CLASSICI
Adriano Angelini Sut
Se i romanzi di De Pascalis diventano subito dei classici. Come 'Rosso Velabro'.
Che io sappia, nella narrativa italiana scrittori come Luigi De Pascalis non ci sono. Nel senso, non ci sono scrittori che non soltanto mostrano un forte talento nella scrittura in sé ma che si divertono a creare storie che sfuggono ai generi di riferimento. Sul nostro sito abbiamo tessuto le lodi del romanzo, "realista" La pazzia di Dio, uscito nel 2010 per La Lepre Edizioni. Sempre per la stessa casa editrice, alcuni mesi prima era riuscito questo Rosso velabro , sottotitolo "Delitti e magia nera nella Roma del IV secolo" (la prima edizione era stata pubblicata nel 2003). Qui De Pascalis ritorna a quello che pare essere il suo genere di riferimento, il fantastico, ma personalmente non riuscirei a definirlo in questo modo. De Pascalis viene considerato "fantastico" semplicemente perché nelle sue storie si incontrano il mondo degli uomini e quello degli dèi che, come ci ricorda la Bibbia, un tempo vivevano assieme sulla Terra. (Un tempo?)
In questo affascinante romanzo, lo scrittore abruzzese, esperto di Storia, fornisce uno spaccato impeccabile della Roma sotto un imperatore considerato minore (eccellenti le ricostruzioni di usi, costumi, ambienti, nomi, alimenti; al termine del libro ci sono anche un glossario, una tabella con la distinzione del giorno in ore romane e il calendario di Giulio Cesare secondo i Saturnali di Macrobio); quel Giuliano che i cattolici vincitori di quel periodo hanno faziosamente definito l'apostata (come ricorda Gianfranco De Turris nella postfazione), e che ha tentato per quel che gli fu possibile di contenere l'avanzata delle terribili e deleterie armate cristiane; in una faida interna all'Impero che ha segnato, proprio con la sconfitta del nipote di Costantino, la storia dell'Occidente.
A narrare gli eventi c'è Alipio Celso, aiutante dell'aedilis Caio Celso, cioè il magistrato incaricato di compiere le indagini in questo intrigato caso. I protagonisti della storia sono dei personaggi misteriosi e per questo fortemente attraenti. C'è Mnestere, il bell'attore che viene coinvolto in un inquietante quanto macabro omicidio, quello di Domizia, la sposa del potente prefetto Lavinio Regolo con la quale intratteneva una relazione segreta, e dove perderanno la vita anche uno schiavo, Timarco, e l'ancella di Domizia, Prima. Il delitto efferato conduce Caio Celso in un tourbillon di situazioni al limite.
De Pascalis ci porta così in una Roma decadente, viziosa ed esoterica, lì dove ai riti di iniziazione mitraica si affiancavano nottate brave nei postriboli, fugaci apparizioni nelle terme e maleodoranti incontri con megere potenti, come Crobila, la mamma di un roccioso e poco accorto gladiatore, Stratofonte. Ma non basta. A segnare le sorti e i destini di questa Roma che cova nel torbido non ci sono soltanto le strategie degli uomini politici come Lavinio o come il viscido e Machiavellico Giuinio Bruto. Ci sono gli dèi in carne e ossa (meglio dire, gli dèi che possiedono gli umani in carne e ossa e quelli che si manifestano con una corporeità mostruosa). La guerra fra pagani/mitraici e cristiani passa dunque per l'Ade e per le armate silenziose che, con gli dèi, tramano. Per cui, se Crobila tenta di evocare la ferocia di Vanth (la dèa etrusca del destino) che chiede sacrifici in bambini e agisce tramite i suoi messaggeri Tuchulca e Charun, dall'altro uomini e dèi "buoni" devono scendere negli inferi per affrontare la loro ombra minacciosa. Ma l'epoca è nefasta. Il caos non solo minaccia l'Impero, ma le vite dei suoi cittadini, e De Pascalis, con una prosa raffinata e sempre attenta a scegliere i termini appropriati, sembra narrarci i fatti del nostro tempo, in un rincorrersi ciclico di situazioni estreme, in cui, anche se non ce ne accorgiamo, si scontrano e si incastrano le forze visibili e invisibili dell'esistenza.
Le vicende di Caio Celso, che da detective navigato sa che l'indagine non può svolgersi solo nel mondo del visibile ed è "aperto" ad altre vie, ci conducono dunque dentro la storia d'Occidente. La Roma dell'Isola Tiberina, coi suoi malati, dei vicoli coi suoi balordi, degli aristocratici sbruffoni e cinicamente vili, è una città molto più eterna di quanto si pensi, esattamente come la Roma attuale. Al suo interno, tutto viene mescolato, macinato, digerito, trasformato. Ai suoi bordi, l'autore pone l'occhio vigile e attento di uno dei suoi padri imprescindibili, quell'imperatore Adriano che, sulle pagine di De Pascalis, viene riportato in vita dal custode liberto di Villa Adriana e dei suoi segreti, Calpurniano. E' lì che si controlla che le cose si svolgano come si devono svolgere, anche quando, con la sconfitta dei mitraici ad opera dei cristiani, sembra che la Storia prenda un corso nefasto e l'umanità regredisca nella sua più cupa ignoranza. Non importa. Anche la discesa negli inferi dell'esistenza in cui il Cristianesimo, secondo quanto riporta De Pascalis, sembra aver gettato gli esseri umani, fa parte del grande disegno che uomini e dèi, consapevoli o meno (forse più meno, se ci passate il gioco) sembrano costretti a portare a compimento.
