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Il Paradiso degli Orchi
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INTERVISTE

Si viaggiava da professionisti

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Vorreste ricordare i momenti che ritenete più significativi della vostra presenza "pubblica", prima della lunga avventura dei "turisti" e "velisti" per caso?



Se dobbiamo ripercorrere - parlo anche a nome di Syusy (Blady, splendida quarantenne e all'anagrafe Maurizia Giusti, n.d.r.) - il tipo di lavoro svolto prima della visibilità tv, in sostanza ricorderei che negli anni '70 cominciammo facendo animazione culturale con l'ARCI e altre istituzioni; teatro per ragazzi, teatro di strada. Dopodiché aprimmo come varietà un circolo ARCI di Bologna, intitolato a Pavese, che divenne Gran Pavese, un programma di RaiDue. Indi abbiamo realizzato Lupo Solitario su Italia Uno, e su Rai Due trasmissioni tornate a essere animazioni culturali, giochi a tema: Politistroika, ovviamente sulla politica, oppure Se rinasco, attraverso la quale le donne reinventavano la propria vita. Fino alla collaborazione con Mixer, che fece nascere le occasioni dei servizi sviluppatisi in Turisti per caso.



Nelle prime edizioni di "turisti", la vostra partecipazione al programma era più defilata. Man mano, al viaggio s'è affiancato un divertente "fumettone" che ha finito per coinvolgere persone diversissime come Cino Ricci, la Stefanenko, Riondino, e poi guide, esperti, etc. . C'è una sorta di "sceneggiatura" delle situazioni e delle battute, o c'è solo il montaggio delle cose più riuscite - la domanda sarebbe: "ci fate, o ci siete"?



All'inizio non eravamo più defilati, anzi... le prime quattro puntate le abbiamo girate io e Syusy, siamo andati in giro assieme e ci scambiavamo la telecamerina. Durante queste produzioni il montaggio era di Giuseppe Ghinami, che dopo è venuto con noi, e in seguito di Paolo Sartolini. Quindi il modo di realizzare il viaggio si è evoluto: io andavo con Paolo, Syusy con Ghinami, per razionalizzare al massimo il tempo di permanenza nei luoghi, che era limitato. Via via, abbiamo cercato di aggiungere degli elementi al format: ospiti, compagni di viaggio, complici. Però è rimasta la filosofia-guida: ci facciamo raccontare un posto da chi ci abita, incontrandolo in loco. Molto spesso i nostri ospiti sono italiani che vivono nei posti che visitiamo, e che si possono facilmente interfacciare col nostro linguaggio: ci capiamo non solo per lingua, ma nel punto di vista. Loro ci raccontano situazioni che noi in tempi molto ridotti non potremmo approfondire. I nostri dunque sono percorsi turistici, rafforzati da una cospicua dose di curiosità tramite le occasioni che ci vengono fornite - spesso dal nostro stratega del tour, Marco Schiavina detto "Orso", co-attore dei percorsi che intraprendiamo. e organizzatore del viaggio. Lui parte molto prima - innanzitutto ricercando su internet - a prendere informazioni, per pattuire appuntamenti che dei turisti normali non potrebbero ottenere. Ma non c'è un copione, una programmazione televisiva o contenutistica: c'è il viaggio. Noi realizziamo il viaggio e le sue occasioni, andando incontro a quel che accade: riprendiamo tutto, girando un numero di ore incredibile. Segue una rivisitazione del tragitto, quando si monta: rivediamo il ripreso, come è venuto - non in termini tecnici, ma nel "sapore" che è rimasto, e decidiamo un testo e un andamento. Molto spesso, chi viene a girare con noi, tipo Giuseppe Ghinami o altri, è l'artefice del montaggio: c'è un'assoluta riduzione delle funzioni - siamo un gruppo ristretto, non si dànno separazioni di ruolo tra il regista, l'operatore, l'autore, il conduttore: vi sono due piccole squadre composte da un paio di persone che fanno tutto, compreso il montaggio e le musiche, e realizziamo il prodotto che si vede.



Ci pare che una delle cose che vi riesca meglio sia di giungere in un posto, anche se visto e stravisto, e però, tramite i vostri caratteri misti di smaliziato candore, interesse non specialistico e non banale, e moderata disillusione, restituirgli una "verginità", o meglio autenticità. E' qualcosa che sentite anche voi, o addirittura preparate?



No. Ad esempio non siamo mai tornati nello stesso posto, a parte la Polinesia. Il nostro sguardo è reale, raccontiamo veramente quel che ci accade, senza infingimenti o copioni. Syusy magari parte con degli interessi specifici, ha delle domande da soddisfare. Io ho degli interessi diversi dai suoi, delle domande, ma non c'è nessun tipo di scrittura teatrale, se non successiva. Cioè, avendo in mano il materiale girato per montarlo, cerchiamo di dargli una logica narrativa, ma questa altro non è che il filo conduttore concreto che si è realizzato nel viaggio.



C'è un luogo o della gente che avete trovato così diversi da essere assolutamente incomprensibili, o radicalmente ostili? Ci sono cose che non avete detto, per censura o per ragioni di opportunità, e che pensate di poter dire ora?



