisamente le era esplosa dentro come un terribile veleno.
<>
L'altro uomo afferrò il signor La Rosa per i capelli e gli sussurrò di far tacere sua moglie, ma l'uomo biondo non gli diede neanche il tempo di voltarsi a guardarla un'ultima volta. In un istante tirò fuori qualcosa, e quel qualcosa esplose due volte mettendo per sempre a tacere le urla stridule della signora Michela. Due proiettili le perforarono il cranio all'altezza della fronte e lei intrecciò gli occhi istintivamente come se avesse voluto guardare ciò che stava accadendo lassù, una frazione di secondo prima di cadere rovinosamente al suolo di faccia, come un albero appena tagliato.
Poi ci fu il silenzio.
<> balbettò il signor La Rosa. L'uomo che lo teneva ancora saldamente per i capelli scosse la testa sconsolato, quindi lo lasciò andare e tornò al fianco dell'uomo biondo, che nel frattempo aveva abbassato la pistola lungo la gamba e fissava il signor La Rosa con uno sguardo che proveniva da molto lontano.
<> disse con voce flebile, <> affermò in tono importante. La Rosa spostò lo sguardo a destra e a sinistra, negli occhi di questo e negli occhi di quest'altro, shockato. Quando guardò di nuovo il corpo di sua moglie che giaceva tra la cucina e il salotto a faccia in giù, con la testa affondata in una pozzanghera di sangue nero, ripetè: <> poi gridò il nome della moglie e fece uno scatto felino nella sua direzione per raggiungerla, forse per abbracciarla, per tentare di svegliarla da quell'incubo e accarezzarle di nuovo i fianchi, e baciarla ancora una volta. Ma i due uomini lo afferrarono prontamente per le spalle, e lo bloccarono di nuovo contro il tavolino. Il signor La Rosa urlò.
<>
L'altro uomo gli mollò un ceffone sulle sue guance morbide e cascanti, facendogli diventare mezzo viso porpora, ma il signor La Rosa era così distrutto che ormai l'uomo biondo capì che nel suo cervello doveva essersi rotto qualcosa di irreparabile. Pertanto, mentre quello continuava ad urlare e a singhiozzare, alzò di nuovo la pistola e gliela spinse contro il ventre molle e sporgente.
Lo sentì grugnire, e l'uomo biondo si ricordò di quando da piccolo, con suo nonno, vide per la prima sgozzare un maiale in quella vecchia fattoria sulla montagna. Ricordò quando il nonno trascinò sulla neve il maiale fin dentro la stanza, tingendo la strada bianca del sangue suino come in un film dell'orrore.
La Rosa farfugliò cose sconnesse e senza senso.
<> disse l'uomo biondo, pur conscio del fatto che quello non stava capendo una sola parola di ciò che gli veniva detto. L'uomo biondo tirò il grilletto e la pallottola oltrepassò la pancia molle come un coltello caldo trapassa un panetto di burro, distruggendo tutto ciò che trovò sul suo cammino. La Rosa gorgogliò, il suo mento si tinse di scuro e gocciolò sangue, ma lui continuò ad urlare e a chiamare la moglie finchè non cadde in ginocchio e cominciò a fare dei strani versi dalla pancia e dalla bocca, come dei gorgogli di una pentola che bolle sul fuoco.
Agonizzante a terra, sembrò tornare improvvisamente lucido: allungò una mano verso i due uomini per chiedere aiuto probabilmente, o forse per chiedere il colpo di grazia. Non ottenne nessuno dei due, in ogni caso. Fu lasciato sdraiato in terra, a due metri dal suo divano viola e a cinque da sue moglie Michela, mentre Clint Eastwood sorrideva beffardo sullo schermo dietro di lui, la pioggia batteva piano contro il vetro della finestra, e un bambino si guardava intorno divertito da una fotografia sul pavimento.
I due uomini scesero l'ultima rampa di scale e attraversarono di nuovo l'ampio androne puzzolente, finchè non tornarono all'aria aperta che sapeva di pioggia e malinconia. Il cielo era di un grigio così scuro che metteva paura. Ripresero la strada che avevano percorso all'andata in silenzio, fianco a fianco, calpestando pozze e rivoli d'acqua che correvano lungo i canali di scolo dei marciapiedi. L'uomo biondo scosse la testa in segno di disapprovazione.
<> sospirò. Poi estrasse il cellulare dalla tasca dei jeans e telefonò a Mary per assicurarsi che stesse bene.
Fabio Granella
Nato a Tivoli ma residente a Roma da quando era bambino. Folgorato dalla lettura de L'isola Misteriosa, da allora non ha più smesso di leggere. Ora adora King, Bukowski, Fante, Salinger, Kerouac, e qualche classico del calibro di Dostoevskij, Golding, Celine, Joyce e naturalmente Hemingway.