Rosso Velabro è un romanzo che ci insegna che la Storia, nei momenti cruciali, abbatte i confini fra il reale e il sogno, fra l'alto e il basso, fra il mondo di sopra e il mondo di sotto. Alla ricerca di un equilibrio che, per essere tale, può servirsi di tutti i mezzi a disposizione.
L'edizione da noi considerata è:
Luigi De Pascalis
Rosso Velabro
La lepre edizioni - 2010
In questo affascinante romanzo, lo scrittore abruzzese, esperto di Storia, fornisce uno spaccato impeccabile della Roma sotto un imperatore considerato minore (eccellenti le ricostruzioni di usi, costumi, ambienti, nomi, alimenti; al termine del libro ci sono anche un glossario, una tabella con la distinzione del giorno in ore romane e il calendario di Giulio Cesare secondo i Saturnali di Macrobio); quel Giuliano che i cattolici vincitori di quel periodo hanno faziosamente definito l'apostata (come ricorda Gianfranco De Turris nella postfazione), e che ha tentato per quel che gli fu possibile di contenere l'avanzata delle terribili e deleterie armate cristiane; in una faida interna all'Impero che ha segnato, proprio con la sconfitta del nipote di Costantino, la storia dell'Occidente.
A narrare gli eventi c'è Alipio Celso, aiutante dell'aedilis Caio Celso, cioè il magistrato incaricato di compiere le indagini in questo intrigato caso. I protagonisti della storia sono dei personaggi misteriosi e per questo fortemente attraenti. C'è Mnestere, il bell'attore che viene coinvolto in un inquietante quanto macabro omicidio, quello di Domizia, la sposa del potente prefetto Lavinio Regolo con la quale intratteneva una relazione segreta, e dove perderanno la vita anche uno schiavo, Timarco, e l'ancella di Domizia, Prima. Il delitto efferato conduce Caio Celso in un tourbillon di situazioni al limite.
De Pascalis ci porta così in una Roma decadente, viziosa ed esoterica, lì dove ai riti di iniziazione mitraica si affiancavano nottate brave nei postriboli, fugaci apparizioni nelle terme e maleodoranti incontri con megere potenti, come Crobila, la mamma di un roccioso e poco accorto gladiatore, Stratofonte. Ma non basta. A segnare le sorti e i destini di questa Roma che cova nel torbido non ci sono soltanto le strategie degli uomini politici come Lavinio o come il viscido e Machiavellico Giuinio Bruto. Ci sono gli dèi in carne e ossa (meglio dire, gli dèi che possiedono gli umani in carne e ossa e quelli che si manifestano con una corporeità mostruosa). La guerra fra pagani/mitraici e cristiani passa dunque per l'Ade e per le armate silenziose che, con gli dèi, tramano. Per cui, se Crobila tenta di evocare la ferocia di Vanth (la dèa etrusca del destino) che chiede sacrifici in bambini e agisce tramite i suoi messaggeri Tuchulca e Charun, dall'altro uomini e dèi "buoni" devono scendere negli inferi per affrontare la loro ombra minacciosa. Ma l'epoca è nefasta. Il caos non solo minaccia l'Impero, ma le vite dei suoi cittadini, e De Pascalis, con una prosa raffinata e sempre attenta a scegliere i termini appropriati, sembra narrarci i fatti del nostro tempo, in un rincorrersi ciclico di situazioni estreme, in cui, anche se non ce ne accorgiamo, si scontrano e si incastrano le forze visibili e invisibili dell'esistenza.
Le vicende di Caio Celso, che da detective navigato sa che l'indagine non può svolgersi solo nel mondo del visibile ed è "aperto" ad altre vie, ci conducono dunque dentro la storia d'Occidente. La Roma dell'Isola Tiberina, coi suoi malati, dei vicoli coi suoi balordi, degli aristocratici sbruffoni e cinicamente vili, è una città molto più eterna di quanto si pensi, esattamente come la Roma attuale. Al suo interno, tutto viene mescolato, macinato, digerito, trasformato. Ai suoi bordi, l'autore pone l'occhio vigile e attento di uno dei suoi padri imprescindibili, quell'imperatore Adriano che, sulle pagine di De Pascalis, viene riportato in vita dal custode liberto di Villa Adriana e dei suoi segreti, Calpurniano. E' lì che si controlla che le cose si svolgano come si devono svolgere, anche quando, con la sconfitta dei mitraici ad opera dei cristiani, sembra che la Storia prenda un corso nefasto e l'umanità regredisca nella sua più cupa ignoranza. Non importa. Anche la discesa negli inferi dell'esistenza in cui il Cristianesimo, secondo quanto riporta De Pascalis, sembra aver gettato gli esseri umani, fa parte del grande disegno che uomini e dèi, consapevoli o meno (forse più meno, se ci passate il gioco) sembrano costretti a portare a compimento.
Rosso Velabro è un romanzo che ci insegna che la Storia, nei momenti cruciali, abbatte i confini fra il reale e il sogno, fra l'alto e il basso, fra il mondo di sopra e il mondo di sotto. Alla ricerca di un equilibrio che, per essere tale, può servirsi di tutti i mezzi a disposizione.
L'edizione da noi considerata è:
Luigi De Pascalis
Rosso Velabro
La lepre edizioni - 2010
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