No, non ci sono state censure di nessun tipo, e non abbiamo mai trovato nessuna situazione ostile. Abbiamo solo incontrato situazioni più difficili da capire, e di consguenza più affascinanti: che so, lo Yemen. Che è un posto bellissimo, difficile da penetrare, perché spesso ti sembra di viaggiare nel tempo, di essere entrato in una cornice di duemila anni fa. Però a maggior ragione è stato affascinante starci, e la chiave se vuoi di quel minimo di comprensione che abbiamo portato via sono sempre gli interpreti con la I maiuscola che interpelliamo. Ovvero persone che conoscono a fondo il paese, e riescono a mostrartelo, a spiegartelo, a fartici entrare. Per lo Yemen fu Marco Livadiotti, che c'è nato, figlio di un italiano medico della corte yemenita. E che di conseguenza conosce la cultura di quel paese molto meglio, credo, degli abitanti. Ecco, lui è stato la chiave per poter raccontare quella terra. La medesima cosa ha funzionato in paesi a noi lontani - il Giappone, per dire. Sempre la chiave è stata quella di avere delle guide - semplicemente turistiche, o spesso molto particolari.



Durante i viaggi, voi mostrate un buon interesse per i fatti artistici e culturali. Quali sono i lavori d'arte o le personalità che più v'hanno colpito, o che credete che indichino una tendenza verso qualcosa che si svilupperà in futuro?



Qui dovrebbe rispondere Syusy, perché credo che questo fenomeno lei lo abbia notato, mentre io l'ho sentito raccontare da lei, o l'ho visto nelle immagini, soprattutto in Africa. Lei ha fatto un viaggio, ultimamente, molto bello e molto complicato: è partita da Dakar, ha proseguito verso est lungo il Niger, raggiungendo il Burkina Faso, quindi il Togo. É stato un percorso permeato di incontri d' arte in senso stretto, cioè pittura e scultura, e d'arte votiva, simbolica. I Dogon, per esempio, con le loro opere e la ritualità che d'esse praticamente è parte. Penso che il percorso più interessante l'abbia fatto lei e sia stato questo.



Tra i compagni di avventura avete avuto vostra figlia Zoe, i ragazzi Covatta e Gerry Scotti con prole - memorabile la loro rivisitazione di "Laguna blu". Meglio loro, o gli adulti? E, secondo la vostra esperienza, come e quanto un viaggio interviene sul carattere e la fantasia di un bambino - e magari sulle storie che racconta?



Credo che il percorso per giungere al nocciolo fantastico di un bambino sia abbastanza tortuoso. Se devo risponderti al di là dei moralismi o delle frasi ad effetto, meglio gli adulti che i bambini. Un viaggio è un investimento emotivo: è bello prima averlo sognato, dunque preparato, ma non perché ci hai studiato su per forza, ma siccome t'è capitato di leggere una cosa, di aver visto un documentario. Quindi fantasticare su un viaggio, voler andare in un posto è fondamentale. Gli adulti questo talvolta lo fanno, cioè vanno davvero convinti in un luogo, da cui si aspettano delle cose, per cui affrontano anche la fatica del viaggio, perché c'è stato appunto un investimento emotivo, una curiosità a priori. Invece quasi sempre i nostri bambini vengono portati dove decidi tu. A me è successo un episodio molto buffo: siamo stati in Polinesia con Zoe - durante le sue vacanze estive è stata su "Adriatica" e abbiamo fatto un bel pezzo di oceano Pacifico assieme. Lei ha visto cose meravigliose, che i bambini della sua età non hanno di sicuro mai incontrato da vicino. Quando l'ho riportata a scuola, un giorno scoppia a piangere dicendo: "ma non mi porti mai da nessuna parte!!!". Ribatto: "Scusa, ma siamo appena tornati da Tonga e Samoa!!!" E lei: "Sì, ma i miei amici vanno a Venezia, e io non ci sono mai stata!!!" Allora è chiaro che poi... però questo è successo tre o quattro anni fa, ora Zoe ha dodici anni e invece ha fatto ultimamente un viaggio in Libia con sua madre che le è rimasto molto impresso, che le è piaciuto moltissimo... quindi man mano che i bambini diventano adulti diventano viaggiatori più consapevoli... finché rimangono bambini piccoli sono deportati (*) dove decidono gli adulti, e non è detto che quello sia il luogo delle loro fantasticherie, che li stimoli veramente.



Questa domanda è forse quella più pertinente al nostro sito di geni della virgola. Avrete accumulato molte storie su cui lavorare. A quando i vostri romanzi?



