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Il Paradiso degli Orchi
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INTERVISTE

Silverio Novelli

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Un lungo esercizio nella redazione di "Avvenimenti" "al servizio" di una rubrica letteraria che dava dei punti a molte riviste prestigiose. Cosa è rimasto di quell'esperienza?



Mi è rimasto l'interesse per le iniziative editoriali coraggiose e intelligenti, anche quando caratterizzate da investimenti finanziari ridotti e strutture organizzative esigue: insomma, mi piaceva e mi piace tutt'ora chi rischia in proprio avendo cuore e cervello. In secondo luogo, la curiosità per il retroterra complessivo di ogni opera letteraria, messo in relazione con la biografia intellettuale e il profilo psicologico dell'autore: aspetti che – credo di ricordare – erano tra gli obiettivi di ricerca e informazione di Avvenimentilibri, l'inserto di cui mi sono occupato fino al 2000, quando l'avventura del settimanale Avvenimenti è finita.



E cosa è rimasto di una vecchia passione come la fantascienza?



Ieri affacciandomi dal balcone ho visto sul terrazzo del palazzo di fronte, dall'altra parte della strada, un alieno ricurvo e incartapecorito, catafratto da un'armatura silicea. Era solo, probabilmente in esilio. Il comignolo mi è apparso nella sua banale realtà soltanto dopo che si è dissolto l'effetto della mia percezione culturale primaria, diciamo così. Questo mi è rimasto della fantascienza: spesso stravedo, senza bisogno di vino, canne o peyotl. Oltre ovviamente alle riletture di Dick, Lem, fratelli Strugatski e pochi altri, anche più recenti (il Lethem di Ragazza con paesaggio, per esempio), Evangelisti in testa. Però Valerio Evangelisti è da tempo autore complesso ed è riduttivo confinarlo nella fantascienza.



Nella tua raccolta di racconti, forse perché scritta in un lungo periodo di tempo, si scorgono tempi, tematiche e stili tra loro diversi. Scelta o semplice adattamento alle situazioni e all'età?



Direi semplice disadattamento. Io mi sento lì, in tutti gli stili e in tutti i "tagli" narrativi, dalla piccola pièce teatrale al racconto di fantascienza; da una certa tendenza al tutto pieno espressivo alla pagina più disadorna. Però il mascheramento/smascheramento autobiografico e la prosa "grassa" sono i modi che mi calzano meglio addosso (Tomasi di Lampedusa divideva il mondo in scrittori "grassi" e in scrittori "magri", alludendo allo stile e al trattamento della lingua). Ci ho impiegato anni per capire e accettare di essere abitato da una personalità multipla, perlomeno quando scrivo. Più che di eventuali critici letterari, potrei giovarmi dell'opinione di esperti psichiatri.



Lo confesso: c'è un racconto nella tua antologia, ma non ti dico il titolo, che avrei voluto scriverlo io tanto è riuscito e perfetto. Cosa provi quando un lettore riesce a condividere le tue emozioni? O forse quando ha la presunzione di aver colto il senso vero della scrittura?



Mi fa piacere, molto piacere: che ci sia un racconto che è piaciuto a te, lettore fine e molto esigente, e mi farebbe piacere che esistessero lettori che si nutrono, a modo loro (quale?, non importa, non è più un problema di chi ha scritto), delle pagine su cui uno ha lavorato per sé stesso dirigendole verso altri.



È un fare i conti quasi violento con se stesso. Ecco a cosa ho pensato dinanzi ad alcuni tuoi passaggi. Quasi volessi farti anche del male. Non è che hai esagerato? O davvero questa è l'epoca, per gli uomini che hanno il coraggio di specchiarsi non narcisisticamente, di rivoltarsi come calzini usati (scusa la metafora e l'eventuale puzzo).



Ma no che non ci si fa del male. Il male è prima o dopo, nella testa, nello stomaco. Scrivendo si soffre, anche ed eccome, ma in un altro modo, perché si sta febbrili, febbricitanti, in una dimensione parallela, con regole autonome che richiedono di ripartorirti a nuova vita, mentre intanto il tuo corpo e la tua mente partecipano comunque della vita non scritta. L'interferenza può essere dolorosa, senz'altro per me è stata problematica; ma mi sono pure divertito. Sul narcisismo: non vedi quanto mi sbrodolo su di me, anche adesso? Mi piacerebbe capire che cosa succede quando passi la trafila delle tue proprie parole dando voce a un io narrante che tu stesso stai creando. Ma non l'ho capito.



La letteratura dove pensi vada oggi? È un bene che le librerie siano "assediate" da una produzione mostruosa di romanzi? Cui prodest?



Dove vada la letteratura non so. Storicizzare il presente è già una faccenda che mi sembra sconsiderata, figuriamoci essere rabdomanti del futuro. Che le librerie siano assediate da una produzione mostruosa, come dici tu, mi sembra un bene. "Oltre la metà della cultura moderna dipende dagli scarti", diceva Wilde. Oggi la percentuale è enormemente aumentata. Viviamo voraci, scartando subito l'usato (il vissuto e il non-vissuto, il letto e il non letto). Ha senso solo il nuovo, che deve riempire ogni vuoto (di senso, di sensi, di sentimenti), ed è percepito come tale per un tempo atomico (atomo=attimo). Le librerie sono replete di "nuovo" librario. Va bene, è così che vive l'ogm umano leggente, quasi-leggente, unatantum-leggente che entra nella grande libreria. Un carosello di copertine, una carnevalata di maschere scintillanti. Atomi di attimi, attimi di libri, libri atomici che esplodono all'acquisto perché già deteriorati dal contatto con il corpo sottoposto all'insopportabile e continua usura del tempo atomico che invecchia la pelle e avvelena anche chi ti sta intorno. Perché preoccuparsi? I libri esistono nella mente, prima della lettura perché attesi e fantasticati; dopo la lettura, sempre nella mente, purché continui la simbiosi cellulare. La libreria ormai non c'entra più niente, se non come luogo letterario o lamentela cronico-democratica sulla voracità delle grandi catene. Perché lamentarsi? Grandi catene, grandi cessi, grandi e veloci riempimenti, grandi e atomici svuotamenti. Quando ci si svuota, la carta serve sempre, vieppiù quella dei libri, meglio se scintillanti. Vuoi mettere il glamour, in quel posto?



E visto che si parla di letteratura, fammi un nome di un autore che ti sta a cuore.



Yasher Kemal.



A quando un romanzo che non sia scritto nell'arco di venti anni?



Fra trent'anni.





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