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Camminavano lentamente spalla a spalla, come se avessero voluto proteggersi l'un l'altro dalla pioggia e dal vento che gli piombavano addosso in continuazione. Le strade erano deserte e tutta la città era avvolta da una cupo grigiore tipico delle piogge invernali, e l'uomo biondo pensò che forse il mondo era finito.
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Attraversarono la strada con disinvoltura come se stessero passeggiando in un parco, evitando le innumerevoli pozzanghere che si erano formate qua e là. Lo scroscio della pioggia battente era l'unica cosa che riuscivano a sentire intorno a loro.
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All'altezza della vecchia chiesa lasciarono il viale principale e si infilarono in una piccola stradina sulla destra, una traversa in discesa stretta tra file di palazzi.
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L'altro si strinse nelle spalle.
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L'uomo biondo inspirò a fondo l'aria fredda, e si sforzò di rivedere tutta la scena così come l'aveva vista due mattine prima, quando Mary gli aveva telefonato in lacrime implorandolo di raggiungerla. In un primo momento aveva pensato a qualcosa come un'aggressione. Più tardi avrebbe scoperto di aver pensato quasi bene: l'aggressione c'era stata, ma non su di lei, bensì su Dollaro, quel simpatico dalmata che lui le aveva regalato insieme all'anello di fidanzamento tre anni prima.
Per tutte le ore precedenti a quella si era sforzato di ricordare la scena nei minimi dettagli senza riuscirci, ma in quel momento gli comparve perfetta e nitida come una fotografia, e senza il minimo sforzo. Dollaro se ne stava con la lingua a penzoloni, la stessa lingua che aveva leccato tante volte lui e altrettante lei, con una corda di canapa saldamente stretta attorno al collo e fissata all'estremità al ramo di un albero in giardino. Il suo corpo maculato penzolava sotto l'ombra del grande noce come un cencio o un fantoccio di pezza, e i singhiozzi di Mary inginocchiata sull'erba rendevano il tutto ancora più macabro e raccapricciante. Le parole dell'altro dissolsero quell'immagine in un istante.
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L'uomo biondo scosse la testa. Non aveva scoperto un accidente. Lui (come anche la squadra mobile inviata sul posto dai vicini qualche minuto dopo il suo arrivo), aveva tempestato di domande Mary al punto di esasperarla e anche dopo, finchè lei stremata e affranta gli aveva urlato in faccia il suo ultimo "Non lo so!" seguito dalla colorita espressione che si usa solitamente per mandare al diavolo qualcuno. Aveva provato anche a parlare con i vicini, ma niente. Buchi nell'acqua da tutte le parti. Le conclusioni alle quali stava giungendo la polizia erano che Dollaro fosse stato vittima di un gruppo di teppistelli di passaggio.
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La pioggia diminuì gradualmente, ma quando se la lasciarono alle spalle infilandosi in un portone, ancora cadeva dal cielo con una certa regolarità.
L'androne nel quale si trovavano era vecchio e puzzava di straccio sporco e cenere di sigaretta. Delle tre luci al neon sopra le loro teste due erano fulminate e la terza si accendeva e si spegneva ritmicamente. Alla loro sinistra una fila di cassette postali era abbarbicata su un muro verdastro e scrostato. L'uomo biondo ci avvicinò il volto chinando leggermente la testa, e domandò:
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Passò in rassegna una cassetta dietro l'altra strizzando gli occhi per la poca luce e leggendo i cognomi riportati sulle targhette ingiallite dal tempo, mentre l'amico scrutava la strada all'esterno dei vetri inzaccherati d'acqua del portone.
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L'uomo biondo lo indicò con due dita e si avvicinò con larghi passi, tentando di equilibrare alla meglio il peso del suo corpo per affievolire quel fastidioso scricchiolio. L'altro uomo soffiò fuori una nuvola di fumo denso e gettò la sigaretta in un po' d'acqua che s'era formata sul pavimento, dopodiché presero entrambi posizione di fronte alla porte. L'uomo biondo bussò energicamente tre volte, poi unì le mani all'altezza del ventre e attese paziente la risposta, che arrivò sordamente pochi secondi dopo. Una voce rauca gli chiese chi fosse.
Venti minuti prima di rispondere a quei tre colpi sulla porta, il signor Marco La Rosa se ne stava sprofondato nel suo divano viola in una stanza buia di fronte ad un televisore, con le spalle rivolte alla finestra e al temporale. Il primo tuono gli aveva fatto perdere la battuta detta da Clint Eastwood a un gruppo di uomini di colore armati all'interno di una tavola calda, cosicché dopo aver imprecato aveva dovuto alzare il volume di un paio di tacche. A metà del primo tempo si era alzato ed aveva attraversato la cucina dove sua moglie Michela stava friggendo qualcosa, diretto verso il bagno. Passò alle spalle di sua moglie, le accarezzò i fianchi e le sussurrò qualcosa all'orecchio, qualcosa che la fece intenerire e sorridere imbarazzata come la timida ragazzina di campagna che un tempo era stata prima di conoscere lui. Si diedero un tenero bacio da adolescenti, poi lui proseguì verso il bagno dal quale ne uscì cinque minuti dopo accompagnato dallo scroscio dell'acqua del water.
