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Il Paradiso degli Orchi
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ATTUALITA'

Stefano Torossi

Roma, venti secoli di misteri

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Domenica 1 gennaio 2017, quarantamila visitatori in giro per i Fori. Noi c’eravamo: una folla da stadio, da fare a gomitate fra il tempio di Saturno e la Basilica di Massenzio.
Gratis e col sole, certo, ma quarantamila al giorno farebbero una media di quattordicimilioniseicentomila presenze in un anno, un quarto di tutti gli italiani.
E i giornali, giù con la solita tiritera sull’arte: il petrolio dell’Italia; la cultura e le bellezze naturali: il nostro capitale non sfruttato. Insomma è come risentire le lamentele della nonna semisclerotica la quale (che noia mortale) sono quasi cent’anni che si ripete sempre uguale.
Oh, intendiamoci, noi siamo d’accordo con la nonna. Anzi, saremmo per la demolizione totale di Via dei Fori Imperiali, per la pedonalizzazione del centro storico, e così via, ma non ci pare che sul tema si stia facendo un gran che.
Però siamo anche per l’estensione dell’interesse dei romani e dei turisti (e questo purtroppo non si riesce a decidere per legge) a qualche obiettivo un po’ fuori dai soliti giri.
Per esempio, qualche giorno fa, sempre col sole e l’aria tersa, abbiamo fatto due passi fuori porta, e siamo arrivati a Veio, roba di venti minuti di strada e venti secoli di storia.
Veio. Si, il posto è giusto. Su questo brullissimo ripiano c’era una volta Veio, una città etrusca abbastanza forte da essere un problema per Roma che invece era ancora troppo moscia. Poi, come sappiamo, Roma diventò più robusta e, schiacciata per bene sotto il tacco di SPQR, Veio scomparve. Per riaffiorare poco dopo come una brillante piccola colonia romana, ricca di ville e di santuari.
Solo che tutto quello che c’era è stato sradicato e portato in città, sana abitudine per i romani di tutte le epoche, con in più il vantaggio che in questo caso le distanze erano minime e il trasporto economico.
Le candide colonne di Palazzo Wedekind, dove adesso c’è “Il Tempo”, vengono da Veio. Le dodici elegantissime colonnine di marmo bigio chiaro della cappella di S. Benedetto nella Basilica di San Paolo fuori le mura vengono da Veio. La meravigliosa (aperta parentesi: è una di quelle opere che, già belle in foto, diventano magnifiche dal vero) statua fittile di Apollo viene da Veio e riempie del suo splendore una sala del Museo Etrusco di Villa Giulia.
Come è possibile che di una città non grande ma comunque monumentale, viste le molte opere che ne sono uscite a suo tempo, tranne lo spirito della storia, non sia rimasto neanche un sasso?
Misteri di Roma. Che a distanza di più di due millenni si ripetono imperscrutabili, anche se in un contesto un po’ diverso. Leggere per credere.

Appuntamento all’Anagrafe
Forse, ci siamo detti, la gestione Raggi non è poi così male. Non è possibile che non funzioni proprio niente. Andiamo a verificare
A fine 2016 ci è scaduta la carta di identità. Ecco il momento di entrare davvero nel futuro di Roma; e così ce ne andiamo all’Anagrafe, un bell’edificio in stile razionalista costruito a fine anni trenta dopo aver fatto piazza pulita delle casupole medievali che occupavano la spazio fra il Teatro di Marcello, S. Nicola in Carcere e il Tempio di Portunno.
File; certo, ma non apocalittiche. In compenso lo stanzone degli sportelli è tappezzato in ogni angolo da due tipi di poster. Il primo si dilunga sulla descrizione e sulle conseguenze del reato di “Offesa a pubblico ufficiale” (evidentemente c’è più d’un cittadino che perde le staffe a contatto con  i riti della burocrazia); l’altro mette in guardia sul fatto che la richiesta della carta di identità elettronica “può provocare dei ritardi nel sistema”; testuale.
“Bene - dichiariamo allo sportello - allora ci accontentiamo di quella cartacea”. “Eh no, non si può più. Bisogna fare per forza quella elettronica”. Occhèi. Malgrado la minaccia dei poster, ci stiamo. Dopo tutto è il nuovo che avanza!
L’impiegato, tra il gentile e il rassegnato, con un vaghissimo sorriso in agguato sotto i baffi, visto che siamo entrati nell’era della tecnologia, ci consegna come ricevuta da presentare al ritiro un foglietto ritagliato a mano da vecchi elenchi degli uffici (sul retro ci sono nomi e indirizzi di sconosciuti), e questo fa onore alla politica di risparmio dell’amministrazione.
Ma quello che ci fa piombare nella fantascienza sono le istruzioni per ritirare il documento. Presentarsi, dice il foglietto, il 31 gennaio 2017 alle ore dodici, cinquantaquattro minuti e, sembra, trentadue secondi - 12h54’32” (foto). Una precisione, appunto da era supertecnologica.
Però, ci ha confermato, sempre ridacchiando sotto i baffi, l’impiegato, l’appuntamento è lo stesso per tutti quelli che richiedono il rinnovo della carta di identità nel mese di gennaio.
Con un senso di malcelato terrore ci aspettiamo una scena sul tipo dei giudizi universali che coprono le pareti delle chiese medievali: un’immane schiera di peccatori tenuti a bada dalle trombe degli arcangeli; ognuno in attesa di vedere riconosciuta la propria identità dal supercomputer universale (Dio?), che lavora forse anche sull’eternità, ma di sicuro su giorni, minuti e secondi.
E’ chiaro che l’appuntamento è da considerarsi esteso anche a voi lettori perché, qualunque sia l’evoluzione dell’evento, ve ne promettiamo una cronaca precisa e puntuale.



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