Syusy ne ha fatto già uno, che si intitola Tango inesorabile (Einaudi) - ma non ha nulla a che fare con i nostri viaggi. In realtà, è uscito un libro (Einaudi, Stile libero), Quel poco che abbiamo capito del mondo facendo i turisti per caso, ed è un dialogo tra me e lei, una sorta di riflessione sui viaggi realizzati, siccome abbiamo interessi diversi. Syusy ha un interesse che è soprattutto legato ai misteri, alle cose curiose - a dir poco - che ha individuato in giro per il mondo. Questi parallelismi fra tradizioni e miti e quant'altro sta cercando di metterli in ordine, in un programma specifico che si chiamerà Misteri per caso. Non è ancora un libro, ma secondo me è assolutamente matura per renderlo in scrittura. Per quanto mi riguarda, invece, non ho mai pensato di scrivere qualcosa di "letterario" o "romanzesco", perché non faccio nulla in maniera velleitaria o dilettatesca. Cioè, io faccio anche delle enormi cazzate, però da professionista - c'è una canzone di Paolo Conte in cui si ricorda che l'orchestra sbagliava da professionista. (**) Si può sbagliare da professionisti e si possono fare delle cose meravigliose da dilettanti, la differenza è molto sottile. Il dilettante si mette in gioco in maniera molto più scoperta, disarmata. Affronta uno strumento espressivo che non ha proprio in mano fino in fondo. Io penso di saper scrivere, ma in maniera giornalistica, così da poter comunicare delle cose, non in modo allusivo, narrativo, artistico.



La finzione non ti appartiene.



In nessun modo, tanto che non sono riuscito nemmeno a fare l'attore, cioè a rendere in modo credibile delle battute, non dico scritte da altri, ma nemmeno scritte da me. Ogni sera in cui salivo sul palcoscenico dovevo per forza cambiare quel che dicevo, e improvvisare sul momento... facendo incazzare sempre Luciano Manzalini, Vito o Syusy, che essendo invece più artisti, più attori, fissavano delle improvvisazioni e la sera dopo gli veniva ugualmente bene. Io no: dovevo comunque calibrare le mie frasi da presentatore sul pubblico che c'era, e sull'assoluto senso di realtà, per cui non penso di uscire dall'alveo del mio piccolo documentarismo, raccontando quel che ho visto. E magari un giorno lo potrò scrivere - ma non sarà mai un romanzo.



Alla fine del suo romanzo, però, Oliver Twist confessa che più che scrivere lo interessa leggere. Perciò, un non scrittore di solito è un buon lettore. Ci sono Autori che ti interessano?



Ero bravissimo a scuola da piccolo, quindi sono un analfabeta di ritorno. Per me la lettura, il libro, ha rappresentato la fine della scuola, e per decenni un segno di fatica. Dopo mi sono riavvicinato ai libri, tanto che ho presentato Per un pugno di libri. Però sempre stando molto attento, proprio per reazione a questo spirito post-scolastico, a leggere quel che mi fa piacere e godere. Fatico terribilmente sui saggi, se li leggo è per lavoro: li scorro veloce, e sottolineo ciò che mi interessa, ma non li frequento certo per godimento. Syusy, che è stata bocciata a scuola, è estremamente più colta di me, compulsa testi ponderosi, specialistici... questa può essere una buona riflessione sugli effetti della scuola.



Concordiamo.



Comunque, i libri che mi piacciono sono fondamentalmente di viaggio. Molto i gialli e i libri di avventura, meglio se uniscono le due cose assieme. Per dire: i libri di Manuel Vàzquez Montalbán sono sia dei polizieschi che dei libri di viaggio, o comunque sono ambientati, che so, a Barcellona. E mi piace francamente Camilleri, perché mi fa rivedere la Sicilia. Sono i libri che leggo in treno per divertirmi, o la sera prima di dormire - ieri su una bancarella ho comprato uno Scerbanenco (***) che non avevo letto. Ci sono poi i libri di viaggio: Pino Cacucci sul Messico, e le sue traduzioni di Gloria Corica, attraverso le quali uno viene a contatto con la letteratura sudamericana. Penso a Cloane e ad altri autori sudamericani: Paco Ignacio Taibo II e Sepúlveda. Altrimenti, al Tibet di Fosco Maraini.

Oppure uno va alla radice del libro d'avventure e di viaggio: Stevenson, London. Un libro meraviglioso secondo me è Kim di Kipling, che ritrae tuttora l'India. O Taipee di Melville, sulle tracce del quale sono giunto alle isole Marchesi. Sono tutti investimenti emotivi, così da andare in un posto e godertelo di più. Per me ad esempio le Marchesi sono meravigliose, anche se da un punto di vista del mare - dico una cazzata - sono meno belle delle Tuamutù, perché c'è la tomba di Gauguin, che secondo me è una cosa attraente, che mi motiva a andare là, che mi dà un contesto.



Sei stato molto esaustivo e convincente. Te ne siamo grati e ti ringraziamo.



(*) questo verbo lo usa anche Lella Costa, in una situazione simile, nel suo primitivo spettacolo Recital (primi anni '90);

(**) Nessuno aveva mai espresso l'ideologia - se una ce n'è - del Paradiso in maniera tanto chiara e netta. La citazione è da "Boogie", e suona letteralmente "era un mondo adulto, si sbagliava da professionisti";

(***)Giorgio Scerbanenco (Kiev, 1911 - Milano 1969): all'inizio produttore maschile di romanzi "rosa" e giornalista in periodici femminili, fu consacrato giallista di grande personalità, e non ultimo narratore della Milano borghese dei tardi anni '60.







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