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Non fu tanto la risposta in sé ad avergli provocato quel leggero brivido lungo la schiena, quanto il modo di pronunciare quella parola, "amici", una risposta meccanica priva di enfasi o di spessore, come se ad averla pronunciata fosse stata una macchina o uno di quei robot che aveva visto la sera prima in un film con Will Smith.
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L'uomo si grattò i capelli biondi e con fare disinvolto e sicuro allungò la scarpa infilandola nella fessura della porta, e fece cenno all'amico. L'altro uomo si sistemò l'impermeabile sulle spalle, indietreggiò, e poi con un scatto incredibilmente veloce allungò la gamba e la lanciò con forza contro la porta, spalancandola in un sordo tonfo. Il signor La Rosa, benché pesasse la bellezza di ottantatre chili, fu colto di sorpresa e venne sbalzato a un metro di distanza, incespicando sui suoi passi nel tentativo di non cadere. Urtò contro il tavolino di mogano pieno di cornici, e alcune di esse caddero a terra e lui le calpestò involontariamente sentendo il sordo rumore del vetro rotto sotto i propri piedi. Si sostenne al tavolo con le mani e la schiena, e di fronte ai suoi occhi vide due uomini in impermeabile scuro venirgli incontro e richiudersi la porta alle spalle. La signora Michela, che aveva assistito alla scena, restò pietrificata a guardare, come se stesse assistendo alla scena di un film, rapita. Quando il signor La Rosa si rese conto della situazione, e le urlò di correre in camera sua, si risvegliò dal suo stupore e, visti i due uomini in nero, lanciò una serie di gridi strozzati reggendosi le guance con le sottili mani bianche.
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L'uomo biondo la ammonì con uno sguardo severo.
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L'altro uomo afferrò il signor La Rosa per i capelli e gli sussurrò di far tacere sua moglie, ma l'uomo biondo non gli diede neanche il tempo di voltarsi a guardarla un'ultima volta. In un istante tirò fuori qualcosa, e quel qualcosa esplose due volte mettendo per sempre a tacere le urla stridule della signora Michela. Due proiettili le perforarono il cranio all'altezza della fronte e lei intrecciò gli occhi istintivamente come se avesse voluto guardare ciò che stava accadendo lassù, una frazione di secondo prima di cadere rovinosamente al suolo di faccia, come un albero appena tagliato.
Poi ci fu il silenzio.
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L'altro uomo gli mollò un ceffone sulle sue guance morbide e cascanti, facendogli diventare mezzo viso porpora, ma il signor La Rosa era così distrutto che ormai l'uomo biondo capì che nel suo cervello doveva essersi rotto qualcosa di irreparabile. Pertanto, mentre quello continuava ad urlare e a singhiozzare, alzò di nuovo la pistola e gliela spinse contro il ventre molle e sporgente.
Lo sentì grugnire, e l'uomo biondo si ricordò di quando da piccolo, con suo nonno, vide per la prima sgozzare un maiale in quella vecchia fattoria sulla montagna. Ricordò quando il nonno trascinò sulla neve il maiale fin dentro la stanza, tingendo la strada bianca del sangue suino come in un film dell'orrore.
La Rosa farfugliò cose sconnesse e senza senso.
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Agonizzante a terra, sembrò tornare improvvisamente lucido: allungò una mano verso i due uomini per chiedere aiuto probabilmente, o forse per chiedere il colpo di grazia. Non ottenne nessuno dei due, in ogni caso. Fu lasciato sdraiato in terra, a due metri dal suo divano viola e a cinque da sue moglie Michela, mentre Clint Eastwood sorrideva beffardo sullo schermo dietro di lui, la pioggia batteva piano contro il vetro della finestra, e un bambino si guardava intorno divertito da una fotografia sul pavimento.
I due uomini scesero l'ultima rampa di scale e attraversarono di nuovo l'ampio androne puzzolente, finchè non tornarono all'aria aperta che sapeva di pioggia e malinconia. Il cielo era di un grigio così scuro che metteva paura. Ripresero la strada che avevano percorso all'andata in silenzio, fianco a fianco, calpestando pozze e rivoli d'acqua che correvano lungo i canali di scolo dei marciapiedi. L'uomo biondo scosse la testa in segno di disapprovazione.
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Fabio Granella
Nato a Tivoli ma residente a Roma da quando era bambino. Folgorato dalla lettura de L'isola Misteriosa, da allora non ha più smesso di leggere. Ora adora King, Bukowski, Fante, Salinger, Kerouac, e qualche classico del calibro di Dostoevskij, Golding, Celine, Joyce e naturalmente Hemingway.
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